1) Cosa ti ha attratto in principio della fotografia e cosa ci hai trovato che mancava nelle altre arti? Cosa rimpiangi del periodo della scoperta fotografica ora che il tuo bagaglio è più ricco e diversificato?
In principio fu l’astronomia! Mio padre, ora in pensione, è stato insegnante di navigazione e di astronomia, e, per me ,che ero ancora un bambino, il primo colpo di fulmine è stato immortalare gli astri con macchina fotografica e telescopio studiando i tempi di esposizione per ogni astro, costellazione, nebulosa etc… Poi sono cresciuto e, vista la mia timidezza, ho sempre usato la fotocamera come se fosse il prolungamento del mio occhio, registravo immagini e le riguardavo a distanza di tempo, come per controllare quanto fossimo cambiati da quel momento. C’è stato, poi, un periodo di crescita in funzione della sola tecnica, andavo alla ricerca della foto “domenicale”, della bella immagine, ma in realtà non mi muovevo in nessuna direzione, cercavo solo di capire e di assimilare tecniche nuove. Qualcosa è cambiato quando ho fatto un viaggio per lavoro a Skopje, in Macedonia. Non so bene cosa sia accaduto, ma da quel viaggio è come se non fossi più tornato e, come dire, ho cominciato a capire che la fotografia non è solo quella della “domenica”, ma permette di far vedere anche i giorni lavorativi. E’ stato solo l’inizio. Ho smesso di “scattare”, c’è stato quasi un blocco fotografico, non so se consapevole o inconsapevole, fatto sta che se non avevo qualcosa da raccontare non impugnavo la fotocamera.
Oggi vedo la fotografia in un modo completamente diverso, come un vero e proprio linguaggio artistico, legittimo, come un mezzo attraverso il quale riesco ad approfondire temi che non conoscevo affatto. Penso che il mondo non sia fatto di quello che vediamo, ma di quello che facciamo. I fotografi che ignorano lo stato delle cose riducono la fotografia alla sua capacità di registrare la realtà. Al contrario di quello che si fa quando si scrive o si dipinge, mentre si fotografa ci si trova per forza a confrontarsi con la realtà. E’ complicato, ma è necessario, come dire, mantenere un equilibrio tra la creazione di una situazione da vivere e lo sviluppo di una narrazione per condividere la propria prospettiva. In questo processo la fotografia diventa attiva, non è più semplice mezzo passivo, essa snatura la realtà, la supera. E questo mi aiuta molto, non mi fa essere superficiale sulle cose, mi fa fermare, guardare, e a volte vedere.
2) Quali domande ti poni prima di iniziare un progetto. Pensare un portfolio a tema richiede un approccio diverso dalla realizzazione di uno scatto singolo?
La prima, unica, semplice, complessa, ma soprattutto inseparabile domanda che mi faccio per quanto concerne un progetto fotografico (e non fotografico) è racchiusa in una parola: PERCHE’? Una volta che ho risposto a questa domanda rispetto al problema scelto, lo definisco meglio, ne definisco i componenti, raccolgo i dati a riguardo, li analizzo cercando di evolverli, comincio a mettere giù uno storyboard attraverso uno scritto o uno schizzo, ma cosa fondamentale coinvolgo sempre le persone che mi circondano ,ovviamente quelle che conosco ( addetti e soprattutto non addetti ai lavori), ascolto i loro commenti e cerco di capire attraverso la “catarsi” degli altri se il “gioco” funziona, facendo sempre tesoro delle risposte. In quest’ottica Photo4u è stato l’incipit di questo percorso, in quanto alcune foto che proponevo sullo stesso tema, nel forum, provocavano maggior interesse rispetto a singoli scatti proposti che ritenevo più interessanti.
3) Ti è mai successo di iniziare un nuovo progetto e poi di lasciarlo a metà perché non lo ritenevi abbastanza interessante o perché non eri riuscito a raggiungere l’obiettivo che ti eri prefissato?
Wim Wenders diceva “Ogni scatto è un autoritratto”. Secondo me questa frase va estesa anche alla preparazione dei progetti fotografici. Parto dal concetto che non avrò mai la forza di farmi capire in maniera chiara e coerente, non sono un tipo preciso, sono sempre stato una persona confusa e scrivo in maniera goffa. La verità è che ho tanti progetti iniziati, alcuni non portati a termine, per vari motivi, uno su tutti è la mancanza di stimoli a continuare quando con il tempo mi accorgo che i perché che tengono vivo un progetto vanno a cadere. Altri invece, forse perché li sento più autobiografici, li inizio, e continuo a portarli avanti lasciando che si evolvano in forme diverse. Per esempio, nelle mie foto traspare in maniera evidente, la mia insofferenza dovuta, tra le tante cose, alla mia “doppia vita” da ingegnere - fotografo. Un esercizio che trovo utilissimo, è proprio quello di rivedere le immagini del passato, non solo per capire se alcuni scatti che ci piacevano un tempo continuano a piacerci, ma anche per ravvisare similitudini nei nostri lavori, per percepire quanto c’è di noi nei nostri scatti e trovare, magari, la nostra coscienza fotografica.
4) In quali situazioni specifiche ti senti in difficoltà come fotografo sia dal punto di vista tecnico, che da quello umano?
Ogni volta che ho un lavoro, un tema da affrontare, alla fine del percorso mi ritrovo, ovviamente, con uno scatto ben preciso in testa e quindi cerco, con tutti mezzi che ho a disposizione, di effettuarlo. Ovviamente il fatto di non avere uno studio ha i suoi limiti, non mi permette infatti di esprimere al meglio il concetto, e soprattutto di provare lo scatto e affinare magari la tecnica. In mancanza di uno studio, “improvviso“, ma questo è sicuramente il lato più divertente di tutto il flusso di lavoro. Nel caso del dittico “ Diade “ ho girato molto, per trovare un ufficio che avesse quel pavimento e che, in forma diversa, dovesse riprendere il pavimento della foto accanto. In questo caso abbiamo fatto sloggiare il padre di una mia carissima amica da un ufficio ad un altro, lasciandoci la scena tutta per noi!
Più difficile invece, almeno per me, chiedere di entrare in casa altrui per documentare situazioni che mi incuriosiscono, in questo caso mi faccio aiutare da amici, mettendo in mezzo magari un esame universitario, di fronte a queste cose le persone sono più comprensibili
5) Ti capita mai di avere dei periodi in cui ti senti lontano dalla tua passione e non hai voglia di scattare? Qual è il motore che ti spinge a trovare situazioni sempre nuove da fotografare?
Se questa domanda mi fosse stata fatta 2 anni fa avrei risposto tranquillamente di si; avrei parlato di alcuni periodi nei quali non mi sento a mio agio e non mi piace fotografare, lascio la mia fotocamera parcheggiata nella borsa a non prendere polvere. Ma oggi è difficile rispondere a questa domanda così. Per esempio in questo periodo non sto scattando. Ma non mi sento affatto lontano dalla fotografia anzi, quasi tutto ciò che faccio, e che non faccio, è legato per fortuna o purtroppo, alla fotografia. Gli spunti, le intuizioni, i perché dei lavori nascono e vivono ogni giorno dentro di me, che si tratti di un avvenimento vissuto nel passato che poi ricordo e mi piace rappresentare, oppure di eventi vissuti da altri,
come documentare un problema, un avvenimento che accade vicino casa oppure qualcosa di letto sul giornale, in un libro,ascoltato in una canzone o visto in un film. I momenti “no” sono assolutamente i migliori, quelli che mi fanno vivere peggio è vero, ma che mi aiutano a soffermarmi ancora di più su alcune cose, mi fanno mettere a fuoco alcune emozioni e mi permettono di vedere le cose da prospettive diverse. Se invece la domanda è intesa come scattare senza avere un progetto (i francesi lo chiamano il Flâneur), allora diciamo che lo faccio pochissime volte, quando è una bella giornata ( fuori e soprattutto dentro…), oppure quando viaggio, ma non per fare la classica cartolina, la foto domenicale, ma come appunti di viaggio, foto di vita assolutamente quotidiana; in questo caso sono sempre leggero di attrezzatura, ho una compatta che porto sempre con me, anche se quando trovo qualcosa che mi piace davvero, rimpiango di non essermi portato la reflex
6) Ritengo che la fotografia, oltre che prodotta, dovrebbe essere anche gustata: quali sono gli autori e il genere che preferisci da osservatore?
Non ho un genere preferito. Se dovessi scegliere un genere è normale che opterei per il ritratto, ma più perché si presta maggiormente ad un racconto. Stesso discorso per gli autori, non ne preferisco uno in assoluto. Inutile dire che Evans, Bresson, Frank, Arbus, Newton e Giacomelli mi hanno cambiato la vita, ma come puoi notare sono tutti generi diversi. Adoro lo stile di Martin Parr, ho un suo catalogo, a casa, che mi ha regalato una cara amica, e che sfoglio settimanalmente perché mi mette terribilmente di buon umore, ma dopo mi ritrovo quasi inevitabilmente a prendere “Kodachrome” di Luigi Ghirri, e allora ritorno serio, silenzioso e ci sono quei 5 minuti in cui mi viene voglia di appendere la fotocamera nell’armadio (non buttando via la chiave ), e invece poi quando vedo il libro “Street Photographer” di Vivian Mayer mi ritrovo a percepire la fotografia come pura e sola passione. Per me lei rappresenta l’esempio di vero e proprio amore per la fotografia, visto che ha tenuto per sé i suoi scatti in tanti anni senza avere la pretesa o forse il coraggio di mostrarli. On line seguo i lavori nel portfolio Italia, ma leggo spesso Zoom, Private e RVM. .
7) Che ruolo hanno al giorno d’oggi i forum e/o i social network per un fotografo o aspirante tale?
Io devo tutto ad internet, ai forum, ai social network, al concetto di condivisione ( se è la condivisione che intendo io). Per me Photo4u è stato il primo amico virtuale. Mi ci sono affacciato per condividere il mio mondo che era parcheggiato in una cartella di nome “Immagini”, spinto principalmente dalla curiosità di capire cosa pensano gli altri di me e dalla voglia di mettermi in gioco per migliorarmi. Ma la cosa meravigliosa è che, grazie alla passione fotografica ho avuto la possibilità di conoscere dal vivo e non, molte belle persone attraverso questo forum. Non voglio dilungarmi troppo sul discorso dei social network sottolineando i fattori negativi o positivi, è un discorso oramai che è stato già ampiamente cucinato da altri. Posso dire però che uso tranquillamente facebook, Twitter, Instagram e Pinterest. E tutti e quattro per fattori decisamente differenti.
Dal punto di vista umano facebook mi aiuta molto ad abbattere molte barriere di vario tipo. Conosco, coinvolgo, indago. Uso spesso la chat per chiedere consigli, per chiedere cosa pensando di qualcosa, ma anche per vita privata, appuntamenti, chat di gruppo. Condivido immagini e leggo anche li un po’ di feedback, quindi lo uso spesso e volentieri come indice di gradimento o sgradimento. Twitter lo utilizzo come notiziario anomalo, come fonte di ispirazione per qualche evento fuori dal comune. In Instagram invece sottopongo talvolta altre tipoligie di scatti, esperimenti minori, più leggeri, piu divertenti. La simpatica formichina Bina era proprio figlia di questo social network. Pinterest invece lo vedo come un modo di vedere le foto in maniera completamente diversa, una sorta di indagine di mercato fotografico in funzione dei prodotti, prendendo spunto dai propri interessi o di quelli degli amici.