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Da Aristotele a Niépce. E oltre. di Tere Zanetti

Da Aristotele a Niépce. E oltre. di Tere Zanetti



Ma a quanti, una volta ritrovatasi tra le mani quella scatola delle meraviglie che è la macchina (quanto mi piace questa parola!) fotografica, è venuta voglia di ripercorrerne la strada, sino ad arrivare all’origine?

Esiste un sottile filo rosso che unisce Aristotele a Nièpce?

Immaginiamo una scena che si svolge all’esterno di una scatola in cui è praticato un piccolo foro. Immaginiamo adesso di entrare in quella scatola.

Che cosa vedremo?

Sulla parete opposta al foro, proiettata dal passaggio della luce, capovolta e specchiata, la scena che sta fuori!

Magia!!!

No. Fenomeno ottico naturale: la camera oscura!

Ed è già noto nell’antica Grecia!

L'avevano osservato all’interno delle caverne (e già qui si potrebbe aprire una bella parentesi filosofica sul mito Platonico della caverna e tutto quel che ne è conseguito, ma magari ce lo risparmiamo).

L’uomo, nel suo tentativo di produrre immagini fatte a mano, ha sempre cercato la maggior attinenza possibile alla realtà.

Per questa ragione alcuni sostengono che l’invenzione di un congegno come la macchina fotografica, capace di fissare definitivamente su un foglio l’immagine immateriale che si crea grazie alla camera oscura (o camera ottica) è stato un passo necessitato.

Aristotele (e prima di lui il filosofo Mo-Ti – o Mozi, nella Cina del V secolo prima di Cristo, e dopo di lui Euclide, nel suo trattato sull’ottica) conosce il fenomeno (ne fa cenno nei Problemata Physica) e, nel IV secolo avanti Cristo, concepisce una vera e propria camera oscura per osservare un’eclissi di sole.

Con grande fantasia, il sistema viene utilizzato nei secoli a venire sempre per lo stesso scopo di osservazione delle eclissi di sole, sia dagli Arabi (se ne è servito un tale dal nome complicato: Alhazan Ibn Al-Haitham) sia, successivamente, in Europa (Guglielmo di St. Cloud, che grazie ad essa osserva l’eclissi di sole del 05/06/1285).

E' solo con la teorizzazione della prospettiva lineare geometrica, concepita per dare al mondo una forma simbolica da quei tre mostri sacri dell'architettura che sono Alberti, Bramante e Brunelleschi, che si inizia a utilizzare la camera obscura per dipingere.

Ed è poi Leonardo da Vinci che, comprese le enormi potenzialità del mezzo, inventa un procedimento, che descrive nel Codice Atlantico del 1515, per disegnare edifici e paesaggi, dal vero e con estrema precisione: applica al foro della camera ottica una lente regolabile di modo che sulla parete opposta, alla quale appende un foglio di carta, si proietti un’immagine fedele (anche se capovolta e con inversione di lato) del paesaggio esterno, che può quindi essere agevolmente copiata.

L’idea di Leonardo è buona e infatti viene poi ampiamente sfruttata dai pittori successivi (da Raffaello a Caravaggio, da Canaletto a suo nipote Bellotto, ai Fiamminghi, a Vermeer) per realizzare ritratti e paesaggi.





Qualche anno dopo (nel 1550), Girolamo Cardano, fisico e filosofo, applica al foro stenopeico una lente convessa che consente di ottenere un’immagine ancora più nitida: è l’antenato dei moderni obiettivi fotografici.

Nel Seicento, viene ideata una camera oscura portatile: una scatola con una lente da una parte ed uno schermo di vetro smerigliato dall’altra, che permette di riflettere l’immagine fuori dalla camera.

L’invenzione è senza dubbio di grande utilità e si cerca così di migliorarla sempre di più.

Con grande senso pratico, nel 1685, è Johan Zahn (un inventore tedesco) che ha l’intuizione di inserire all’interno della camera oscura uno specchio a 45° rispetto alla lente dell’apertura.

L’immagine, finalmente raddrizzata, si riflette così sul vetro smerigliato.

È questo, a grandi linee, il principio su cui si basano le moderne macchine (quanto mi piace il termine “macchina”, l’ho già detto?) fotografiche reflex.

Arrivati a questo punto non resta che trovare il sistema per trasferire stabilmente su un supporto l’immagine che si forma grazie al fenomeno ottico.

Hai detto niente!

Però … Quando la fisica chiama, la chimica risponde!

Parallelamente alle invenzioni tecnologiche derivanti dalle scoperte inerenti alle leggi fisiche dell’ottica, nell’ombra lavorano, in gran segreto, gli alchimisti.

Questi simpatici signori, già nel Medioevo, alla ricerca della pietra filosofale, si divertono a cuocere insieme diverse sostanze.

Non trovano la soluzione per trasformare in oro i vili metalli ma, del tutto per caso (ed è più che probabile che lo interpretino pure come un fallimento) scoprono che, riscaldando la polvere d’argento con del comune sale da cucina (cloruro di sodio) si ottiene un composto, (cui poi sarà dato il nome altisonante di “cloruro d’argento”) che, esposto alla luce, da bianco diventa nero.

Certo, detta così sembra un po’ una "poverata" (come direbbe mio figlio).
È un fatto però che, nel corso del ‘500, a diverse latitudini, studiando il comportamento dei sali d’argento, si arriva a capire che tutti, se sottoposti a determinate condizioni, si scuriscono.

Il gioco è certamente divertente, ma nessuno riesce a trovarne un’applicazione pratica. Fino a che nel ‘700, mettendo insieme fisica e chimica, a qualcuno balena l’idea che, forse, si possono ottenere immagini esponendo alla luce superfici cosparse di sali d’argento.

Nel 1727, Johan Heinrich Schulze (un chimico questa volta, ma sempre tedesco) cosparge di sali d’argento una lastra metallica e ci posa degli oggetti, poi espone tutto alla luce, che fa il suo sporco lavoro e annerisce le parti non coperte. Ne viene fuori una silhouette in bianco.

Il procedimento non è duraturo e infatti, appena si espone alla luce la lastra impressionata, anche le parti rimaste bianche scuriscono e il disegno svanisce.

Un altro mezzo fallimento insomma, che però porta al conio di un neologismo.

È Schulze, infatti, a pronunciare per la prima volta nella storia una parola che a tutti noi è molto cara: “fotografia”.

Nel 1802 Thomas Wedgwood, discendente della nota casata di ceramisti (chiedete alle nonne, che sanno bene di che parlo) prova a cospargere di nitrato d’argento dei pellami.

Anche lui ottiene delle belle immagini e per alcuni istanti, prima che svaniscano, se le guarda soddisfatto, sotto una flebile luce.

Non fa a tempo a completare i suoi studi in materia, però, perché a meno di 40 anni anche lui, come le sue immagini, svanisce, passando a miglior vita.

Intanto il tempo passa.

E finalmente si arriva a quel fatidico 1814.

Un giovin signore di nome Nicéphore Niépce, non sapendo bene come passare le vacanze in campagna, cerca un metodo per semplificare l’incisione su metallo.

Come spesso accade, cercando una cosa se ne trova un’altra.

E così, un bel giorno assolato a Chalon-sur-Saône, non avendo niente di meglio da fare, cosparge con bitume di Giudea (volgarmente detto asfalto, ma vuoi mettere l’effetto?) una lastra di rame argentato e la sistema sul fondo di una camera oscura posta di fronte a un dipinto.

Espone poi il tutto al sole e va a far altro: sono infatti necessarie “appena” 14 ore perché la sua azione cominci a farsi sentire.

Riflessa dalle parti più chiare del dipinto, la luce, ha cotto il bitume, facendolo diventare bianco e solido, lasciandolo invece “crudo”, nero e molle, nelle parti che non ha colpito, così Nicephore può scioglierlo facilmente in un bagno di olio essenziale di lavanda (che non intacca, invece, il bitume solidificato).

Ha ottenuto il primo negativo della storia!


A quel punto è pronto a preparare la lastra per la stampa: la cosparge con dell’acido che ne corrode le parti libere, mentre il bitume solidificato protegge quelle che ricopre.

Alla fine lava via il tutto (acido e bitume indurito) e ottiene, ancora una volta in negativo, il disegno pronto per essere mandato in tipografia, cosparso di inchiostro e stampato su carta.





Se a Niépce occorrono 14 ore per impressionare la lastra, Daguerre, grazie a una botta di c … grande fortuna, scopre, perché si dimentica delle lastre ricoperte di sali d’argento in un armadio in cui è conservato del mercurio – non chiediamoci che cosa diamine ci facesse Daguerre con del mercurio nell’armadio! – che quelle stesse lastre, se esposte alla luce, si impressionano in “soli” quindici minuti.





Il progresso, si sa, corre e, in quegli stessi anni, Fox Talbot, dal Regno Unito, con lastre ricoperte di collodio umido, porta ad appena due secondi il tempo necessario a impressionarle.

Migliorata la tecnica di impressione, ci si mette all’opera per la produzione di obiettivi che consentano una buona qualità dell’immagine.

Nomi arcinoti ancor oggi di lenti per la fotografia, da Zeiss a Voigtländer, passando per Leica (tanto per citarne alcuni), risalgono alla seconda metà dell’Ottocento!

Con l’invenzione della “lastra asciutta” (in cui il collodio umido è sostituito dalla gelatina d’argento) nasce la fotografia moderna.

Nel 1888 la Kodak produce la “n. 1” (come la moneta di Zio Paperone): la prima fotocamera portatile con 100 pose pre – caricate.

Costa $ 25 (non esattamente economica) e viene pubblicizzata con il mitico slogan “You press the button. We do the rest”.

Ecco qui, il resto è storia nota, le macchine diventano sempre più piccole, le pellicole sempre più rapide, tutta l'apparecchiatura sempre più economica ...

Da passatempo per ricchi signori annoiati, la fotografia diventa "popolare", in ogni senso. E democratica, perché alla portata di tutti.

Ma una volta ottenuta una restituzione fedele del reale, ci si è trovati di fronte a qualcosa cui probabilmente non si era pronti: sotto questo specifico profilo, nessuna immagine fatta a mano avrebbe mai potuto competere con il prodigio e la perfezione dell’immagine fatta a macchina.


by Teresa Zanetti\Redazione photo4u.it
Autore: Laki85 - Inviato: Lun 22 Ott, 2018 7:04 am
Un bellissimo ed interessante articolo, Tere...
E mi hai fatto sorridere in più di un passaggio: altro che poverata!
Vai così! Un caro saluto Ciao
Autore: Anna Marogna - Inviato: Lun 22 Ott, 2018 12:02 pm
Weee Tere! Mi (e ci) hai regalato una piacevolissima lettura
Brava davvero ...ça va sans dire Smile
e quel logo parla di te ...
ciao Nonna Papera Wink alla prossima squisitezza
Anna
Autore: Anna Marogna - Inviato: Lun 22 Ott, 2018 12:02 pm
Weee Tere! Mi (e ci) hai regalato una piacevolissima lettura
Brava davvero ...ça va sans dire Smile
e quel logo parla di te ...
ciao Nonna Papera Wink alla prossima squisitezza
Anna
Autore: Claudio Roselli - Inviato: Gio 25 Ott, 2018 6:34 pm
Gran bella lettura
Grazie mille Ok!
Autore: batstef - Inviato: Gio 25 Ott, 2018 6:39 pm
Lettura interessante, scorrevole e piacevole Smile
Autore: teresa zanetti - Inviato: Ven 26 Ott, 2018 2:24 pm
Ma grazie a voi,
Giacomo, Anna, Claudio e Stefano!
Non avevo capito che si potessero lasciare risposte ...

Sono felice che abbiate trovato la lettura sia scorrevole, sia interessante.

@Anna: titolo della rubrica e logo sono tutto merito di GiovanniQ, che li ha pensati e realizzati.
Anche a me piacciono moltissimo.

Buon tutto.
E alle prossime (è una minaccia ...)
TereZ

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