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Commentare le immagini: spunti e riflessioni
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Mario Zacchi
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MessaggioInviato: Dom 28 Lug, 2013 7:35 pm    Oggetto: Commentare le immagini: spunti e riflessioni Rispondi con citazione

Pensare che si possa criticare/commentare un’ immagine basandosi sui propri gusti personali, su come la si vede personalmente, senza riuscire a sintonizzarsi con l’ autore, i suoi scopi, i suoi metodi, è forviante.

Pensare di criticare/commentare un' immagine in maniera totalmente oggettiva, come se esistesse un’ asettica scaletta di raffronto su cui basarsi e che mette a riparo da qualsiasi forma di soggettività, è semplicemente ingenuo.

Un’ immagine è fatta di tecnica e di contenuto. Nella tecnica sta tutto ciò che attiene al metodo ed ai mezzi usati per produrre l’ immagine; nel contenuto sta tutto ciò che attiene il messaggio, lo scopo.

Un immagine non è buona perché tecnicamente valida; né lo è perché il suo messaggio è importante. Tranne rare eccezioni, è buona perché (e solo se) i due aspetti (tecnica e contenuto) si sposano felicemente nel risultato. Cioè se l’ una sostiene l’ altro e viceversa.

Non è detto che un’ immagine ben riuscita (tecnica e messaggio si sposano felicemente) sia anche degna di nota: può essere comune, già vista, può esprimere il proprio messaggio in maniera banale, prevedibile, può raccontare cose che non interessano a nessuno, ecc.

Se rendersi conto quando il metodo e il contenuto si sposano con una certa efficacia può essere talvolta difficile, rendersi conto se un’ immagine è degna di nota o è solo un esercizio di stile o una banalità, richiede di conoscere il contesto nel quale l’ immagine nasce e vive.

Per commentare un’ immagine occorre quindi dimenticarsi di noi stessi, conoscere chi l’ ha prodotta, sapere e comprendere i perché, pesare in maniera ponderata tecnica e contenuto, riconoscere il contesto in cui si colloca per pesare la consistenza della sua modalità espressiva e del suo messaggio.

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Ultima modifica effettuata da Mario Zacchi il Ven 11 Ott, 2013 12:24 pm, modificato 2 volte in totale
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Mario Zacchi
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MessaggioInviato: Mar 30 Lug, 2013 12:25 pm    Oggetto: Rispondi con citazione

Nessuno butterebbe questa foto. Non tanto perché l’ autore è poi diventato famoso; né, tanto meno, perché è tecnicamente buona (è rovinata perché lo sviluppo dei negativi andò male; è mossa e non certo per una questione di stile, di “mood”; probabilmente è anche sfocata, ecc). Ha diversi difetti che, tecnicamente parlando, potrebbero farla ritenere scadente, da buttare.

Nessuno la butterebbe perché rappresenta un attimo di un evento storico che in quell‘ attimo riesce ad essere simboleggiato. I difetti non solo non hanno importanza, ma anzi: entrano a far parte del racconto stesso che la foto ci fa di quell’ attimo e di tutta la drammaticità di quell’ evento. Il contesto in cui è nata rende importante la foto e anche i suoi difetti.

Chissà? Se nessuno avesse mai scattato questa foto nella realtà, creando anche, involontariamente, una sorta di stampo stilistico, uno scatto simile, preso più o meno nelle stesse condizioni simulate, per esempio sul set di un film che celebra lo sbarco, magari sarebbe stato scartato.



Robert Capa - Sbarco in Normandia.jpg
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Robert Capa - Sbarco in Normandia.jpg



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Mario Zacchi
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MessaggioInviato: Mar 30 Lug, 2013 6:46 pm    Oggetto: Rispondi con citazione

Un esercizio di stile è una foto che presenta un contenuto ed una forma non particolarmente significativi, né innovativi, ma piuttosto un tema e/o una modalità nota, ricorrente, magari inaugurati da qualche fotografo che ne ha fatto la fortuna e sul quale ci si mette alla prova, ricercando una certa perfezione formale, visto che di creatività non si può parlare.

Se ben realizzate si possono considerare buone prove: tecnica buona, scopo chiaro. Ma non sono degne di nota. Complimentarsi per la fatica tecnica portata a termine con successo senza dubbio ci sta; magnificare foto così come fossero capolavori è eccessivo.



untitled-1.jpg
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MessaggioInviato: Mer 31 Lug, 2013 4:13 pm    Oggetto: Rispondi con citazione

Ci sono immagini che tendono a stimolare maggiormente l’ osservatore, coinvolgendolo in maniera più marcata nell’ interpretazione. Ce ne sono altre che tendono, invece, a mettere più a portata di mano il proprio significato, lasciandogli meno spazio. In un certo senso è come se confinassero l’ osservatore nel perimetro di una semplice presa d’ atto.

A volte la differenza tra una foto molto esplicita ed una più gelosa dei propri significati è molto evidente; altre volte si tratta di differenze più sfumate. Una foto che non contiene almeno un pizzico di ambiguità difficilmente stimola l’ osservatore ad interpretarla. Il coinvolgimento è rapido, ma meno duraturo.

E' ovvio che le immagini che appartengono al primo insieme sono le più interessanti, ma anche le più difficile da ottenere. Le altre possono essere sempre buone foto, ma lasciano meno traccia di sé nella memoria di chi le guarda.



Enzo Penna - Senza titolo.jpg
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Iamfrank - Ape aperta.jpg
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Mario Zacchi
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MessaggioInviato: Gio 01 Ago, 2013 7:40 am    Oggetto: Rispondi con citazione

Possiamo riconoscere un amico da lontano? Certamente: dall’ andatura, dall’ atteggiamento, dal gesticolare, dall‘ abbigliamento. Vuol dire che una persona si caratterizza per diversi aspetti che non sono confinati solo nel volto.

Concentrarsi sullo sguardo in molti casi è importante. Il primo piano del volto è immediato, facilmente spendibile ed è anche una buona palestra. Ma un vasto repertorio di sguardi in camera non fa di noi dei ritrattisti completi.

NB: La prima foto proposta è parte di una serie: questa ->



LorenzaF - Regola numero uno tenere sempre la macchina pulita.jpg
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LorenzaF -  Regola numero uno tenere sempre la macchina pulita.jpg



Nick Kelsh.jpg
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Fiabesco
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MessaggioInviato: Gio 01 Ago, 2013 10:04 am    Oggetto: Rispondi con citazione

Grazie, molto utile per chi, come me, è all'inizio e già fa fatica a tirare fuori immagini decenti, figuriamoci poi a commentare quelle degli altri.

Citazione:
Per commentare un’ immagine occorre quindi dimenticarsi di noi stessi, conoscere chi l’ ha prodotta, sapere e comprendere i perché, pesare in maniera ponderata tecnica e contenuto, riconoscere il contesto in cui si colloca per pesare la consistenza della sua modalità espressiva e del suo messaggio


E qui mi sorge un dubbio:
stante a questa frase, che è chiaramente ideale per chi vuole commentare criticamente e costruttivamente una fotografia, il commento di un'immagine postata da un utente dovrebbe essere relegato solamente ad un "esperto", colui cioè che è in grado contemporaneamente di contestualizzare, farne un'anlisi tecnica e compositiva ed estrapolarne un significato...
E noi niubbi? A parte leggere i commenti degli esperti e cercare di capirli (cosa che credo che tutti facciamo/dovremmo fare), dobbiamo limitarci ad un "bella/brutta", non commentare oppure provare comunque a fare una critica costruttiva?
Personalmente provo a commentare e vi chiederei gentilmente, qualora scrivessi delle boiate nei commenti alle foto, di farmelo notare e di correggermi... credo che a volte possa essere ancora più costruttivo che ricevere un commento ad una propria foto (cosa comunque molto gradita Very Happy )
Ti ringrazio per questi consigli
Alessandro[/url]

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Mario Zacchi
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MessaggioInviato: Gio 01 Ago, 2013 12:56 pm    Oggetto: Rispondi con citazione

Veri esperti, qui, direi di no. In generale (salvo quindi qualche eccezione) direi nemmeno veri talenti. Magari più avvezzi si. Per commentare oltre gli aspetti più semplici che sono quelli con cui facilmente si inizia, deve piacere osservare, capire, curare il proprio bagaglio culturale (foto, ma non solo).

Saper fotografare almeno un po’ (non dico essere grandi fotografi) aggiunge quel minimo di utile conoscenza degli strumenti che aiuta. Ma dovendo scegliere tra cultura e pratica fotografica, meglio la prima (per commentare).

Rispetto a quell’ affermazione bisogna dire che un conto è l’ obiettivo, un conto è il percorso che uno fa per arrivarci. Poi bisogna anche dire che, per esempio, indagare la vita di un fotografo per capire la sua modalità non è qualcosa che si fa per uno sconosciuto utente di un forum. A meno che non si tratti di una persona particolare che si segue per ragioni proprie.

Il senso, però, resta: dietro una foto c' è una testa, la quale produce quello che vediamo. Quindi conoscere aiuta a capire. Aiuta a capire anche quando ... non c' è proprio nulla da capire e c' è solo da voltare pagina. Wink

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Mario Zacchi
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MessaggioInviato: Ven 02 Ago, 2013 9:08 am    Oggetto: Rispondi con citazione

Una fotografia, fisicamente parlando, è un pezzo di carta (o una bitmap) che mostra dei segni, delle aree di colore organizzate in modo da formare qualcosa che noi siamo in grado di riconoscere, di leggere, d’ interpretare.

La percezione visiva di questi elementi base che costituiscono “materialmente” le immagini è molto articolata per riassumerla in poche righe. Arte e percezione visiva, di Rudolf Arnheim, è un testo significativo in merito per chi volesse interessarsi alla materia.

Per farci un’ idea molto semplice della questione, possiamo verificare come le immagini abbiano pressoché sempre una loro struttura geometrica, per il fatto stesso di essere fatte di segni, di aree su una porzione di piano (la carta, la bitmap). Una struttura che può essere più o meno ordinata o caotica, più o meno evidente o accennata.

In relazione a come questa struttura è fatta, vale a dire in relazione a come sono disposti i vari elementi nella foto, possiamo essere più o meno agevolati e/o coinvolti nell’ atto di leggerla, di interpretarla e, quindi, di considerarla più o meno efficace. Questo perché la percezione dei vari componenti geometrici dell‘ immagine cambia in base a come sono utilizzati e collocati in questa porzione di piano rettangolare o quadrata (che è la foto) rispetto ai suoi margini ed ai suoi punti forti.

Più che essere propulsore di significato, quindi, dovrebbe essere uno degli strumenti attraverso cui comunicarlo, attraverso cui mettere l’ osservatore nella migliore condizione per capire quello che vogliamo dire con la foto. Curare l’ organizzazione della foto dal punto di vista della sua struttura geometrica è utile e, afferrati i rudimenti di base, diventa una faccenda istintiva, che si fa con l‘ occhio.

Vale la pena sottolineare che, pure essendo importante, concentrarsi esclusivamente su questo aspetto non garantisce di per sé risultati significativi. Non è un caso, infatti, che esistano immagini che appaiono molto informali, eppure sono interessanti e immagini, invece, che appaiono più rigorose, ma nelle quali l’ autore non è andato molto oltre il semplice formalismo.

- - - - - -

Nella prima foto il significato non sta nella struttura; la struttura collega bene gli elementi e i protagonisti della foto sostenendolo. La foto è piacevole, immediata e abbastanza interessante.

Nella seconda foto la struttura e l’ estetica complessiva sono il significato. Si vede bene come la gestione delle linee e delle aree sia prettamente formale. Si vede bene come l‘ autore abbia “arricchito” il suo scatto in post agendo sui colori e portandoli ad un mood contemporaneo. E’ una foto formale, piacevole per chi ama un’ estetica semplice e un po’ alla moda. Ma non si può dire che sia particolarmente interessante se si cerca qualcosa di più.



Ilioyumbo - Chi viene,chi va e chi...scopa - Originale.jpg
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Ilioyumbo - Chi viene,chi va e chi...scopa - Struttura.jpg
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Sceller - Fino al mare.jpg
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Mario Zacchi
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MessaggioInviato: Ven 02 Ago, 2013 2:00 pm    Oggetto: Rispondi con citazione

Sembra Giacomelli. Cosa c’ è dietro questa frase? C’ è quanto un fotografo (un pittore, uno scultore, ecc.) abbia segnato talmente a fondo la memoria del pubblico con il suo caratteristico modo di fotografare, da essere indotti a riconoscere immediatamente la sua modalità tra mille, persino quando è un’ imitazione non troppo ben fatta.

Quindi, quando commentiamo, prima di parlare (o di parlarci addosso) di stile, meglio riflettere sul significato profondo che ha questo termine che non significa solo che, per esempio, uno abitualmente inquadra storto o dritto, satura i colori o non li satura e così via. Significa che con la propria modalità è stato capace di condizionare la memoria di chi guarda (ovviamente in maniera positiva) facendosi riconoscere persino nelle imitazioni.



Diego campanelli - Senza titolo.jpg
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Susanna.R
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MessaggioInviato: Ven 02 Ago, 2013 4:53 pm    Oggetto: Rispondi con citazione

...'adorissimo' quando spieghi Smile
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Mario Zacchi
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MessaggioInviato: Gio 15 Ago, 2013 5:02 pm    Oggetto: Rispondi con citazione

Oggettivo o soggettivo?

Di un’ immagine, qualsiasi immagine, si possono (e si dovrebbero) senz’ altro cogliere ed analizzare tutti gli aspetti più obiettivi, ricercando in quale modo l’ autore abbia tentato di comunicare il suo messaggio. Ma, al termine di questo esame, resta inevitabile il confronto con la soggettività di chi la guarda e che porta ad opinioni. La soggettività è prodotto dell’ esperienza, intesa sia come conoscenza che come vissuto.

E’ facile obiettare, normalmente da parte dell’ autore che, se l’ osservatore ritiene l’ immagine debole, è perché non l’ ha capita (o non ha capito l’ autore). Può essere, naturalmente. Però l’ immagine creativa, per non usare il più impegnativo termine artistica, è una particolare forma di comunicazione nella quale chi riceve non è lì tanto per capire, quanto piuttosto per essere colpito da qualcosa per il puro piacere di farlo. Con questo bisogna fare i conti ed assumersi il rischio delle conseguenze.

Ciò che ammiriamo nei musei sono senz’ altro capolavori di metodo: ciascuno secondo il proprio tempo e il proprio obiettivo. E’ interessante e utile analizzarli, questi metodi. Ma siccome il metodo, per quanto buono sia, da solo non produce necessariamente un risultato “vivo”, quel che davvero conta è che quegli autori “servendosi” di un metodo sono stati capaci di incidere nella media della sensibilità umana che li ha poi ricompensati eleggendo le loro opere a propri simboli.

Se sono lì non è, quindi, solo perché ne sono state decodificate ed apprezzate le strutture; se sono lì è perché, secondo la media delle reazioni soggettive (di quelle più capaci, colte e quindi pesanti, ma necessariamente anche di tutte le altre) queste strutture hanno funzionato, il loro prodotto ci ha colpiti e siamo disposti perciò a fare la fila e pagare il biglietto per assaporare il guardarle.

- - - -

Questa volta un quadro: è pur sempre un’ immagine e poi ha qualche attinenza con la visione fotografica, come si può leggere nell’ analisi.

Giovane donna in azzurro che legge una lettera di Jan Vermeer del 1660 circa, è qui analizzato da Mary Acton, docente di storia dell’ arte dell’ Università di Oxford, dal un punto di vista della composizione, ma con particolare attenzione all’ armonia e all’ equilibrio (nella composizione).

Le pagine sono tratte dal suo interessante e facile libro Guardare un quadro edito da Einaudi, Piccola biblioteca Einaudi Mappe – Euro 28,00. Per chi fosse interessato si tratta di un piccolo investimento con un grande ritorno. Nello stesso libro vengono proposti molteplici modi di approcciare i quadri: oltre alla composizione, lo spazio, la forma, il tono, il colore, ecc. a significare che la stessa immagine può (e dovrebbe) essere affrontata dai vari punti di vista.

E’ una lettura interessante e istruttiva che sicuramente aiuta a comprendere ed apprezzare il quadro in sé ed anche a capire perché Jan Vermeer fu un grande artista. Ma pure senza passare per questa o altre simili letture, chi non rimarrebbe incantato di fronte a questo quadro? A giudicare dalla fila di persone comuni che vi staziona di fronte, nella sala dove è esposto, ben pochi.

Chiaramente ci sono casi più complessi, meno lineari di suggestione di fronte ad un immagine. Ci sono percorsi di sperimentazione che hanno obiettivi meno immediati di quello descritto. Ma nel nostro quotidiano fotografico questa strada “ovvia” è spesso la più … ovvia. Quindi se una foto non colpisce, a dispetto di tutto l’ impegno e di tutte le strutture montate per crearla, forse è perché … non colpisce proprio. E non per colpa di chi guarda e lo dice.

- - - - - - -

Per guardare il quadro a colori -> anche se l' eccesso di luminosità fa perdere gran parte della sua intima atmosfera.



1 - Mary Acton a proposito di Giovane donna in azzurro che legge una lettera di Jan Vermeer – Einaudi editore.jpg
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1 - Mary Acton a proposito di Giovane donna in azzurro che legge una lettera di Jan Vermeer – Einaudi editore.jpg



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2 - Mary Acton a proposito di Giovane donna in azzurro che legge una lettera di Jan Vermeer – Einaudi editore.jpg



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3 - Mary Acton a proposito di Giovane donna in azzurro che legge una lettera di Jan Vermeer – Einaudi editore.jpg



4 - Mary Acton a proposito di Giovane donna in azzurro che legge una lettera di Jan Vermeer – Einaudi editore.jpg
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MessaggioInviato: Ven 16 Ago, 2013 11:24 am    Oggetto: Rispondi con citazione

Fotografare, si sa, in estrema sintesi è cosa banale: basta fare click ed esce un' immagine che può dirsi fotografia.

Per un pittore, per uno scultore c’ è ben‘ altra fatica da fare prima di poter partorire qualcosa che si possa chiamare quadro o scultura. Una fatica durante la quale ci si confronta inevitabilmente con la storia dell’ arte nella quale ci si cimenta, avendo modo di capire tante cose.

In particolare, per ritornare alla fotografia, avendo modo di capire che cedere alla tentazione di credere che mettendo in discussione l’ esperienza visiva di quasi 200 anni (questo solo per limitarsi alla fotografia, ma c’ è poi tutta la storia delle altre immagini, quindi parliamo di millenni di vissuto collettivo, al riguardo) si possa approdare più facilmente a risultati meno visti e per questo di qualche importanza, è una semplificazione banale.

Non è questione di schemi che vanno seguiti per fare una “buona” fotografia (e per giudicarla). E’ questione che quegli schemi sembrano gabbie, ma in realtà facilitano il compito. Perché offrono una serie di punti, di codici condivisi dal pubblico che danno qualche garanzia in più circa la leggibilità e la comprensione di quello che si vuole trasmettere. Evadere da questi schemi può essere proficuo, certo. Ma, se escludiamo la casualità (*) di norma lo è per chi ha davvero talento, prima di tutto; e poi per chi ha compreso i “vecchi” codici nell’ intimo della loro “fisiologia” e ne tenta quindi una rielaborazione ponderata.

- - - - -

(*) Noi non facciamo altro che rielaborare di continuo il nostro patrimonio di conoscenze: sia a livello personale che collettivo. La creatività non è altro che la capacità di collegare esperienze diverse, sintetizzando in questo modo nuova conoscenza, la quale rientra nuovamente nella rielaborazione. La casualità è come una perturbazione che sposta da un percorso altrimenti ristretto. Molte scoperte sono avvenute casualmente, mentre magari si cercava o si faceva altro (un tronco d' albero perse il sostegno e rotolò a valle: oggi noi abbiamo la ruota). Il fatto è che la casualità è spesso più proficua da sfruttare per chi sa cosa sta facendo (il quadro di valore perso nel mercatino rionale lo comprano per due soldi, con cognizione, lo storico o il critico; molto difficilmente capiterà che lo comprino la signora Maria e il signor Mario).

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Mario Zacchi
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MessaggioInviato: Mar 27 Ago, 2013 4:27 pm    Oggetto: Rispondi con citazione

E, d' altra parte, mettere in qualche modo in discussione quello che si sa o si crede di sapere e quello che si fa, per evitare di rimanere prigionieri di modelli o di facili espedienti, è un passaggio necessario verso una maggiore fertilità.

Claudio Marra di Torino (claudiom su PH4U)

Mi chiedo, e me lo chiedo per scritto, perchè piaccia. Perchè c'è tutto quello che ci vuole per piacere. La presenza di una emozione molto superficiale, che non costi fatica capire. L'uso del grandangolare spinto, la facile sensazione dell’ “essere dentro l'inquadratura". Il tutto a fuoco, così si evitano discussioni sul boken. La presenza di nuvole molto rilevate che facilitano la lettura del cielo. Il mosso dell'acqua, ma non troppo, per dare una dinamicità che l'inquadratura da solo non avrebbe. Pochi colori, quasi b/n, quasi virata, per rendere un' aura di lontananza intellettuale. Una composizione banale, già vista migliaia di volte, che risulti rassicurante.

Molti elementi che possono piacere, quando ad una foto si chieda che non abbia alcun elemento disturbante degli usi consolidati, che non obblighi ad esercizi di comprensione, che sia piana, priva di qualunque asperità intellettuale. Una formula collaudata ampiamente […]. Cose così, per stare il più possibile tranquilli. Ma non tutti vogliono sempre stare tranquilli.


Alessandro (Reefaddict su PH4U)

Trovo interessanti le tue critiche, stimolanti, ma a mia volta mi chiedo: non sarà che ci mettiamo troppa mente, cercando di analizzare intellettualmente ciò che va soltanto osservato, senza alcuna mediazione del cervello, senza nessun tentativo di riconduzione a schemi noti, senza analisi di modelli conosciuti. Anche una rosa, si sa, è splendida ma, banalmente, è uguale a milioni di altre. Vogliamo considerarla meno bella perché non é unica? Perché i petali seguono sempre lo stesso noioso schema? Perché i colori sono le solite sfumature di carminio? O basta solo osservarla, senza spiegarla, e gioire di ciò che ci può dare?

Claudio Marra di Torino (claudiom su PH4U)

Vedi Alessandro, tu parli di una rosa e sono del tutto d'accordo con te. Ma qui non parliamo di una rosa, ma della fotografia di una rosa. E' una cosa tutta diversa. Per esempio a me piace molto, da torinese, l'acciottolato di via Po al mattino presto col sole ancora basso, ma a fotografarlo è di una banalità esasperante, dopo 100 anni di fotografie. Se io vedo una foto che per me è banale perchè ne ho viste centinaia da molti anni tutte fatte come ho scritto, esattamente nello stesso modo sempre riproducibile perchè stereotipato, penso di poter esprimere un non infondato dissenso. E anche la speranza che non ci fermi lì, a quella visione così piatta della natura.

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Mauroq
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Messaggi: 26033
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MessaggioInviato: Mar 27 Ago, 2013 6:02 pm    Oggetto: Rispondi con citazione

Mario Zacchi ha scritto:
E, d' altra parte, mettere in qualche modo in discussione quello che si sa o si crede di sapere e quello che si fa, per evitare di rimanere prigionieri di modelli o di facili espedienti, è un passaggio necessario verso una maggiore fertilità.

Claudio Marra di Torino (claudiom su PH4U)

Mi chiedo, e me lo chiedo per scritto, perchè piaccia. Perchè c'è tutto quello che ci vuole per piacere. La presenza di una emozione molto superficiale, che non costi fatica capire. L'uso del grandangolare spinto, la facile sensazione dell’ “essere dentro l'inquadratura". Il tutto a fuoco, così si evitano discussioni sul boken. La presenza di nuvole molto rilevate che facilitano la lettura del cielo. Il mosso dell'acqua, ma non troppo, per dare una dinamicità che l'inquadratura da solo non avrebbe. Pochi colori, quasi b/n, quasi virata, per rendere un' aura di lontananza intellettuale. Una composizione banale, già vista migliaia di volte, che risulti rassicurante.

Molti elementi che possono piacere, quando ad una foto si chieda che non abbia alcun elemento disturbante degli usi consolidati, che non obblighi ad esercizi di comprensione, che sia piana, priva di qualunque asperità intellettuale. Una formula collaudata ampiamente […]. Cose così, per stare il più possibile tranquilli. Ma non tutti vogliono sempre stare tranquilli.


Alessandro (Reefaddict su PH4U)

Trovo interessanti le tue critiche, stimolanti, ma a mia volta mi chiedo: non sarà che ci mettiamo troppa mente, cercando di analizzare intellettualmente ciò che va soltanto osservato, senza alcuna mediazione del cervello, senza nessun tentativo di riconduzione a schemi noti, senza analisi di modelli conosciuti. Anche una rosa, si sa, è splendida ma, banalmente, è uguale a milioni di altre. Vogliamo considerarla meno bella perché non é unica? Perché i petali seguono sempre lo stesso noioso schema? Perché i colori sono le solite sfumature di carminio? O basta solo osservarla, senza spiegarla, e gioire di ciò che ci può dare?

Claudio Marra di Torino (claudiom su PH4U)

Vedi Alessandro, tu parli di una rosa e sono del tutto d'accordo con te. Ma qui non parliamo di una rosa, ma della fotografia di una rosa. E' una cosa tutta diversa. Per esempio a me piace molto, da torinese, l'acciottolato di via Po al mattino presto col sole ancora basso, ma a fotografarlo è di una banalità esasperante, dopo 100 anni di fotografie. Se io vedo una foto che per me è banale perchè ne ho viste centinaia da molti anni tutte fatte come ho scritto, esattamente nello stesso modo sempre riproducibile perchè stereotipato, penso di poter esprimere un non infondato dissenso. E anche la speranza che non ci fermi lì, a quella visione così piatta della natura.


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Habrahx
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MessaggioInviato: Mer 04 Set, 2013 9:34 pm    Oggetto: Rispondi con citazione

Da una parte un invito a nozze, dall'altra un calcio sui denti -miei- : io non condivido mica tutto ciò che affermi, anche se capisco e condivido moltissime cose.
Soprattutto non condivido il confrontare la lettura di un quadro, il commentarlo come si commenta una fotografia: nel guardare una fotografia o un dipinto gli strumenti, gli occhi sono gli stessi, ma ciò che osservano è terribilmente diverso. E' a mio parere un grave errore confrontare le due cose. La fotografia di Capa è significativa perché è indice di una presenza in un luogo e in un momento in cui ben pochi vorrebbero essere; ed è questo che la rende importante; la donna che legge un libro invece è un sogno, che anche se tracciato a grandi linee con una camera obscura, èstata da un'altra parte per tutto il tempo che Vermeer ha impiegato a dipingerlo.
Molte fotografie vengono considerate non banali perché imitano la pittura, ma sempre a mio parere c'è un errore di prospettiva: sono semplicemente buoni quadri e cattivi dipinti. Altre vengono considerate interessanti perché riprendono un aspetto sorprendente di ciò che ci circonda; i salti di Erwit, o il salto della pozzanghera o il bacio dell Hotel (falso); ma l'aspetto saliente non è tanto l'immagine, ma la presenza: essere lì in quel luogo e in quel momento, cosa che nessun dipinto potrà mai fare, tranne forse il ranocchio di Basho e la relativa pittura zen, forse quanto di più simile alla fotografia esiste...
Non so, ti ho letto ma ho le idee più confuse di prima, se possibile
Ciao
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Mario Zacchi
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MessaggioInviato: Mer 04 Set, 2013 10:10 pm    Oggetto: Rispondi con citazione

Mi rendo conto ora che si può fraintendere. Non ho citato il quadro per paragonalo ad uno scatto, cosa che avrebbe avuto più senso con l' impressionismo magari. Il tema di quel trafiletto e notare come anche in mancanza di un' analisi approfondita un' immagine efficace sia in grado di catturare. Ho usato il quadro perché sul momento avevo a disposizione l' interessante analisi fatta dalla Action e ci si può fare un' idea della differenza che passa tra una visione diciamo profana ed una successiva meno profana. In questo quadro comunque il riferimento fotografico esiste anche nel senso che intendi tu, dal momento che l' uso della camera obscura presuppone che la scena avvenga di fronte ad essa, esattamente come con la fotografia. Certo il tutto non veniva visto allora come cattura dell' attimo cosa che invece è in un certo modo presente nell' impressionismo che però non poteva certo usare per questo scopo la lentezza della camera obscura.

Ciao Giovanni grazie. Wink

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Habrahx
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MessaggioInviato: Ven 06 Set, 2013 6:41 am    Oggetto: Rispondi con citazione

Tanto per discorrere e cercare confronto fra lo stesso punto di vista ma considerazioni differenti sullo stesso tema, propongo qui la sintesi di un discorso che presentai un po' di tempo fa:
Dunque: cos'è il bello o il brutto in
fotografia, Perché insomma la fotografia di Susanna è bella, quasi per tutti mentre Roby non la trova interessante?
Per rispondere a questa domanda si dovrebbe capire cosa è la fotografia.
Letteralmente: scrivere con la luce?
Riprodurre tramite mezzi meccanici e digitali la realtà?
Documentare mediante la ripresa di immagini ciò che accade nell'istante?
Catalogare eventi e oggetti e situazioni?
ecc. ecc. ecc.
La fotografia in realtà è queste cose e nessuna di queste cose; la
fotografia ha la stessa funzione che ha avuto per secoli la pittura: creare
pace o inquietare stimolando la nostra immaginazione.
I chiari scuro di Caravaggio possono essere replicati dal peperone di
Weston, Goya può essere ritrovato nella fotografia di Eileen Quinlan, il
rigore formale di Raffaello può essere ritrovato in Thomas Struth o in Luigi
Ghirri...
Voglio dire che non è tanto la fotografia ed essere significativa, ma la
facoltà tutta umana di essere ricettivi alle immagini.
Noi, in una immagine prodotta, possiamo vedere qualcosa che esula dalla
funzione prettamente pratica del vedere: vediamo il sogno, l'immagine è un sogno ad occhi aperti.
Ed è nel sogno che può nascere il bello o il brutto, in base a ciò che una
immagine, nel nostro caso una fotografia, ma la cosa non cambierebbe se usassimo dei pennelli, è in grado di suscitare in noi.
Il bello o il brutto sono chiavi di accesso al nostro io più profondo, che
solo poeti e mistici sono in grado di descrivere, ma mai
completamente; e questa mancanza di accesso al nostro io più profondo,
questo senso di incompletezza della nostra anima vuole essere colmato dal ritmo, dall'armonia delle forme e dal colore.
La casa di Susanna, pertanto è un sogno ad occhi aperti, che attira dentro, fa venire voglia di entrare a curiosare e capire chi o cosa si cela dietro quelle finestre; chi insomma può vivere in quella ordinata desolazione.
Ma nello stesso tempo qualcuno può trovare ripulsa; troppo solitario il
luogo: una natura morta abitata da persone morte; e per questo giudica
brutta la tua fotografia; una brutta fotografia, spesso affermiamo è quella
fotografia che non dice niente, ma può anche essere quella fotografia in cui non si riesce o non si vuole entrare.
Ma questo è solo la superficie del problema; l'aspetto proiettivo si
confonde con quello memnonico; si ricorda: diamine, dove ho già visto quella case?
E dove esiste un luogo simile? ci sono stato e cosa ho fatto e chi ho
incontrato ecc.
Tutto questo accade quando guardiamo una fotografia, ancora prima di vedere composizione, inquadratura e colori.
Poi osserviamo le tonalità o le scale di grigio, ed ogni una di queste ci
prepara a qualcosa d'altro: la profondità o la molteplicità, e infine osserviamo la composizione: l'ordine degli elementi, che parte dai nostri oggetti fino ad arrivare al mondo che ci circonda, tanto è vero che perfino osservando dei rami spogli siamo portati a ordinarli per gruppi e per lunghezza e per colore
ecc.
La fotografia non ordina la realtà, ma propone un ordine plausibile della
realtà, e plausibile sta anche per applaudibile, ovvero gratificante e
sorprendente.
Questa come considerazione generale. Quindi noi ci troviamo da un lato la presenza millennaria di immagini che ha per forza condizionato il nostro modo di leggere le immagini (perfino la scrittura ci ha condizionato; probabilmente chi scrive da destra a sinistra o dall'alto in basso legge le immagini in una maniera diversa)
Penso che il grosso problema, che in qualche modo sfiori anche tu citando il critico d'arte che scova il capolavoro al mercantino, sia l'impreparazione del critico di fotografia; l'impreparazione non culturale o umana, ma l'impreparazione storica. La fotografia è troppo giovane, non ha creato tradizione; e l'evoluzione attuale, con l'intervento di software sempre più spettacolari, ovvero capaci di produrre scena, la sta distruggendo perché stiamo perdendo il senso della classicità, e per classicità intendo ciò che è esteticamente valido in ogni tempo.
Insomma, noi abbiamo un'arte che sembrerebbe conclusa nel giro di 200 anni, e quello che vediamo ora è tutt'altro che fotografia ma piuttosto, direi, presentazione tecnica che richiede dei commenti tecnici, oppure imitazione della pittura che rimane solo una imitazione appunto, e non vale la pena di criticarla.
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Mario Zacchi
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MessaggioInviato: Dom 22 Set, 2013 1:14 pm    Oggetto: Rispondi con citazione

La fotografia non ordina la realtà, ma propone un ordine plausibile della realtà, e plausibile sta anche per applaudibile, ovvero gratificante e sorprendente.

Il bello o il brutto sono chiavi di accesso al nostro io più profondo

Mi sembrano essere i due passaggi-sintesi. Se sostituiamo a bello/brutto il riferimento ad impressioni più generali, meno legate, appunto, al tradizionale significato di bello e brutto e aggiungiamo l' esperienza intesa come vissuto, possiamo avere una chiave per capire perché certe immagini ci paiono interessanti e altre no.

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Mario Zacchi
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MessaggioInviato: Dom 22 Set, 2013 1:18 pm    Oggetto: Rispondi con citazione

Dal libro intervista di Francesco Zanot ad Alec Shot.

Per esteso:

Lezioni di fotografia
Alec Shot con Francesco Zanot
Conversazioni intorno a un tavolo

Edizioni Contrasto



Dal libro intervista di Francesco Zanot ad Alec Shot.jpg
 Descrizione:
 Dimensione:  174 KB
 Visualizzato:  File visto o scaricato 19238 volta(e)

Dal libro intervista di Francesco Zanot ad Alec Shot.jpg



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Habrahx
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MessaggioInviato: Lun 23 Set, 2013 5:20 am    Oggetto: Rispondi con citazione

Mario Zacchi ha scritto:

Il bello o il brutto sono chiavi di accesso al nostro io più profondo

Mi sembrano essere i due passaggi-sintesi. Se sostituiamo a bello/brutto il riferimento ad impressioni più generali, meno legate, appunto, al tradizionale significato di bello e brutto e aggiungiamo l' esperienza intesa come vissuto, possiamo avere una chiave per capire perché certe immagini ci paiono interessanti e altre no.

Grazie Mario! Ok!
Citazione:
l' esperienza intesa come vissuto...

Questo è un punto nodale.
C'è a mio parere un ulteriore aspetto che si richiama a quanto affermato, ma lo inquadra in una prospettiva diversa, non tanto temporale ma spaziale, nel senso che non si richiama alla memoria o al vissuto ma alla presenza; ricorro ad un'altra mia nota: ciò che rende quella fotografia interessante è il rapporto sottointeso fra te, ovvero chi fotografa, e la scena ripresa: tu eri lì, e hai effettuato la tua ripresa, e tutti noi che abbiamo visto abbiamo in qualche modo partecipato al tuo esserci.
La fotografia insomma è il segno tangibile dell'essere presenti in quel
luogo e in quel momento, e questa partecipazione non è comunicazione, ma proiezione psicologica, un po' come quando leggiamo un romanzo e ci
impersonifichiamo con il protagonista.
Secondo me questo rapporto, questo esserci per delega (scusa la banalizzazione) è un aspetto non ancora indagato e su cui sto cercando di fare chiarezza.
Ciao e buona luce, Giovanni
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