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Tessere, mosaici, oggetti preziosi... Fotografie - I parte

Tessere, mosaici, oggetti preziosi ... Fotografie - I parte



E’ ARTE QUESTA?

Bernd & Hilla BECHER, Fachwerkhäuser



E QUESTA? QUESTA, E’ ARTE?

William EGGLESTONE, William Eggleston's Guide



O ANCORA QUESTA … E’ ARTE?

Thomas RUFF, Andere Porträts



La domanda è capziosa.
E pure retorica, palesemente volta com'è ad ottenere una risposta negativa.

Volutamente fuorviante, equivale a chiedere


QUESTE TESSERE DI MOSAICO, SONO ARTE?



Attenti bene che, se si trattasse di un’installazione di “arte contemporanea”, la risposta potrebbe essere proprio sì … Ma non lo sono (un’installazione di arte contemporanea, intendo), per fortuna.

I processi di significazione sono materia delicata.
Impongono di fermarsi davanti al fenomeno che si sta osservando con la consapevolezza che la presenza di chi lo osserva, inevitabilmente, lo altera.

Saussure liquida la faccenda in maniera piuttosto sbrigativa sostenendo che a ogni “significante” corrisponde un “significato”.

Dove per “significante” intende un “segno”, cioè un “qualcosa” di materialmente presente che “sta al posto di qualcos’altro”.

E per “significato” QUEL “qualcos’altro”.

La parola “sedia”, ad esempio, sta al posto dell’oggetto concreto su cui appoggio le mie terga quando sono stanca.

La parola “sedia” è quello che mi permette di chiedere un oggetto per appoggiare le mie terga e di vedermelo offrire dal mio interlocutore (ammesso che sia abbastanza cavaliere da farlo), senza che debba sempre averne una a portata di mano da indicare per far capire di che cosa ho bisogno.

Da questo punto di vista viviamo sostanzialmente in un mondo di metafore. Inquietante no?

E fin qui tutto bene (o almeno così parrebbe).

Le cose però si complicano se solo si pensa che ci sono significanti con più significati.

Basti pensare alla parola “affetto”.

Un sostantivo maschile singolare (primitivo, astratto … cara vecchia analisi grammaticale! Ecco a che servivi!!!) che esprime i miei sentimenti di devozione verso qualcuno.
Un participio passato che indica che mi sono beccato qualche malattia.

Un indicativo presente che può far pensare che abbia cambiato mestiere e mi sia messa a fare la salumiera.

E’ per questo che qualcuno ha cominciato a pensare che attribuire un significato a un significante non fosse una cosa così lineare.
Peirce, ad esempio.

Un giorno gli viene in mente di introdurre nella coppia perfetta un terzo incomodo.

“L’interpretante”.

Si badi bene che non è “l’interprete”, cioè colui che si accosta al fenomeno compiendo un atto semiotico, un atto, cioè, di attribuzione di senso.

L'interpretante è invece l’elemento chiave, la chiave di lettura che collega i due termini dell'operazione, tramite cui si attribuisce significato al significante.

Eh, ma … a sua volta, anche l’interpretante è un segno.

E quindi bisognerà attribuirgli un significato …

Avremo bisogno di un altro interpretante?

La risposta è sì.

E per attribuire significato a questo nuovo interpretante, come faremo?

La risposta è dentro di voi. E so già che è quella giusta.

La catena è infinita.

Proviamo per esempio ad attribuire significato alla parola libro.

Probabilmente ci serviremo di interpretanti quali “pagine”, “inchiostro”, “scrittura” …

Ma volendo andare più a fondo, anche a questi interpretanti dovremo attribuire significato.

E magicamente li trasformeremo in segni che spiegheremo attraverso altri interpretanti e così via.

Ecco perché la semiosi (o semiotica, il che è lo stesso, perché Eco, che ne è universalmente riconosciuto come il padre, nel Trattato ci autorizza a farlo) è un processo iterativo.

E tendente all’infinito.

Il “segno” è denotazione.

L’interpretante è connotazione.

Ma, sulla base di quello che abbiamo detto fin qui, ogni segno è contemporaneamente connotazione per quel che lo precede, denotazione per quello che lo segue.

Ma la catena si ferma?

Se intendiamo la semiosi come un processo lineare, sì.

Dovrebbe esistere da qualche parte un significante assoluto che contiene in se stesso il proprio significato.

Una sorta di “motore primo” dei significanti.

Peccato che nessuno lo abbia ancora trovato.

E se, invece, cominciassimo a pensare la semiosi come qualcosa di circolare?

Eco ha cominciato a pensare che il significato di un segno è attribuito dal “contorno”.

Ciò che precede si comprende con ciò che segue.

Ma anche viceversa.

E non solo.

Ciò che è più ristretto e ri-compreso in ciò che è più ampio.

Che a sua volta assume significato dalla somma di ciò che abbraccia.

Si comincia a capire dove voglio andare a parare?

In fotografia, a differenza che in pittura o in scultura, le arti che più le si avvicinano, non è l’oggetto a essere prezioso (o meglio, non sempre, perché se pensiamo a quanto costa produrre le immense stampe cromogeniche di Gursky ci viene un infarto. Per non parlare delle platinotipie di Sugimoto, in cui il supporto stesso è un oggetto preziosissimo).

Una stampa, purché realizzata con lo stesso identico metodo, vale l’altra.

Quello che conta, invece, è “l’idea” trasfusa nell’oggetto.

Ma quell’idea non può trarsi dalla singola fotografia.

E infatti i tre esempi con cui ho aperto questo sproloquio non sono fotografie a se stanti.

Sono, invece, parte di progetti di molto più ampio respiro.

Sono tessere di mosaico e assumono significato grazie alla tessera che le precede. Al contempo ne conferiscono a quella che le segue.

E solo guardando l’insieme si potrà apprezzarne il vero valore, esattamente come quando ci troviamo alla presenza della maestà del mosaico di Sant’Apollinare in Classe.

E attenzione!

Spostare una tessera CAMBIA inesorabilmente il significato del mosaico.

Si tratta di un’operazione forse ancora più capziosa della sua estrapolazione dal contesto.

E non possiamo fermarci qui, perché ognuno degli autori di quelle tre fotografie ha espressamente dichiarato che il suo lavoro affonda le proprie radici nel lavoro di altri, fotografi e pittori, scrittori e scultori, che li hanno preceduti e che hanno fatto a loro volta considerazioni tratte dall’opera di altri ancora … In un processo semiotico infinito.

Quindi bisogna andare a ritroso?

Sarebbe opportuno.

E come fare?

Guardando.

Che cosa?

I lavori per intero.

E quelli in cui questi affondano le proprie radici.

Lavori di grandi autori, significativi per chi è venuto dopo.

A loro volta frutto di considerazioni sul lavoro di chi è venuto prima.

(continua)




Bibliografia:

1) Umberto Eco, Trattato di semiotica generale, Einaudi, Torino
2) Ferdinand de Saussure, Cours de linguistique générale, a cura di A. Sechehaye e C. Bally
3) The Peirce Seminar Papers: an Annual of Semiotic Analysis: 1994, a cura di Michael Shapiro

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