|  | Commenti |
---|
 |
Matera di nerofumo commento di pamar |
|
mi piace questo scorcio. Una zona di casupole di paese arroccate e strette l’una all’altra come a Matera può essere. Il soggetto pare essere la vetrinetta votiva ed essa risulta quasi “racchiusa”. La parte per il tutto simboleggia un luogo e lo richiama immancabilmente. Pochi elementi e dettagli per dire tutto quello che serve. Anzi, mi rimangio quanto detto, il soggetto è Matera e la vetrinetta, con le casette abbarricate ed i viottoli sono elementi unici che anche da soli e visti a frammenti la simboleggiano egregiamente. Bella prova.
Marco |
| |  |
caffettiere colorate di Anna Marogna commento di pamar |
|
Un altro bell’esempio (come altri che ho visto recentemente sul forum) di decontestualizzazione. Questa volta eseguito con la modalità una parte per il tutto, ossia viene estrapolato un dettaglio di un oggetto invece che tutto nella sua interezza. I risultati saranno vari a seconda dell’oggetto preso e soprattutto di quale parte di esso sia estrapolata. Inoltre, secondo me, ha molto peso anche il contesto e la situazione ambientale dove è raffigurato il dettaglio. In questo bell’esempio per esempio viene immortalata una parte abbastanza intuibile di un oggetto ma il fatto di “levare” dall’inquadratura ogni elemento paesaggistico utile alla sua contestualizzazione, rende la parte meno palese. Certamente si comprende di cosa si tratta ma non immediatamente…da prima balzano all’occhio la composizione, i colori e l’estetica della fotografia, poi ci si sofferma sugli oggetti e si riesce ad ipotizzare di cosa si tratti. Comunque, tale immagine è tutta giocata sul colore. Prima cosa che balza all’occhio è il cielo e i colori, a lui complementari, dei “cappellotti”. ne deriva un accostamento cromatico molto piacevole ed interessante. Colori vivi e presenti ma che rifuggono da un ipersaturazione che sarebbe inutile e deleteria. Poi non è da poco il fatto che i colori dei 4 cappellotti non siano casuali ma dal giallo ad un arancione scuro. Bella poi la composizione, con i 4 cappellotti alla base che “poggiano” sulla linea inferiore del fotogramma e tutto quel cielo azzurro uniforme ma inframmezzato dalle minuscole ondine di nubi . Ho letto di recente, non ricordo dove, che nelle composizioni essenziali e minimal ha un grande peso il numero degli oggetti. Mi permetto di parlartene: sembrerebbe che se ci sono degli oggetti identici come forma, risulti visivamente più piacevole proporli in numero dispari, 3, 5. Io non ho provato, ma escludendo un cappellotto dei 4? Ipotesi tanto per giocare.
Marco |
| |  |
St di littlefà commento di pamar |
|
Questa fotografia, senza dubbio affascinante, contiene due anime che riescono ad amalgamarsi l’una l’altra in maniera ottimale: paesaggio e figura umana. Danno vita ad un’immagine dai risvolti surreali e a suo modo divertente ed accattivante. Ho definito il risalutato “surreale”. Questo termine non vuole dire strano o che non sta in piedi ma intendo dire che il risultato estetico è un momento sui generis dove non si ravvisa mancata amalgama fra i due componenti (paesaggistico ed umano) e dove essi generano un episodio particolare. Le due parti sono in grado di produrre un amalgama che ha come risultato una scena accattivante. A mio avviso l’ambiente ha è particolarmente ben fatto e potrebbe reggersi benissimo da solo, senza la figura, come fotografia paesaggistica. Texture, ombre che danno volume, composizione, bel B&N….direi che ha molti connotati in regola. E in più la ciliegina sulla torta, che “trasforma” la foto da semplice raffigurazione paesaggistica, in una visione surreale, un momento accattivante e capace di rendere la fotografia un qualcosa di…”diverso” e che rimane impresso.
Marco |
| |  |
St di pulchrum commento di pamar |
|
una proposta che non è nuova: prospettiva aerea di alture che si estendono in lontananza. Una bella novità: uso del B&N. Questo connotato non è comune ed il risultato non è per niente banale. intendiamoci, io ho un debole per questo tipo di rappresentazione e sarebbe stata fantastica anche a colori. però in B&N acquista una valenza non comune ed intrigante. Senza colori si pone l’accento ancora maggiormente su toni e forme, sull’estendersi in lontananza dei piani e sui chiari/scuri che “costruiscono” la scena. E poi tutta quella parte racchiusa dalla coltre nebbiosa a destra è veramente intrigante e rafforza, per paragone, la presenza e l’alternarsi delle alture sulla sinistra.
Marco |
| |  |
Linea di sabbia di Flavia Daneo commento di pamar |
|
Mi piace. Mi piace al 98%.....c’è solo un piccolo dettaglio che non mi risulta ottimale; non riguarda colori o composizione o taglio ma la resa della sabbia nelle dune. Ci vedrei meglio più dettaglio, invece mi sembra una superficie troppo uniforme come fosse colorata. Fatto salvo questo devo dire che la trovo un’ottima proposta. Semplice, pulita e lineare. I giusti elementi messi al posto giusto. Trovo estremamente intrigante l’aver voluto/saputo fare occupare a gran parte del fotogramma la parete della duna che, introduce per assurdo, nonostante la sua rossastra uniformità, un elemento di “movimento” grazie al bellissimo gioco che crea con la sua ombra che la divide in due zone diverse. Il dettaglio veramente affascinante è proprio la linea curva che separa le due zone della duna….pare quasi un ghirigoro fatto in quel modo di proposito dal vento e dalla natura. Sembra quasi una sorta di parte di chiave di violino o di simbologia musicale e sembra quasi di udire la musica suonata dal vento. Un suono melodioso che ha impietrito nell’ascolto gli alberelli ai piedi della duna….e di tre due sono rimasti li fermi in eterna attesa, ormai spogli. Va bè dai, ho forse ecceduto con il racconto fantasioso…ma quello che voglio dire è che trovo estrema linearità, calma e poesia in questo scatto. La capacità di essere meditativo e di risultare intrigante nella sua pulizia della composizione. Pochi elementi al posto giusto. Nulla sembra mancare e nulla vorrei cambiare. E poi, ripeto, quella semplice linea sulla duna che rompe la monotonia ed introduce quel quid capace di “muovere” la scena. Muoverla non togliendo tuttavia quella sensazione di calma eterna che permea lo scatto. Quasi come se il tempo si fermasse a meditare senza il suo incessante scorrere. Top one.
Marco. |
| |  |
Gabbie di tanaliberatutti commento di pamar |
|
Fotografia interessante e particolare. Particolare perché basata solo su forme. Il B&N riduce tutto a forme che spiccano grazie alla differenza tonale rispetto allo sfondo. Ne deriva che l’ombra essendo scura e spessa risulta ben visibile e presente e forma con la gabbia stessa un gioco di forme che si amalgamano e “disegnano” una bella struttura quasi confondendosi fra di loro. Cosa è ombra e cosa è struttura? Ne deriva un gioco molto intrigante.
Marco |
| |  |
Odontofobia di batstef commento di pamar |
|
Non so voi, ma una scena del genere io la trovo angosciante….forse angosciante è un termine troppo forte…diciamo che è un qualcosa che toglie serenità e pacatezza. Una scena che dopo averla vista porta ad una certa perdita di serenità. Forse sono io che la “sento” particolarmente perché sono un cagasotto quando si tratta di dentisti ed affini, tuttavia trovo la scena “forte” per due ragioni legate a cosa è raffigurato e un paio di ragioni legate al come è raffigurato. Viene raffigurato uno studio dentistico. Uno studio dentistico del passato. Tolta la tipologia di cosa è raffigurato ha un grande peso il fatto che sia desueto ed attinente ad un periodo storico che non abbiamo vissuto o che comunque ci pare desueto. questa impressione è rimarcata dal suo essere in abbandono e diroccato. Ci richiama come funzionavano le cure mediche nel passato ed in special modo operazioni dentali che oggi sono di prassi. Anestesia? Era come quella odierna? La facevano? andare dal dentista era impresa da eroi…e la fantasia vola e tira in ballo congetture che poi non c’entrano nulla ma che arrivano quasi naturali: sofferenza, dentisti sadici, tortura…si, lo so che non c’entrano nulla questi pensieri ma vengono a galla e si rafforzano anche e soprattutto grazie allo stato di abbandono della struttura, che accentua ancora maggiormente il senso di tempi andati e progresso non ancora avvenuto. E poi, dai, la poltrona del paziente cosa è? Sembra una cosa preistorica e uno strumento di tortura….e quel camice ancora appeso…adesso compare il malvagio.
La composizione ed il B&N poi li trovo perfetti. B&N che toglie tutto quanto è superfluo per accentrare l’idea di angoscia. Niente colori che avrebbero potuto abbellire ed “addolcire” la scena. solo forme, oggetti, connotati di quel luogo. Niente orpelli, solo il posto, gli strumenti, il degrado e tutto quanto ne deriva. E poi, il tocco, di classe (dell’autore), l’aver inquadrato il tutto con l’immagine riflessa da uno specchiio. Vista parziale, incompleta e sincopata ed esclusione del luogo nella sua completezza…..senza vie di fuga e quasi obbligato e “rinchiuso”. Mamma mia che angoscia, fortuna che chiudo e cambio foto….scherzo: grande prova dell’autore, per me foto da 10 e lode.
Marco |
| |  |
| |  |
''' di opeio commento di pamar |
|
Non mi convince. Non mi convince rapportato alla tua produzione, alle tue idee. Le tue fotografie presentano sempre e comunque, evidente o nascosto, un interrogativo o una domanda. Nulla è sempre e solo certezza. vuoi per l’uso dello sfocato, vuoi per la non completa chiarezza di quanto è raffigurato. In questo caso vi è un elemento perfettamente definito ed immediatamente noto e consono, nell’atto di fare un gesto universalmente noto. Tu dirai “perché quel gesto?”. Vero, manca il perché ma a questo punto ogni foto che rappresenta una persona ha delle domande in sé: un ritratto dove il protagonista sorride potrebbe far dire “perché ride?”. Insomma un gesto inequivocabile….come uno smile che è un simbolo inequivocabile ed universalmente noto. Ho visto male? Ho frainteso? Potrei non avere colto il senso di questa tua scelta.
Marco |
| |  |
°ç° di niente da capire commento di pamar |
|
Trovo sia uno scatto intrigante. Alcuni elementi compositivi e la scelta del B&N mi sembrano azzeccate e danno al fotogramma quel qualcosa in più che lo valorizza e sottolinea dei connotati basilari per creare la giusta atmosfera e veicolare il messaggio trasmesso. Il B&N ci sta benissimo. Ha una duplice funzione, puntualizza l’attenzione sugli elementi e personaggi, inoltre contribuisce a creare un’atmosfera di tempi non recentissimi che rendono la scena ancora più intrigante. Personalmente io lascerei il taglio così come è, senza eliminare parte del cielo. Ho provato per curiosità ad eliminarlo ma il risultato è privo (secondo me) di alcuni connotati che vengono sottolineati proprio dal cielo vuoto sovrastante. Per esempio la nube risulta ancora maggiormente vicina ed incombente sui personaggi; il cielo sovrastante rende la nube inverosimilmente prossima alla gente. Senza tutto quel cielo l’effetto risulta meno marcato. Ecco, se proprio dovessi cambiare qualcosa, renderei il bianco della nube piu' "bianco", in modo che risulti piu' presente contro tutto quel cielo nero. Cosi' forse risalta meno del dovuto.
Marco |
| |  |
L'apocalisse di Michelangelo Ambrosini commento di pamar |
|
Nelle fotografie di paesaggio in generale e in particolare in quante puntano alla bellezza estetica ha un peso enorme il tipo di soggetto ritratto. Spettacoli della natura unici ed irripetibili e non comuni, come lo è un’aurora boreale, non hanno pari. Vederla dal vero deve essere qualcosa di indescrivibile. Io per esempio non ne ho mai vista una e le uniche cose che posso dire derivano da filmati o fotografie, non ne ho insomma un’esperienza diretta ma solo “riportata”. Prendi quindi quanto dico con le dovute attenuanti. Vedendo la fotografia ci trovo degli elementi non ineccepibili: chiari quasi bruciati e definizione non ottimale e (forse) anche la composizione poteva essere migliore in alcuni dettagli. Che dici? Ci tengo comunque a dire che si tratta di scatti molto piacevoli e sto’ cercando il classico pelo nell’uovo.
Marco |
| |  |
La bolgia di Antonio Mercadante commento di pamar |
|
A mio avviso il titolo in una fotografia ha poca importanza e conta poco rispetto alla foto stessa. Diciamo che mai un titolo fantastico può risollevare una foto mediocre e viceversa un titolo pessimo potrebbe penalizzare un grande scatto. tuttavia nel caso di questo scatto mi rimangio (quasi) quanto detto poc’anzi e prendo spunto dal suo titolo “La bolgia” per intavolare un discorso su di essa. Il titolo scelto ha il merito di non essere una semplice parola descrittiva dello scatto, non “dice” semplicemente cosa viene rappresentato nella raffigurazione. Esso sottende un’interessante discorso circa quanto vuole comunicare la fotografia stessa e diviene elemento capace di aggiungere un connotato di rilievo e che mi ha fatto sorgere tutto un insieme di pensieri e valutazioni in seguito all’aver visto tale immagine ed il titolo che la accompagna. “Bolgia” un termine che normalmente si associa a ressa, chiasso. Non per nulla Dante, nella Divina Commedia, chiama bolge le zone dell’ottavo cerchio dell’inferno (non me lo ricordavo, sono andato a cercarlo in Google). Il soggetto dello scatto è un insieme eterogeneo di persone in un momento festante e chiassoso. Il titolo quindi ben si adatta ad essa. Tuttavia se la analizziamo con attenzione la fotografia risulta ottimamente costruita. Intendo dire che trasmette l’atmosfera di confusione e bolgia ma NON è confusionaria. Probabilmente (anzi sicuramente) è grazie alla sua costruzione a suo modo pulita e lineare, che riesce a ricreare e trasmettere il mood del titolo senza tuttavia debordare in un ammasso senza senso di elementi. Trasmettere e raffigurare una sensazione o un sentimento non è facile raffigurando un dettaglio della scena nell’esiguo spazio di un fotogramma. Se lo paragoniamo ad una scena vista dal vivo prima di tutto non ci sono suoni e profumi. Poi immancabilmente ci sono i 4 lati che racchiudono e parzializzano la vista. Tutto è compresso lì dentro e a quello spazio si deve adattare. Prendiamo una scena come questa: dal vivo lo sguardo coglie uno insieme ampio e si sofferma su zone scelte. Ci sono suoni, tridimensionalità e soprattutto la nostra vista non è parzializzata verso una zona e gode della capacità di spaziare e muoversi. In uno scatto la scena è ridotta ad un frammento scelto, fisso e racchiuso. Così è e così rimane. Racchiuso, parziale, compresso. Nel volere rappresentare ressa, festa e confusione è fin troppo facile ottenere uno scatto confusionario, perché risulta quasi automatico passare dal voler simboleggiare la confusione all’ottenerla davvero nel fotogramma. Come dicevo, in questo scatto, viene rappresentata la bolgia ma graficamente non è confusionario. Ci sono tante piccole accortezze nella costruzione: prima cosa vi è un elemento di interesse, un protagonita che risalta sia per la sua azione sia per la sua collocazione e sguardo. egli è spostato leggermente in primo piano rispetto algli altri componenti la scena. Si trova sui ¾ del fotogramma e soprattutto il suo sgurrdo (unico rispetto agli altri) risulta ben presente, quasi fisso verso un punto e rivolto verso l’esterno e l’avanti rispetto al fotogramma. Quindi ha peso la sua azione ma sono basilari per sottolinearlo la sua collocazione ed atteggiamento. Secondariamente guardando le zone lungo i bordi del frame non ci sono elementi fastidiosi che potrebbero sporcare la scena. Non ci sono parti di volti o frammenti. Anche i volti tagliati lo sono in misura tale da non creare frammenti strani ma volti riconoscibili e puliti. e poi, non banale, alcuni punti di forza creano delle direttrici che accompagnano lo sguardo. Per esempio gl,i occhi del protagonista con la mazza colorata e la tracolla del tamburo ed il tamburo stesso formano una linea diagonale. Oppure (non banale) anche la linea diagonale dello sfondo fra zona colorata panna e quella marrone che segue l’andamento delle teste delle persone. Insomma, tante piccole cose, alcune capitate a fagiolo casualmente, perché in uno scatto del genere non puoi certo mettere in posa le persone. Tuttavia scena vista e voluta nei connotati che contano come la posizione del protagonista ed il framing complessivo.
Marco |
| |  |
Urban #79 di paolo cadeddu commento di pamar |
|
Vorrei ringraziarvi per le vostre parole a seguito del mio commento. Quasi mi imbarazzano….Tuttavia ci tengo a dire che il mio è solo un commento a seguito del post di una fotografia e chiaramente, deriva da quanto essa ha saputo trasmettermi. Il pregio e il merito è della fotografia e non tanto delle parole che da essa derivano. Fare è un’altra cosa rispetto a parlare di.
Marco |
| |  |
crema di cdx68 commento di pamar |
|
Uno dei connotati di successo di una foto di food è quello di rendere il soggetto appetibile. La foto deve fare venire appetito ed il desiderio di mangiare quanto è raffigurato. Quindi basilari sono la composizione, illuminazione, resa del soggetto, toni. Questo scatto possiede tutti questi requisiti ? All’autore la risposta…
Marco |
| |  |
Urban #79 di paolo cadeddu commento di pamar |
|
Decontestualizzazione. Questo è il termine che mi viene subito in mente guardando questo scatto. Il punto saliente e vincente di questa fotografia è la sua capacità di “trasformare”. Trasformare un dettaglio di un elemento banale di per sé, in una forma intrigante e appagante alla vista. Se pensiamo al soggetto, esso non è nulla di interessante. Un gruppo di tubi di un condominio o alcune case. Ne vediamo di tali ogni giorno e di certo non rimaniamo estasiati ad ammirarli. Decontestualizzare. In questo risiede l’intuito dell’autore della fotografia. Prendere un elemento banale e privo di fascino e privarlo dei suoi connotati che come tale ce lo fanno guardare ogni giorno. Vedere e non solo guardare. Vedere sotto una luce diversa, che oltrepassa e svincola l’oggetto dalla sua funzione comune. L’oggetto allora non è più tale ma diviene “altro”: forme, texture che, per inciso, nulla hanno a che vedere con la sua funzione. Chi vede lo scatto prima pensa alle forme e alla rappresentazione e solo dopo si sofferma a pensare a cosa sia l’oggetto raffigurato. Decontestualizzazione. Ben vista e pensata e ottimamente immaginato il risultato. Ben eseguita tecnicamente. Decontestualizzare ha successo o meno in dipendenza delle scelte compiute dall’autore.
Marco |
| |  |
Sacro Monte B&N 1:1 di pamar commento di pamar |
|
ciao a tutti e grazie mille per i pareri espressi e per gli apprezzamenti.
Questo lavoro in B&N risale a qualche anno fa. Poi avevo deciso di farlo a colori, conservando alcuni scatti e rifacendo tutti gli altri. Il lavoro a colori (sempre in formato 1:1) è anche stato pubblicato su una rivista mensile. Tuttavia sia il lavoro in B&N che quello a colori non possono dirsi conclusi (anche se quello a colori conta una cinquantina di scatti)…..forse perché abito vicino al posto, mi rilassa e ogni tanto ci faccio un giro e scatto qualcosa; poi magari delle foto fatte non conservo nulla ma a volte qualcosa reputo valga la pena aggiungerlo. A dire il vero mi manca una parte che riguarda la parte posteriore della cattedrale e zone limitrofe….e pure un’altra zona a pensarci bene….ho capito, non finirò mai questo lavoro. Comunque, ultimamente mi ha ripreso la voglia del B&N. Vedremo.
Grazie ancora a tutti.
Marco |
| |  |
Un Cuore Marinaro 2019 di Francesco Ercolano commento di pamar |
|
ciao Francesco,
dico due cose circa questo tuo insieme di fotografie. Ri-dico alcune cose già dette da Bruno precedentemente sperando di aggiungere anche qualche spunto.
Allora, ho definito tale lavoro un insieme di fotografie. Non l’ho chiamato reportage o portfolio perché non reputo sia tale. Sono un gruppo di fotografie di ottima fattura sia per composizione che per tinte che per contenuto ma sono slegate l’una dall’altra. O meglio sono assimilabili alcune e formano gruppetti omogenei ma non sono assimilabili (a dare un insieme unico) i vari gruppi fra loro. Per tentare di essere chiaro io suddividerei nettamente il portfolio dal reportage. Un reportage lo definirei come un gruppo di fotografie che raccontano un’esperienza: una vicenda, un luogo, un viaggio, una manifestazione ecc. Un portfolio lo vedo come un insieme di scatti che hanno una tematica, un progetto, un voler esprimere un’idea che è comune a tutti gli scatti. Per esempio un reportage di un viaggio NON avrà soggetti comuni in tutti gli scatti perché spazierà fra diversi momenti, situazioni, personaggi e vedute. Un portfolio, magari concettuale o incentrato su una tematica prevede una comunanza di quanto i singoli scatti sanno e vogliono esprimere. In entrambi i casi, portfolio o reportage, vi è un filo conduttore che lega i singoli scatti l’uno all’altro, una sorta di legame grafico o concettuale che rende ogni singolo pezzo parte di un insieme comune. Non è facile spiegarlo a parole e spesso ogni singolo lavoro deve essere visto e meditato per arrivare a un dunque, anche se alcuni elementi balzano subito all’occhio. L’esempio che proponi, per esempio, quello di un reportage o portfolio di un luogo e la domanda sulle vedute ed i dettagli necessari o meno non ha una risposta univoca. Provo a spiegarmi: se il lavoro è coerente ed inframmezzato di vedute e dettagli disposti coerentemente per quantità e numero allora è ottimale. Se un lavoro composto da 15 vedute mostra un paio di dettagli messi quasi a caso, allora essi sembrano pesci fuor d’acqua. In parole povere ö basilare una certa coerenza e capacità di scegliere il numero e la posizione dei tasselli e la tipologia. Sembrerà anomalo ma per me, per esempio, la cosa piu’ impegnativa e fonte di continui ripensamenti ed incertezze non è fare i singoli scatti ma scegliere quali inserire in un portfolio, con quale ordine disporli e (soprattutto) quali fotografie sacrificare (anche se magari prese come singoli scatti mi paiono stupendi). Quello che posso dirti con certezza è che se presenti un reportage o portfolio in pubblico, magari ad una rivista o ad un critico o ad un siti d’arte ecc. diventa basilare la sua coerenza e fluidità. Formato identico per tutti gli scatti, addirittura alcuni se il lavoro è formato da scatti rettangolari (3:2 o 4:3) li pretendono tutti orizzontali o tutti verticali. Mai e poi mai fare un portfolio con scatti B&N e colore insieme. Ma soprattutto ed immancabile coerenza. Deve essere palese che ogni pezzo è parte dell’insieme finale. Ogni foto deve risultare una parte che è naturale rimandi al lavoro finale. credimi, costruire un portfolio ottimale non è cosa semplice e spesse volte quello che è palese per l’autore non lo è per chi lo vede, perché il bagaglio autoriale non è uguale del fruitore. Se per esempio propongo un reportage su una località io come autore so che non ho inserito quella tipologia di scatto a quel posto ma un altro tipo di inquadratura perché io sono stato fisicamente sul posto. Ma chi vede il lavoro magari non è stato li e quanto è palese per l’autore non lo è per lui. Se poi andiamo in ambito concettuale i portfoli diventano ancora maggiormente impegnativi per essere fluidi e coerenti perché spesso sono presupposte conoscenze e ricerca sull’argomento. Magari un lavoro che all’autore ha richiesto impegno, documentazione e studio non è capito perché non è compreso….e spesso vedendolo si è portati a dire: “ma che caga.. é ‘sta roba?”
Marco |
| |  |
Il mezzogiorno di MachuPichu commento di pamar |
|
Dico l’ultima cosa circa il tuo lavoro ed in particolare sulla rielaborazione che hai postato con texture e prospettiva riviste. Poi chiudo, perché quanto dovevo dire penso di averlo detto e quanto penso io e quale è il tuo punto di vista è altrettanto emerso chiaramente. Le critiche che ti ho mosso non riguardano l’aspetto estetico della tua fotografia. Non riguardano migliorie grafiche o sui colori oppure valutazioni sul taglio o la prospettiva. Questa fotografia se la proponi contrastata o in B&N o con vista dall’altro lato o quanto vuoi, rimane uguale per quanto concerne la sua capacità di comunicare. Quanto tu ci vedi come autore non emerge. Un qualsiasi fruitore non è in grado di comprendere quanto tu vorresti che comunichi. E questo non dipende dall’essere un pubblico selezionato o meno, ma dalla assenza di connotati che solo tu come autore conosci ma che chiunque altro, anche un Leonardo Da Vinci o Einstein o Michelangelo o chi vuoi, non saprebbero rilevare. Una fotografia efficace dipende in primo luogo da come è rappresentata l’idea che ne è alla base (attenzione, non ho detto dalla bellezza del soggetto), poi chiaramente dall’abilità di proporre lo scatto (taglio, contrasti, tinte, pdr ecc.) ma se manca un’idea valida o se tale idea non riesce ad emergere…..allora c’è poco da fare.
Marco |
| |  |
| |  |
Il mezzogiorno di MachuPichu commento di pamar |
|
MachuPichu ha scritto: |
Dal numero di like presi su instagram ho notato che, paradossalmente, ciò che sembra 'comunicare tanto' ad un pubblico non selezionato siano i landscape dove la scena c'è già di natura. La cui realizzazione tuttavia mi richiede solo di prendere la fotocamera e scattare. Mentre per questa ho dovuto pure riflettere su angolazione e tempi per scegliere cosa includere e cosa escludere.
. |
Mmm..... "pubblico non selezionato". perdonami ma cosa intendi con questo termine? Io personalmente ritengo che in generale chi è noto come grande artista (in ogni campo dell'arte) non abbia mai voluto rivolgersi solo ad una casta particolare ed in grado fra molti di capirlo. Comunque... rimango di sasso leggendo come ti poni verso una foto di un bel paesaggio... basta scattare.... é tutto nel soggetto.... ma si, hai ragione, in fondo tutti facciamo scatti uguali a quelli di A. Adams o Fatali....
Marco |
| | br> |