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photo4u.it - Interviste
Dialogo tra Teresa e un "non so" - Parte I
In questa rubrica presenteremo i fotografi amatoriali e professionisti che si affacciano al nostro portale, proponendo i loro scatti e interagendo con consigli e commenti con gli altri utenti del forum.

Attraverso le domande della redazione e le relative risposte, qualche fotografie che li ritrae di persona e i link alla loro attività o alle pagine social/siti personali, “5 minuti con …” si propone di aprire una finestra sul mondo degli utenti scelti di volta in volta per poter conoscere più approfonditamente coloro con cui quotidianamente ci confrontiamo, tanto da considerarli amici, pur non avendoli mai visti di persona.

Questa volta ho intervistato per voi: randagino, al secolo Alessandro Cucchiero

Profilo su p4u - Gallery su p4u

randaginorandaginorandagino
lungofiumedivieto di blurettangolo nero in arancione


Dal canto suo Alessandro Cucchiero ha intervistato … : Teresa Zanetti

Profilo su p4u - Gallery su p4u

teresa zanettiteresa zanettiteresa zanetti
time is running outchromosaturationnella riserva di pesca di clara ravaglia


Ne è venuta fuori un’intervista doppia che, speriamo, possa tenervi compagnia (è decisamente corposa!) in questi giorni di riposo forzato quasi per tutti.

Tere: Raccontami un po' di te: come sei arrivato alla fotografia, che cosa ti piace del "fotografare", che cosa cerchi nella "fotografia", quali sono i tuoi punti di riferimento (non necessariamente altri fotografi, Walker Evans, ad esempio, sosteneva di aver imparato a fotografare da Flaubert)

Alessandro: Pur non essendo toscano toscano, spero che la toscanitudine mi sostenga ugualmente in questa impresa.

Cominciamo. Smile

È da tanto che maneggio macchine fotografiche, ma senza troppo impegno, un po' come fa tutta la gente normale con questi attrezzi. Spero di non offendere nessuno a chiamarli attrezzi, ma alla fine questo sono. Attrezzi per fermare il tempo, per fissare un ricordo, un momento, un posto. Quelli più bravi riescono anche a fissare un'idea, un'emozione, ma normalmente ci si accontenta della funzione standard, e io tra quelli.

Mio padre aveva una Zeiss Ikon che mi ha insegnato a usare molto presto e di cui incredibilmente non è mai stato troppo geloso, non ostante fosse un tipo precisino che teneva parecchio alle sue cose. Ricordo la custodia consumata di cuoio chiaro, la spezzatura del telemetro, le coppie tempo/apertura da mandare a memoria; anche dei filtri colorati, tanto belli quanto mai usati.

C’era anche un esposimetro grande un palmo: pigiavi un pulsante, di scatto si apriva uno sportellino e la lancetta si muoveva a seconda della luce. Per fare cosa non ho mai approfondito, come per i filtri, però era affascinante. Comunque sia, consapevole o no, così ho imparato i rudimenti.

Negli anni settanta sono entrato nel mondo reflex con una Olympus OM1 che mi ha dato grande soddisfazione.
Allora usava, tra i ragazzi. C’era una cultura fotografica strisciante che ti contagiava. Ma anche lì non mi sono mai impegnato gran che. Al principio pellicola normale, poi quella invertibile, decisamente più esuberante e amichevole, ma soprattutto molto socializzante rispetto alle stampe casalinghe.

A volte pure troppo: ricordo certe tragiche serate con proiezioni interminabili di diapositive tutte uguali… Very Happy
Poi, gradatamente, ho lasciato perdere, giusto qualche foto qua e là senza troppi pensieri. La fotografia continuava a piacermi, certo, ma così, in generale. Mi bastava guardare le foto degli altri. Qualche mostra, riviste, niente di troppo coinvolgente.

Un lungo intervallo vuoto in cui peraltro è successo di tutto: la fotografia si può fare con i numeri, la dea Kodak è riuscita a fallire, i computer dalla NASA sono entrati in casa nostra e il tentacolare web regna ovunque sovrano. Oggi basta un hard disk grande come un libretto per inghiottire non solo tutti i libretti di casa, ma pure dischi, foto, diapositive, e pure i filmini, se ci sono… Tutto lì dentro, e avanza pure posto.

Fantascienza.

Senza contare che volendo si potrebbe pure fare a meno pure del disco fisico, usando il cloud…

Ecco, a proposito di web, penso che sia stata proprio quella la molla per tornare a scattare. La scoperta di forum e gallerie sterminate,
discussioni, gente disponibile… tutto lì a portata di mano senza nemmeno uscire di casa. Quello, insieme naturalmente al fatto di avere nuovamente tra le mani una macchina sul genere dei vecchi tempi, anche se digitale. Modesta, ma bastante.

E ora le tue domande.

Del fotografare banalmente mi piace il risultato. Il come ci sono arrivato mi interessa meno, e quel che è peggio spesso non me lo ricordo. Very Happy

Da questo deriva dritta dritta la risposta successiva: nelle mie foto cerco il piacere. Che può essere puramente estetico-contemplativo o anche solamente il fatto di riuscire a fare qualcosa di rilevante per le mie capacità o conoscenze. Oddio, forse "piacere" è una parola un zinzino impegnativa: magari è meglio dire soddisfazione, ecco.

Sui riferimenti, invece, mi tocca stare più sul vago. Nomi di preciso non ne so fare, ma mi piace pensare che tutte le fotografie che ho visto abbiano lasciato il loro micro sedimento nella mia disastrata memoria; magari io non me ne accorgo, ma sono convinto che il
mio cervello sia molto più scaltro di me. Smile Pensando ai classici nostrani, mi viene in testa Fontana, o anche un po' di Basilico, ma pure Ghirri mi stuzzica, e chissà quanti altri se solo me li ricordassi.

Ma se è per quello, ho avuto anche delle cotte giovanili per la Arbus e per Cartier-Bresson; ma pur con tutta l'ammirazione di questo mondo, nelle mie foto dubito assai che ci possa essere traccia di loro.

Riferimenti li potrei trovare anche nella pittura. I metafisici, i surrealisti, non saprei bene, però è tutta gente che sono
sicuro ha lasciato un qualche segno. O almeno mi piace pensarlo.

Penso anche agli iperrealisti, ma lì mi sembra che siano loro a rubare alla fotografia, e allora non vale.
Anche Hopper mi piace tanto… Molto “fotografico”. Ma ripeto, preferisco stare su vago. E poi è tutto un mescolarsi di cose.

Come dicevi tu, l’ispirazione gioca molto di sponda, e può passare da un libro a una foto senza rendersi conto…

Non so, io mi fermerei qui.

Che ti pare? Merita continuare?

randaginorandaginorandagino
due finestrellepersa in latteriacapogiro


Tere: Certo che merita continuare! Mi piace il tuo modo di intendere la fotografia.
E il tuo modo di raccontarti: pacato e senza sensazionalismi.

Sono d'accordo sul fatto che tutte le immagini (non solo fotografiche) che ci passano davanti lasciano un deposito nei nostri occhi. Ci sono fili sottili che portano da Niépce a Eugène Atget e August Sander e da loro a Walker Evans e Berenice Abbott, e via via a tutti gli altri, di qua e di là dall'Oceano, e penso a Robert Frank (a proposito, sapevi che era Svizzero?), a Robert Adams, a Egglestone e Shore, Fontana (lo metto tra gli Americani ...), Ghirri, Basilico, Barbieri (Olivo) o Guido Guidi ...

Ognuno di loro, dalla veduta di Gras ai paesaggi intorno a Cesena, ha registrato e documentato lo spazio in cui abita (o ha abitato), in una raccolta senza gerarchia, in cui l'incrocio di strade vale tanto quanto il monumento (e questa è l'eredità di Caravaggio).

E Hopper con loro. Dici bene "molto fotografico".

I suoi quadri sono fotografie piene di errori da principianti della fotografia: camini e tetti e sedie tagliati in punti assurdi,
volti nascosti da pali, chiusure ai vertici mancate di pochi centimetri.

Questo è genio.

Aggiungerei anche Gerhard Richter, quello di ATLAS, ma poi il discorso si allargherebbe troppo...

Una documentazione "close up" (se mi si passa il termine), spesso, la tua, che fa del dettaglio la chiave di lettura dello spazio più ampio. Un'astrazione dal contesto che riporta inesorabilmente al contesto: come nelle seguenti tue foto:








Alessandro: Hai nominato un sacco di gente, non sono mica sicuro di averli tutti ben presenti: urge salutare ripasso. Smile

Mi racconto così un po’ per carattere, ma soprattutto perché sono davvero l’ultimo arrivato. Sono solo cinque anni che fotografo con una certa costanza e attenzione, e puoi immaginare come mi senta nell’essere accanto a gente che lo fa da una vita, o gente come te che sa cose che voi umani… Very Happy E poi sono un tipo molto insicuro e sempre in attesa di scattare l’ultima foto perché poi la voglia se n’è andata. È già successo, solo che adesso il tempo strige la borsa, per dirla con Guccini (sorry per le mie citazioni Very Happy )

Mi ha fatto proprio sorridere un ipotetico Hopper, nuovo utente del forum, che viene ripreso da tutti sul taglio delle sedie e sugli spigolini giustificati. Esilarante ma vero. Però è così che si fa in posti che devono insegnare. Regole che ormai sono note urbi et orbi, per i nuovi arrivati non lo sono, e immagino che il ricambio sia continuo. Certo, non si vive di sola didattica e a tratti può essere noioso, ma c’è caso e caso, e normalmente mi pare che si crei spontaneamente il giusto mix.

Magari c'entra il principio dei vasi comunicanti, le conoscenze si spostano e rapidamente torna l’equilibrio. E poi bisogna sempre ricordare che non sono regole bizzarre pensate da un Grande Artista tiranno, sono constatazioni statistiche della gradevolezza umana di migliaia di opere. E certo non sempre valgono, e certo poi ognuno fa quel che gli pare, ma sicuramente sono un bagaglio importante. E a ricordarsele si parte avvantaggiati.

La prima foto che nomini è un classico caso di foto ingannatrice.

È una porzione di un parcheggio più grande e pieno di altre cose, macchine, passanti, pali… Questo piccolo vuoto mi aveva colpito e sono rimasto poi stupito io per primo dall’effetto amplificatore del ritaglio. Forse perché la nostra mente tende spontaneamente a colmare i vuoti, ma succede spesso che da un dettaglio si presuma con naturalezza il tutto. Si pensa: se questa cosa è così, anche il resto sarà così. È un sillogismo sbagliato ma naturale, ma c’è anche da dire che spesso ci si azzecca, alla faccia della fallacia del ragionamento. Nella foto c’è il contributo fondamentale dell’edificio, che sembra la nuda idea di casa, vuota pure lei, ma l’insieme porta ad allargare questa sensazione di vuoto fisico (compresa la presunzione del contorno) alla dimensione temporale e si genera un senso di attesa, che insieme al vuoto ci sta benissimo, mi pare…

Per la seconda, invece, è precaria anche la mia spiegazione. È una foto che ho tenuto da parte per mesi: mi piaceva ma avevo la netta sensazione che piacesse solo a me. Tonalità, giochi di luce, abbandono, quel tocco di arancione, la suddivisione ortogonale, elementi di interesse ci sarebbero anche, ma insomma, non è che sia così speciale. Eppure mi piace lo stesso. Toh!

Forse —dico: forse— deve essere qualche suggestione pittorica.

Nella terza c’è un contrasto tra materiali asettici e taglienti come acciaio e cristallo e quelli in basso, già frusti e sporcati dall’incuria. Anche qui, volendo, dal particolare di questo contrasto è abbastanza facile ampliare il discorso all’uso della città, al nascere e decadere di un progetto, al tempo relativo, eccetera. Ma alla base, come per il resto di quello che faccio, c’è sempre un preteso
godimento estetico. Al solito: prima mi piace e poi posso chiedermi il perché. Ma non sempre... Very Happy

Tere: Non scusarti!

Le citazioni, in specie se del vate di Pàvana, sono ben più che da apprezzare! Oltre al fatto che le chiami "citazioni" e non "quotazioni"! Very Happy Very Happy Very Happy

Quanto alle regole bizzarre pensate da un grande artista ... Beh, valgono solamente per questa parte del mondo. In Oriente invece apprezzano l'asimmetria, le cose che manifestano i segni del tempo e sono indefinite, non perfettamente nitide.

Non solo.

Fechner (un simpatico psicologo dei primi del Novecento) si è dannato l'anima per dimostrare (con innumerevoli esperimenti su un vasto campione di soggetti) che disegni costruiti secondo la regola della spirale aurea sono più piacevoli di altri e ... il risultato è che invece no, non lo sono. E quel che è peggio è che esiste il fondato sospetto che nemmeno la spirale aurea esista davvero.
Ma sia nient'altro che una costruzione culturale. In sostanza se la cerchi, magari ossessivamente, la trovi.

E pure la prospettiva centrale monofocale è un'invenzione culturale. Di Brunelleschi, Alberti e Bramante.

E lo so che sto gettando una bestemmia in chiesa,perché le regole sono maledettamente rassicuranti ci danno l'impressione che a seguirle pedissequamente non si sbagli.

Perché sperimentare implica l'errore, cosa che ci spaventa. Ma purtroppo (o per fortuna) l'accademia è stata superata da oltre un secolo. E noi siamo ancora qui a dannarci l'anima per tentare seguirla. Il problema, semmai, è quando "l'antiaccademia" si trasformi a sua volta in accademia, le non regole diventano nuove regole e ... insomma bisogna aspettare sempre che si presenti qualche bastian contrario che lanci sassi nello stagno.

Detto questo (adoooooro risultare odiosa e saccente) passiamo oltre.

L'hanno sostenuto in molti, in molti modi diversi, ne menziono due a caso: Sontag e Battaglia, solo perché sono donne, troppi credono fermamente che una bella fotografia sia la fotografia di una cosa bella. Ma la vera sfida è fare buone fotografie, indipendentemente dal soggetto. Le qualità estetiche del "fotografico" non coincidono con quelle del soggetto fotografato

Alessandro: {odiosa e saccente}

Mi dispiace per te, ma non ti riesce molto. Very Happy Si annusa che sai un sacco di cose e che ti diverte parlarne, ma —appunto— traspare di più la comunicatività della saccenteria.
Ti devi impegnare di più sei vuoi risultare anche odiosina. I modelli non mancano. Wink

randaginorandaginorandagino
il silenzio tra i treniondaMAAT, Lisbona


{oriente}

Sono stregato dal Giappone. Sarà perché c’è andato inopinatamente a vivere il mio compagno di banco del liceo, e dai e dai me lo ha fatto un po’ conoscere, ma di sicuro è il mio oriente preferito. Sia pure in maniera virtuale. Tutto quello che conosco della sua estetica mi piace, dal wabisabi al suiseki. Fatta doverosa eccezione per le foto senza obiettivo del tuo compare Sugimoto, anche se posso capire il piacere dell’indefinito. Smile

(A proposito del mio amico giapponese, c’è un aneddoto carino che riguarda lui e la mia macchina fotografica…)

{costruzioni culturali}

La mia idea di regole fotografiche è molto basica (come il resto, d’altronde), ed è tipica dei principianti che cercano appigli. Ma già ora, ho notato che qualche volta mi viene voglia di dirazzare, e di
non sentirmi nemmeno tanto in colpa. Le sovrapposizioni culturali se non sono regole anche loro, di sicuro tendono a diventarlo. Probabilmente abbiamo una natura tassonomica e la conseguente necessità di modelli per spezzettare il mondo in briciole comprensibili e possibilmente riproducibili.

Come se la realtà fosse un continuo e noi pensassimo in maniera discreta: si va per approssimazione. E non si può negare che spirale aurea, frattali e altre diavolerie descrittive aiutino parecchio.
Tu dici: se le cerchi, poi qualcosa trovi; sì, ma se succede, perché mai buttar via il risultato? La scienza funziona così, finché non viene un altro che confuta la tua scoperta, la scoperta resta.

Niente è definitivo, e l’errore è considerato uno strumento di conoscenza. Bene ha fatto il tuo psicologo a testare l’efficacia della spirale. È così che si fa, provando e riprovando. Resta da vedere se i disegni oltre che "spiralosi", fossero anche belli, perché le variabili in campo sono molte... Mi viene in testa un articolo che ho letto a proposito del famoso uomo vitruviano di Leonardo, in cui si diceva che il tutto risultava maledettamente forzato in uno schema precostituito, vale a dire non tanto un disegno della realtà, quanto piuttosto la realizzazione di un concetto. In effetti, —si può dire?— l’omino zazzeruto risultante dal complesso algoritmo leonardesco non è che sia poi di una bellezza così conturbante. In giro si vede di meglio, ma è la costruzione in sé che è bellissima, a
prescindere dal risultato. Forse è un tipo di estetica anche la ricerca di un modello, non solo la sua applicazione.

Quanto alle accademie, immagino che non possano morire. Smontata una se ne farà subito un’altra, magari chiamandola anti-accademia, perché c’è sempre un pensiero dominante che serve a gestire la maggior parte delle cose, ed è naturale che si coaguli in istituzione. L’importante, come in politica, è che seguirlo non diventi costrizione.

randaginorandaginorandagino
bucatiaccentoincastro


{Le qualità estetiche del "fotografico" non coincidono con
quelle del soggetto fotografato.}


Grande! È il trattato di fotografia più sintetico ed efficace che abbia letto. Mi ha folgorato. Avevo una oscura intuizione, ma giusto quella.

Ora che lo vedo scritto, tutto mi risulta più chiaro: perché mi possa piacere la foto di un muro sbrecciato, o perché esistano foto kitsch, o perché è possibile che passi la voglia di fotografare nei luoghi più fotografati del mondo. Ora però non mi chiedere di sviluppare il concetto, perché di sicuro mi impappinerei.

Ma "sento" che è vero e tanto mi basta. Grazie Tere! Smile

Tere: Cucchiero sei fantastico! Dal Giappone in avanti ero in fibrillazione!

Ma non fare il furbo con me. È certo che ti chiedo di sviluppare il concetto! Almeno un po', via! Ti dò il La: ha a che fare con il percepire, col fatto che "l'insieme" è diverso dalla "somma dei singoli elementi che lo compongono" e con la capacità (e tu ce l'hai) di armonizzare tutti questi elementi per ottenere un tutto coerente.

A presto e buon lavoro!

Alessandro: L’affermazione che l’insieme sia diverso dalla somma dei singoli elementi che lo compongono, da buon orecchiante mi potrebbe ricordare la teoria della Gestalt.
Ricordi parecchio lontani, comunque. Oppure qualche altro “-ismo” un po’ più recente, ma ancora più sconosciuto (tanto, c’è qualche ismo per tutto…). Ma giusto per dire, perché non ne so nulla. Davvero.

(Lo sapevo che non avresti resistito alla voglia di maramaldeggiare!)

Sono un tipo pragmatico, la teoria latita. Però, per quel che mi ricordo, la Gestalt puntava tutte le sue carte sull’oggettivazione della percezione, quasi a volerne trarre una sorta di grammatica da usare anche in campi molto diversi da quello dalle nostre foto, sociologia, psicologia di massa… Si torna un po’ al discorso che si faceva prima, quello delle regole e dei modelli. I meccanismi percettivi sono sicuramente basilari, ma per un pragmatico interessano meno dell’effetto finale complessivo, nel quale entrano molti altri fattori, spesso inaspettati se non addirittura casuali.
Insomma mi verrebbe da spostare l’attenzione dalla cosa in sé a chi la guarda. Se non ho frainteso, anche Barthes col suo "punctum" tendeva a fare una cosa del genere.



(Avvertimi quando incomincio a dire cazzate, mi raccomando)

La foto presenta la sua versione della realtà, il fotografo ci mette del suo a limitare il campo visivo e a elaborare i dati, ma quello che conta è l’occhio di chi guarda. Sarà che mi sono fatto suggestionare da quelli che dicono che nemmeno l’universo esisterebbe se non ci fosse un osservatore, ma penso che il maggior carico sulla foto gravi proprio sullo sguardo dello spettatore. Nota che in questa categoria ci metto anche l’autore stesso quando ha finito di maneggiare la foto. Tant’è che a tutti capita di ripescare una propria foto e vederla ben diversa da quello che ci si ricordava.

Altro che oggettività.

Che la foto presenti la realtà così com’è, è un’idea che ho dovuto superare piuttosto velocemente: non sta in piedi. Proprio come concetto, senza contare la diagnosi impietosa che tra macchina e uomo esiste ancora un gap enorme, l’una vede cose che l’altro non riesce e viceversa. Giusto come curiosità: in termini digitali solo come bruta definizione il nostro occhio viaggia sui 576 megapixel, senza contare la gamma dinamica e altri accidenti. La semplice e non eludibile inquadratura già la cambia di molto la realtà, figurarsi tutto il resto.

Certo, il risultato finale è a sua volta un oggetto reale, e quindi si potrebbe ricominciare coi meccanismi percettivi, ma insomma… Oltretutto, da quando c’è il digitale, anche il discorso sull’oggetto reale sarebbe parecchio opinabile… Very Happy


Ti butto là due pensierini aggiuntivi. Per quel che possono valere, te li giro così come mi sono venuti… Smile

1) La fotografia è l'attività artistica più alla mano che si sia, la più democratica e praticabile. Tecnicamente, suonare uno strumento, scolpire, danzare, non è proprio alla portata del primo che passa; dipingere, un po' di più, ma ci vuole comunque un certo estro. Per fare una foto, invece, basta schiacciare un tasto e fare clic. Che poi ci sia clic e clic, non è nemmeno da dire, ma se le condizioni sono molto favorevoli, anche un macaco può fare una foto interessante. Cronaca recente. Non dico questo per sminuire, al contrario, mi sembra un'ottimo punto di partenza. Una base larghissima non toglie nulla ai talenti che emergono, anzi, direi che li esalta.

Scattiamo a milioni, generando un potenziale impressionante, di cui ovviamente si può vedere solo una minuscola briciolina (anche grazie a voi, tra l’altro). Ed è pure bello pensare che in qualche recondito esistano capolavori dormienti, anche se purtroppo non si vedranno mai. Da quando c'è il digitale è sicuramente tutto più facile, e i cassetti virtuali straripano, ma anche con la costosa e brigosa pellicola poteva accadere, basti pensare alla commovente storia di Vivian Maier.

Detto tra noi: a me dipingere piacerebbe anche, ma sono pigro e trovo che fotografare sia molto più comodo... Very Happy

***

2) Non si può negare che si vedano foto lodatissime che non si discostano molto da foto qualunque. Per la famosa serie: questa la facevo anch'io. Un giudizio alla cieca, come si fa con il vino, potrebbe dare risultati stupefacenti. Però evidentemente vengono considerate non tanto per quello che mostrano o come lo mostrano, quanto per il pensiero che riescono a condensare.
E lo possono fare a qualunque livello di “rifinitura”, se così si può dire. Foto grezze da premio e foto curatissime da cestino, foto dense di cose che valgono come uno scatto vuoto, foto che mostrano e foto che nascondono, nitide e sfocate, coloratissime e tutte nere...

Se ci penso, mi perdo...

Tere: Valgono! E no che non ti perdi, a me pare anzi che queste strade portino a ritrovarsi.

Poi mi piace pensare che magari ho anch'io un po' di merito nel suscitare certi ragionamenti, con la mia fissa di scrivere di qualcosa che non sia la mera tecnica fotografica. E di provocare, magari con posizioni un tantino non ortodosse ... Evidentemente poi qualcuno mi legge anche Very Happy

Certo che la fotografia è democratica e questo ne spiega il successo e la diffusione capillare. Capillarissima! E l'altrettanto pericolosa facilità di manomissione, con il digitale ancora di più (molti hanno cercato di evidenziarlo e tra questi Gursky e Ruff, anche se quella lezione non è stata recepita dai tanti che ne ridono, ma va bene lo stesso).

randaginorandaginorandagino
divisione obliquaspezzatavolume e superficie


Alessandro: Sicuro!

Quando mai mi sarei messo a pensarci sopra, sennò?… È vero che mi sono imbattuto anche in altri dotti dottori che scrivono cose stimolanti, ma di gran lunga sei la più godibile… Very Happy

Tere: È una delle cose più belle che mi siano state dette da quando scrivo di fotografia. Grazie

Alessandro: Parr

Ho avuto un attimo di perplessità di fronte al nome. I nomi me li ricordo sempre molto peggio delle immagini. Infatti mi è bastato vedere la prima foto di Google per ricordarmi subito
di lui. Sì, che mi piace.

Molte delle sue foto ti increspano subito il labbro con un sorriso. Giusto un accenno, in condivisione con un certo sconcerto, peraltro. Un tipo di foto pop (variante pop-sarcastico), coloratissime e ironiche. Sul forum gli direbbero di sicuro di abbassare la saturazione. Se fosse un pittore potrebbe essere un iperrealista, ma gli mancherebbe quella certa comprensione che esce dalle sue foto. Deve essere un tipo acuto, pungente, anche un po’ amaro magari, ma mai accusatorio. Forse è per quello che riesce a ritrarre il kitsch con un garbo che te lo rende simpatico.

Ricorda per certi versi altre foto di Americani (ora ovviamente non mi ricordo chi, ma tu lo saprai di sicuro), ma ha qualcosa di diverso, di troppo “europeo” per confondersi con loro…

> che ne pensi della costruzione dell'archivio, con singole tessere tutte tra loro coerenti Ehm, non sono sicuro di aver capito bene la domanda. Triste
Dimmi due cose in più…

Piuttosto, pensavo: prima dei miei 5 minuti, non sarebbe moOolto più interessante farne cinque con la TereZ? No, per dire… Very Happy

Tere: Mi intervisti tu? Sorpresa per p4u!

Alessandro: Un’intervista delle tue di certo non saprei metterla in piedi, però qualche domandina te la potrei anche fare. Tanto poi tu daresti delle signore risposte e la cosa andrebbe a posto da sola… Very Happy

Però, davvero: com’è che tu non ci sei? O non ti ho trovata? Sai, sono nuovo…

Tere: Non ci sono! Di solito sono io a fare le domande Very Happy

Peraltro credo che da quello che chiedo e da come imposto le interviste si capisca benissimo che tipo di persona sono. E forse per questo (e certo anche per molti altri motivi) non è poi così importante un'intervista a me.

Sulla domanda di prima: nutrire l'archivio di immagini coerenti, come una serie infinita (a differenza di un progetto, che invece è chiuso) da cui poi attingere per creare i propri racconti, usando le fotografie come tessere di mosaici che assumono e conferiscono significati diversi a seconda del contesto in cui sono inserite

Alessandro: {Non ci sono}

Peccato. Sarei molto curioso. Però ci dovresti essere. Se non trovi di meglio, posso anche provare a farlo io, perché no?
Però prima, cerca qualcuno meglio, perché te lo meriteresti…

{nutrire l'archivio di immagini coerenti}

Non so, per prima cosa mi verrebbe da chiedere coerenti con che cosa. Immagino che dopo una fase iniziale (anche lunga) di approccio altalenante al mondo della fotografia, tutti gli autori si assestino in una propria maniera più o meno coerente di scattare. Non parlo di dilettanti come me, ma di autori consolidati, anche non necessariamente professionisti. La vedo come una evoluzione naturale.

Quello che dici dovrebbe essere implicito dopo qualche tempo che uno fotografa, e tanto più vero quanto più uno è bravo e convinto di quello che fa. Vogliamo chiamarlo stile, perché maniera è un gradino sotto? Va bene, ma il concetto è quello. Questa (per me) necessaria coerenza degli archivi degli Autori (con la maiuscola), non impedisce che occasionalmente questi possano seguire altre strade temporanee, anzi credo che sia necessario proprio per sfuggire alla “maniera” di cui sopra. Ma sono convinto che gratta gratta torneranno sempre alla loro vena più connaturata.

Tu invece pensi che si possa fare altrimenti?

Che una coerenza di archivio (consolidato) sia una scelta culturale deliberata?…

Tere: Ma io non stavo scherzando quando ti ho proposto di intervistarmi tu! Fammi le tue domande e vediamo che cosa ne viene fuori.

Sull'archivio: credo di non essere stata capace di far passare il mio pensiero. Certo che ognuno ha un proprio stile. Ma la mia idea, meglio un'ipotesi che tento di verificare nel confronto con altri,
è che ci siano fotografi che lavorano su progetti: le immagini che realizzano restano vincolate al progetto. Una volta chiuso quest'ultimo, non possono essere spostate altrove
(prendi ad esempio The Americans, di Frank o Gianni Berengo Gardin e il suo lavoro su Venezia).

Altri invece (Ghirri, Guido Guidi, Martin Parr ...) lavorano per serie.

Le serie sono sempre aperte, come delle collezioni di oggetti (non gli album di figurine) e ci può sempre essere un nuovo oggetto da aggiungere che sta insieme agli altri per la sua natura ma magari vicino ad alcuni mostra caratteristiche che scompaiono in favore di altre se messi accanto ad oggetti diversi, pur facenti parte della medesima collezione. Ogni fotografia è così un tassello mobile che può essere utilizzato in diversi progetti, a seconda della necessità. Come tale acquisisce senso dal contesto e contemporaneamente gliene conferisce. Quindi è la coerenza interna tra tutte le fotografie ad essere necessaria.

E' un approccio al fotografare diametralmente opposto. Molto attuale, oltretutto, che si inserisce nel discorso della "pesca dal flusso", da Sherrie Levine a Fontcuberta.

Non so se mi sono capita ... Very Happy

Alessandro: Dici Progetto chiuso e Serie aperta?

Una sequenza coerente aggiornabile è Serie, altrimenti Progetto? Sì mi torna.

Mi era sembrata una cosa più complicata da come ne parlavi; che le considerassi sostanze diverse, grammatiche diverse, e magari in opposizione. Mentre poi sono poi la stessa cosa, solo montate in cornici differenti. La variabile è il tempo e la riconoscibilità che il tempo può dare.

Un progetto ha una cornice stretta, da lì fin lì e poi basta. Un tempo fissato, vuoi perché le cose da ritrarre durano quel po’ e basta, o vuoi per altri motivi. Una serie, invece, ha una cornice molto elastica, talmente larga che può coincidere anche con la vita dell’autore, finché trova materiale. Stagione dopo stagione, quasi come quelle di Netflix… Very Happy

Quello di Frank era un viaggio, giusto? Allora Progetto, perché non modificabile e pensato già in origine come finito.

Quello delle grandi navi (dicevi quello?) al momento io la considererei ancora Serie.

Perché fintanto che quei mostri transitano dalla Giudecca ci si potrebbe sempre aggiungere una foto congrua e coerente. Poi no, e la serie si chiuderebbe in progetto, per quanto lungo. Cambiato il tempo, cambia la sostanza. In realtà, non saprei dire se la morte di un autore, concludendo una serie la trasformi ipso facto in progetto. Magari no. Tipo quella bella serie di foto tristanzuole sul verde cittadino di Ghirri.

Finché era in vita poteva sempre essere incrementata a suo piacere… Poi è scomparso l’autore, ma di materiale utile allo scopo ce ne sarebbe ancora, quindi chissà…

Forse la differenza di punti di vista sta solo nel fatto che tu cerchi di vedere una decisa propensione per autore a usare questo o quello, e io invece penso che serie e progetti convivano un po’ in tutti. Ferme restando le naturali inclinazioni di ciascuno.
Ma io non ci ho mai pensato sopra, mentre tu magari sono anni che ci rumuli… Smile . ... continua




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