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Taccuino fotografico
Appunti su alcuni scatti che ci hanno colpito.
Il selfie e l'autoritratto, tra dipendenza e racconto di sé

Foto di marco.rilli
di onaizit8

* * *

Offrendomisi la possibilità di preparare un redazionale per la nota e pregevole Rubrica di photo4u chiamata “Taccuino fotografico” ho deciso, fra i tanti potenziali argomenti da trattare e prendere in analisi o ancora di più fra un nugolo pressoché indicibile di interessanti fotografie da porre a commento o da studiare in profondità, di cominciare con una trattazione su un segmento della fotografia che ritengo sia sempre interessante, ovverosia quello dell’ ”AUTORITRATTO”.

Premetto che l’argomento prescelto è stato già approfondito in precedenza dal preparatissimo autore del nostro Portale, fra l’altro anche mio profondo e carissimo amico, “Surgeon” e ribadisco qui che la sua analisi è per certi versi ineguagliabile ed esaustiva. Ciò nonostante ritengo, con questo mio nuovo intervento, di attualizzare o implementare la sua analisi, con risvolti di interesse fotografico ma anche sociale e psicologico altrettanto interessanti e importanti, che si sono manifestati in maniera conclamata proprio negli ultimi anni e successivamente alla data del suo intervento sull’argomento in materia.
Propongo qui infatti un confronto didattico, ma che interessa anche la fenomenologia culturale e sociale, fra il modo classico di fare “Autoritratto”, pervenutoci storicamente prima dalla pittura e poi dalla fotografia, con quello più recente e moderno di fare “Selfie”, che rappresenta invece - sicuramente - una “evoluzione” della fattispecie tecnologica ma anche della comunicazione visiva e allo stesso tempo, a mio avviso, una “involuzione” in termici di ricerca artistica e di espressività semantica.

Mi spiego meglio.

Nell’ultimo decennio in particolare, grazie alla smisurata propagazione di smartphone, avvenuta di pari passo con l’avvento dei social network, il modo e l’uso dell’Autoritratto classico si è progressivamente trasformato ed evaporato in maniera esponenziale nel modo e nell’uso di fare il Selfie.

Ancora una volta una parola della lingua italiana è stata aberrata e trasformata con l’adozione di un inglesismo spurio come “Self”, a cui è stato aggiunto il suffisso “ie”, che aggiunge un senso vezzeggiativo alla parola autoritratto, ma anche un senso riduttivo sul piano dell’intimità col proprio “sé”.

Interrogandosi sul perché del fenomeno dilagante possiamo subito individuare una semplice ragione tecnica connessa allo strumento fotografico per eccellenza, ossia la macchina fotografica.
Infatti, prima per farsi un autoritratto si girava la macchina fotografica con la lente rivolta verso di noi, utilizzando un punto d’appoggio o un cavalletto, cosa che, non essendo così comoda, riduceva sicuramente l’uso e l’abitudine ad autoritrarsi. Compiere questo gesto induceva il fotografo a fare una scelta precisa e significativa, traduceva un bisogno, adottando un modo meno improvvisato di adesso. Farsi un autoritratto induceva una ricerca introspettiva, un' analisi degli aspetti estetici ed emotivi e di conseguenza comportava la ricerca della maniera più corretta e funzionale per dare una immagine il più aderente possibile alla realtà espressiva del proprio “sé”: o di quella che piaceva a se stessi o di quella che, proprio attraverso l’esercizio dell’autoritratto, si cercava di cogliere.

Con l’uso dello smartphone e della relativa telecamera, orientabile frontalmente con un clic che ne reversa l’uso dall’esterno verso l’interno, tutto è stato semplificato e reso accessibile. L’impiego dei social e la loro cassa di espansione hanno amplificato e reso rapido e facile il processo di auto-rappresentazione a livelli inflazionistici e anche pericolosi e dannosi come vedremo nel proseguo della mia traccia.
Insomma, abbiamo visto che le grandi trasformazioni spesso avvengono per mano di piccoli cambiamenti, sovente con ripercussioni che varcano le aspettative dell’inventore.

Un paradigma fondamentale della “fotografia”, modificandosi, è stato ormai quasi soppiantato.

Un altro evento saliente nella storia della diffusione dei selfie è stato sicuramente lo scatto realizzato durante la notte degli Oscar del 2014, raffigurante contemporaneamente attori del calibro di Meryl Streep, Brad Pitt, Julia Roberts, Kevin Spacey e Bradley Cooper. Nonostante fosse un’ abile trovata commerciale per il lancio del cellulare di una nota marca, la planetaria diffusione di quell’immagine permise al selfie di entrare a far parte della quotidianità globale, anche attraverso il fenomeno dell’emulazione e la divulgazione per il tramite delle sempre più utilizzate piattaforme social.

Il selfie può essere usato per foto ricordo di un particolare momento della propria vita che si sta vivendo singolarmente o in gruppo ed incarnare la semplice testimonianza di un’importante esperienza.
E fin qui a mio avviso tutto rientra e poteva rientrare nella norma e nell’accettabilità del fenomeno.
Col proseguire dei tempi invece fare un selfie è diventata una moda “smodata”, una vera e propria mania, una fissazione e un’ abitudine diffusa specialmente fra i giovanissimi, travalicando la normalità di un attitudine per diventare una forma in taluni casi psicotica.
Si fotografa e ci si fotografa da soli o in compagnia del partner o di altri amici e gruppi quasi ad ogni occasione, si assiste anche per strada ad atteggiamenti esosi e un po’ presuntuosi e narcisi.

Interroghiamoci adesso sul perché di questo dilagare di selfie, spesso vacui di contenuto realmente interessante dal punto di vista fotografico e narrativo.

Secondo i ricercatori alla base della “selfite” potrebbe risiedere una grande ricerca di attenzione, dovuta sia ad una carenza di autostima, sia al bisogno incontrollato di sentirsi parte di un gruppo da cui ci si sente esclusi. Postando continuamente foto di sé, le persone sperano inconsciamente di migliorare la propria posizione sociale e di sentirsi parte di un gruppo.
Personalmente concordo con queste osservazioni: maggiore è la frequenza del selfie, maggiore è la possibilità che alla base ci sia un profondo senso di vuoto da colmare.

Gli psicologi sostengono che la mania incontrollabile di farsi selfie e di postarli sui social network sia una vera e propria condizione mentale psicopatologica.

Si scopre ad esempio da alcuni studi condotti da ben due Università Indiane (l’India infatti è il Paese che ha il maggior numero di utenti su Facebook e allo stesso tempo il più alto numero di morti a causa del tentativo di farsi selfie in luoghi pericolosi) che i gruppi di abitudinari all’autoritratto da smartphone e le fasi del processo sono tre:
- Cronico
- Acuto
- Borderline

Il primo caso è quello meno grave ed è rappresentato dalle persone che si fanno selfie almeno tre volte al giorno, ma non li pubblicano sul web. Al secondo appartengono coloro che non solo si scattano le foto ma le pubblicano anche sui social media. Nella terza posizione, la più grave, ci sono infine i soggetti che si scattano selfie durante tutto il giorno, pubblicandoli online più di sei volte al giorno.

Nel lungo periodo accade che questo atteggiamento sia riconducibile ad un esasperato bisogno di esibizionismo, rivelando la parte più narcisa di chi produce innumerevoli "autoritratti" vuoti di significato.

Concludo questa prima parte con una ultima considerazione avallata da psicologi e studiosi del fenomeno: il rischio per chi diviene dipendente dai selfie è quello di cadere nella trappola del "mi piace", di vivere una vita in funzione della validazione e dell’approvazione altrui.

* * *

Diverse invece sono l’intenzionalità, la profondità e il senso di un autoritratto.

Chi si cimenta nella realizzazione di una foto di se stesso deve ritagliarsi innanzitutto il tempo necessario alla preparazione e alla progettazione dell’immagine, a partire dalle impostazioni di tempo e diaframma sull’apparecchio fotografico. Deve inoltre aver cura di organizzare la collocazione della macchina su un cavalletto; la valutazione e la stima della zona che entrerebbe nell’inquadratura; l’illuminazione, che sia adeguata anche al mood dell’immagine che si vuole dare e rappresentare; la scelta dello sfondo e dell’ambientazione, fino alla scelta di usare il timer sulla macchina o invece lo scatto remoto con flessibile comandato a mano e anche altri accorgimenti che ometto di elencare.

Inoltre, colui che si autoritrae deve decidere quale abito indossare, quale posa, quale espressione assumere, se sorridere o no, se guardare dentro l’obiettivo o meno, se includere nell’inquadratura elementi aggiuntivi e accessori che sappiano raccontare se stesso e che sappiano dare indizi sulla propria personalità.

Chi si autoritrae, in altri termini, cerca di capire preventivamente se tutto funzioni a dovere e sappia esprimere ciò che vuole far trasparire dall’immagine di se stesso; se, in particolare, questa immagine assomigli davvero al sé che immagina di essere veramente o se quel sé raffigurato rappresenti soltanto una visione transitoria dell’essere, uno stato d’animo, una condizione sociale, psicologica o sentimentale del momento.

Spesso in un autoritratto con queste precise caratteristiche non c’è mai niente di assoluto ed è bene che anche lo stesso autore sia consapevole di ciò.

Addirittura chi si autoritrae può decidere anche di prendersi un po’ in giro, di mettersi in discussione, di far emergere aspetti reconditi e non sospetti o persino contestativi verso il proprio io oppure, ancora, autocelebrativi, comici, drammatici.

Possono esserci autoritratti ambientati nel proprio mondo del lavoro o nel proprio hobby. Comunque sia, essi hanno il preciso scopo di dare attente informazioni di se stessi all’osservatore, incuriosendolo e permettendogli di ricavare impressioni e sensazioni sulla persona autoritratta.

Un autoritratto di un fotografo come noi del portale non può poi ovviamente prescindere da una buona resa tecnica e dalla bellezza formale e compositiva, da una semantica espressiva del volto e della luce che lo scolpisca, facendo assumere al volto e al corpo una valenza incidente. Infine per mettere tutto a punto e correggere possibili sbavature ecco che si può procedere liberamente alle ultime revisioni in fase di post produzione con i programmi di fotoritocco.

Una gestione complessa dunque per il fotoamatore evoluto che intenda confezionare un' immagine di se stesso fortemente valente sul piano della qualità fotografica, sia come aspetto estetico, che di significato; o ancora sotto il profilo della rappresentazione della propria individualità, attraverso le caratteristiche somatiche ed espressive o per mezzo di una raffigurazione che si presti ad interpretazione di derivazione fisiognomica.

A questo punto prenderò in esame una serie di autoritratti scattati da alcuni degli autori che frequentano il nostro portale: realizzazioni fotografiche che corrispondo alle caratteristiche prima elencate e che, a mio avviso, entrano del novero degli autoritratti ben eseguiti e significativi dal punto di vista della ricerca fotografica.

Questi autoritratti sono confrontabili con i selfies di scarsa qualità e interesse, che compaiono regolarmente sulle pagine del Web, inesorabilmente ogni giorno; con i sefies che hanno “inquinato” quella che era una ben delineata e precisa categoria nell’ ambito della fotografia. Una categoria - quella dell'autoritratto artistico - che invece va recuperata e che dobbiamo almeno noi continuare a curare nella maniera più consona.

Non capita spesso di farsi un autoritratto serio e ricercato fotograficamente con tutte le cure del caso; sicuramente ne potremmo realizzare uno ogni qualche mese, ma sono convinto anche e più facilmente ogni qualche anno e non 10 in quattro minuti con l’ansia di pubblicarlo subito sulle pagine del Web.

Ma soprattutto capita raramente di farsi un autoritratto che ci piaccia, condizione questa che solitamente si accompagna all’ apprezzamento anche degli altri: non la massa di persone che invece non abbiamo mai visto dal vivo come accade sui Social, ma persone che si intendono di fotografia e che sanno valutare il valore dell’immagine, come gli amici stretti, oppure i familiari o i compagni fotoamatori che incontriamo alle riunioni settimanali del Circolo fotografico.

Comincio la campionatura di foto scelte con un simpatico quanto mai curioso ritratto di Marco Rilli, il quale oltre a fotografare simpaticamente e sarcasticamente sé stesso, fotografa a mio avviso, con grande aderenza, quella che è stata una situazione di vita per molte persone nel periodo del Lock Down da Covid 19, ovverosia il lavoro in Smart Working.

Si sta comodamente seduti anche nella stanza da bagno attaccati al pc portatile senza rinunciare alla parvenza professionale indossando la giacca, ma senza rinunciare alla comodità dello stare in casa in mutande e calzini.

Ovviamente si possono dare altre interpretazioni di questo fantastico autoritratto ma io preferisco più volentieri questa, perché ha assomigliato a molti di noi e anche a me.

Tecnicamente ineccepibile con un bianco e nero sobrio che aiuta a concettualizzare il contenuto dell’immagine ed una espressione senza imbarazzo e anzi molto serena e rilassata.


[b:36abf3e908][i:36abf3e908]Autoritratto ai tempi della pandemia, di marco.rilli[/i:36abf3e908][/b:36abf3e908]

La seconda fotografia è quella di petegiu, che ci mostra la sua passione per la fotografia attraverso il suo volto, nel quale la pupilla dell’occhio destro è sostituita con quella, quasi perfettamente uguale come dimensioni, data dalla lente di un buon obiettivo “targato” Olympus. Il bianco e nero presenta una buona gamma dinamica, con una impostazione del diaframma che garantisce una messa a fuoco limitata ed una percezione naturale dell’incarnato. Il sorriso è sereno e sembra appartenere ad una persona molto gioviale, simpatica e umana. Pinzo e baffi accurati e addosso una felpa che delinea il carattere di una personalità semplice ma accurata nei modi e nei gesti precisi come quello della mano che sorregge l’obiettivo.


[b:36abf3e908][i:36abf3e908]Io, di petegiu[/i:36abf3e908][/b:36abf3e908]

Il terzo autoritratto che prendo ad esempio è quello di Antonio Mercadante.

Una espressione quasi dura, sicuramente decisa, con uno sguardo profondo e magnetico che cattura l’osservazione dell’interlocutore visivo.

I segni sul volto sono difficili da decifrare, non è possibile individuare cosa possa averli impressi, ma forse sono dovuti al fatto di indossare lungamente una mascherina

L’aspetto eclettico dell’immagine è dato dalla sintesi espressiva del doppio volto riflesso sulla lente della macchinetta fotografica adoperata per l’occasione: la foto sembra scattata davanti allo specchio di una stanza da bagno, visto lo sfondo di piastrelle blu che si nota dietro la testa.

Nel ritratto ci trovo qualcosa di quella sofferenza che spesso affiora dalle tante immagini dei quartieri che Antonio ci mostra mirabilmente nelle sue foto.


[b:36abf3e908][i:36abf3e908]Segni, di Antonio Mercadante[/i:36abf3e908][/b:36abf3e908]

Chicco70 invece si mostra in una immagine “inondata” di spruzzi d’acqua a simboleggiare il suo probabile amore per l’immersione acquatica come sub, attitudine che sottolinea anche nel titolo da esso scelto per l’immagine. Anche il blu univoco dei toni del frame e quella bella sfera di luce filtrata dallo spumeggiare dell’acqua trasferiscono bene e con efficacia il senso della dimensione acquatica del ritratto e trovo l’immagine piuttosto suggestiva e riuscita.


[b:36abf3e908][i:36abf3e908]Subselfie, di chicco70[/i:36abf3e908][/b:36abf3e908]

Luigi Gargiulo si coglie in un frangente sicuramente importante della sua vita ovvero quello di futuro padre e lo fa con un immagine dall’espressione molto romantica e tenera coinvolgendo la sua compagna che ospita la vita del frutto del loro amore, un figlio.

La luce naturale ben rischiarata conferisce alla foto un effetto flou e delicato, quasi sognante e la posizione delle mani di Luigi esprimono allo stesso tempo un senso di protezione, amore ma anche un senso di forte riguardo verso l’elemento così prezioso e delicato che il pancione sembra contenere in tutta la sua armoniosa e feconda rotondità.

Bello il fatto di far prevalere in un autoritratto il ruolo che si esplica piuttosto che una assolutezza di personalità univoca che sottolinea ancora una volta di più quanto sia Sacrale pratogonista assoluto l’avvento misterioso e cosmico nonché Divino del Dono di una nuovo nascita.


[b:36abf3e908][i:36abf3e908]Autoritratto, di Luigi Gargiulo[/i:36abf3e908][/b:36abf3e908]

Un altro ritratto intenso è quello di 1962, il quale sa esprimere il suo accento tecnologico e grafico, tradotto anche nel modo di fare fotografia con le sue belle invenzioni visive sia di Artwork che di altro genere, che contraddistingue con la sua precisione compositiva e nitidezza.

Un ritratto che lo vede racchiudere il volto quasi completamente nella sua mano grande. L’occhio è accentuato nella sua fissità concettuale da una messa a fuoco selettivissima.

Un occhio che sembra poter scrutare i particolari, quasi un occhio digitale come di fatto accostato a quello di una telecamerina da smartphone che sembra sostituire l’altro e pone subito l’idea di un paragone tecnico.

Il tutto è affidato ad un bianco e nero a toni brillanti e chiari che acuisce il senso eclettico dell’autoritratto.


[b:36abf3e908][i:36abf3e908]..., di 1962[/i:36abf3e908][/b:36abf3e908]

Ed ecco una visione del sé spaccata a metà. E’ quella del volto ad un solo emisfero una pratica che nel tempo è divenuta abbastanza ricorrente ed offre una buona soluzione compositiva che rilascia anche la possibilità di una maggiore analisi psicologica introspettiva del sé fotografico, sia per chi lo osserva, sia per chi lo esegue.

Francesco Ercolano ci parla di un autoritratto scattato non proprio da solo ma con l’ausilio di un amico che era venuto a trovarlo.

E’ fondamentalmente un autoritratto perché guidato dalle indicazioni proprio di Francesco che ha impostato la macchina fotografica in antecedenza allo scatto e previsualizzato l’inquadratura.

Lo scatto ci parla di una persona cordiale, paffuta, dallo sguardo intuitivo ma buono. L’episodio e il contesto inoltre ci narrano di una persona avvezza alla moltitudine di incontri personali e amicizie coltivate con sincerità e questo delinea il carattere proprio dell’autore.


[b:36abf3e908][i:36abf3e908] Francesco, di Francesco Ercolano[/i:36abf3e908][/b:36abf3e908]

Enrico Lorenzetti parla di sè come un uomo che si affaccia e si intravede attraverso i vetri di una finestra vetusta di una casa abbandonata, soluzione che adotta più di una volta come cornice del “sé” sempre apportando comunque varianti interessanti sia del suo volto che del contesto.

Un modo di vedersi a mio avviso fortemente in contrasto con le sue caratteristiche somatiche che tracciano espressioni di un uomo arguto, dallo sguardo vivace, fascinoso e brillante nel modo di essere e porgersi nei rapporti con gli altri.

L’immagine racchiude in sé anche un appello che evidentemente in questo frangente temporale che stiamo vivendo è molto caro a Enrico e credo a tutti noi. Un rifiuto alla guerra scritto chiaramente anche sui vetri sporchi di terra e polvere sedimentata dal tempo. E anche questo ci racconta di chi è Enrico nel suo di dentro.


[b:36abf3e908][i:36abf3e908] PACE!, di Enrico Lorenzetti[/i:36abf3e908][/b:36abf3e908]

Un autoscatto molto intenso ci perviene da Ricky77. Il volto sembra immerso nel buio e sembra come se si fosse avvicinato in punta di naso verso la fonte di illuminazione, una fonte piuttosto piccola e povera che si intuisce nel riflesso negli occhi posta sottostante alla camera fotografica. Non escludo che possa trattarsi di uno scatto fatto col cellulare. Ne deriva la pregnanza di un volto dai lineamenti decisi e si nota la probabile abitudine di fumare un bel sigaro, anche se nell’immagine è ancora spento. La foto ha un aspetto un po’ da cinema “Noir” ma è molto efficace. A volte si riesce ad ottenere un bel risultato anche con pochissimi mezzi a disposizione se ben usati.


[b:36abf3e908][i:36abf3e908] Autoscatto, di Ricky77[/i:36abf3e908][/b:36abf3e908]

Concludo in bellezza con un autoritratto eseguito dal bravo Pulchrum che ci dimostra più che mai il suo amore e la sua passione per la montagna e per le sue camminate.

Antepone la sua figura e il suo volto a quello dell’interesse generale del suo”sé” che lo colloca in perfetta simbiosi e immersione nell’ambiente che ama di più e che lo forgia sicuramente anche nel corpo e nello spirito.

Lo scatto è apprezzabile anche come tecnica fotografica applicata per la sua realizzazione.

Molto bella la costruzione dell’inquadrata ideata e la sensazione che rilascia nell’osservatore che lo vede esposto quasi sulla linea di un precipizio in perfetta silhouette dove il corpo sembra assumere quasi l’asprezza e la veridicità fisica di un uomo primordiale ma evoluto. Le vette sull’altro lato costituiscono un ideale ponte fra la sua volontà mentale di raggiungerle a volo d’uccello e invece la fatica di scalare un sentiero.

Per me un modo molto originale e profondo di intendere un autoritratto in maniera indiretta ed originale.


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