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photo4u.it - Libri
L’errore fotografico - Una breve storia (Clèment Chèroux)
Titolo: L’errore fotografico
Una breve storia




Autore: Clèment Chèroux
Italiano, brossura 11x19
Edizioni: “Piccola Biblioteca Einaudi”
146 pagine - Costo: € 22,00



Non abbiate timore: il titolo curioso di questo libro non nasconde l’ennesima apologia paradossale tanto cara alla tradizione letteraria, ne tantomeno una collezione di errori fotografici famosi.
Non vi troveremo sofismi per difendere le fotografie nate sbagliate o classificazioni di esemplari anomali. L’intento ambizioso dell’acuto Cheroux è quello di utilizzare l’errore fotografico come un vero e proprio strumento cognitivo.
Il modello epistemologico che struttura l’opera è lo stesso dello spirito scientifico: è in forma di ostacoli che bisogna porre il problema della conoscenza. L’errore è uno straordinario strumento di conoscenza, esso mette a nudo i principi fondamentali della fotografia.
E’ nelle sue ombre, nei suoi scatti errati, nei suoi accidenti e nei suoi esperimenti, che la fotografia si svela e si lascia analizzare.
Il libro propone un insieme di fotografie attentamente ricercate.





Achille-Quinet,-Etude-d'apres-nature.-pl.-105-deposito-legale-1875.

Delle immagini piuttosto rare ai tempi nostri a causa della concezione essenzialmente funzionalista della fotografia del XIX secolo che prevedeva la distruzione di tutte le lastre errate o nate difettose, e sopravvissute al XXI secolo per la lungimiranza di certi operatori. Il registro degli errori fotografici comuni a queste vecchie fotografie è mutato pochissimo fino ad oggi. Sorprendentemente gli errori continuano ad essere gli stessi di quelli eseguiti ai tempi di Daguerre. Un guasto tecnico, una cattiva manipolazione o un incidente di ripresa: questi i tre campi d’azione dove viene verificata l’ipotesi iniziale della “conoscenza per errore”. Si cerca cioè di comprendere ciò che l’errore fotografico rivela della tecnica, dell’operatore o del soggetto, in sintesi il “come”, il “chi” e il “che cosa” della fotografia. Dopo aver definito il corpus di fotografie difettose il libro sviscera i criteri di valutazione dell’erratum. Per quali motivi si dice che una fotografia è sbagliata? Non vi è dubbio che esiste una “norma” a cui tutti i professionisti del medium si sono rifatti, una sorta di orizzonte di referenza comunemente approvato dalla consuetudine. Quindi sono i produttori, i laboratori e gli esercizi che la trattano che si mettono d’accordo su quale immagine rientra nella norma e quale no.

Anonimo

Ma è vero anche che tale accordo di consensi diventa talvolta incerto e soprattutto incostante. Esiste una fluttuazione di giudizio sulla fotografia, a seconda del luogo in cui viene esibita e soprattutto da chi la fruisce: entrano qui in gioco i differenti universi culturali ed i sensi che la percepiscono, intesi come sensazioni tattili e visive variamente combinate. Il giudizio varia ad esempio a seconda se l’autore è un artista affermato, un professionista oppure un semplice fotoamatore di circolo fotografico. La mente, le mani e gli occhi di un artista non giudicheranno in maniera uguale alla mente, alle mani e agli occhi di un fotoamatore di circolo o di un fotoreporter di giornale. Ma la storia e i generi hanno reso i confini fra queste tre entità di giudizio molto permeabili fra di loro. Si è verificato nel tempo un’omeostasi interpretativa, un livellamento di giudizio che se ne infischia delle rigide norme che definiscono l’erratum. Il fallimento è diventato versatile, sfuggente come un’anguilla. Quella triade di giudici di cui parlavamo prima, si sono maliziosamente scambiati di ruolo. Ecco che il fotoamatore può criticare il fotoreporter che fa pubblicare reportage di personaggi famosi con gli occhi rossi, inorridendo per un’ errore che in verità è voluto per dare un tono interpretativo a particolari avvenimenti pubblici. O viceversa il professionista può deridere il fotoamatore quando mostra le sue fotografie di famiglia mosse, tremolanti, infarcite di flou, piene di teste tagliate. Senza contare che questo esperimento può essere valido con le foto di famiglia al pari delle immagini dello sbarco in Normandia del ‘44 eseguite da Robert Capa. E cosa dire allora dell’effetto stupefacente rincorso dagli artisti verso immagini che farebbero rabbrividire il professionista o scandalizzare il fotoamatore per gli evidenti errori. Per convincersene basta sfogliare qualsiasi opera che riunisca giovani fotografi contemporanei. La loro tecnica è volontariamente non professionale, volta alla ricerca ed il raggiungimento di un’ “estetica del difetto”. Ben vengano quindi per l’artista le dominanti di colore, il tremolio, gli effetti flou, gli occhi rossi, la cattiva padronanza del flash. Alcuni artisti hanno perfino raccolto in opere delle fotografie scartate e non fatturate dai laboratori fotografici perché giudicate errate in maniera definitiva. L’ha fatto anche il nostro Nino Migliori nel 2012 con l’esperimento artistico “La ruota delle fotografie orfane”: una collezione imponente e ben esposta di stampe di rullini sviluppati (e non fatturati). Alla prima occhiata del fotoamatore di turno possono apparire veramente deludenti per l’assoluta banalità e negligenza (foto mosse, tremolanti, composizioni confuse, sotto e sovra-esposizioni, teste tagliate, occhi da coniglio, inquadrature trasandate, etc) del cliché che ci si attende dalle norme comunemente accettate dalla fotografia di massa. Plausibile che i legittimi autori le abbiano rifiutate e non siano passati mai a ritirarle al negozio. Per Migliori queste orfanelle vengono reintegrate diventano lo svelamento dello specifico Fotografico. Sono le fotografie perfette: su queste immagini totipotenti il fruitore può proiettare qualsiasi storia, qualsiasi desiderio, un significato che non hanno mai avuto perché abortito. Quest’ultimo esempio introduce bene anche un’altra variabile che permette di spiegare la fluttuazione della definizione di errore fotografico. La percezione stessa di errore dipende per una parte non trascurabile dal “tempo” in cui si viene a trovare colui che la riceve come tale.

Jaques-Henri-Lartigue, -Une-Th.-Schneider-au-Grand-Prix-de-l'Automobile-Club-de-France, - 1913.

E qui gli esempi nella storia si sprecano: basti pensare alla Th. Schneider n.6 di Maurice Croquet in piena velocità fotografata da Jaques-Henri Lartigue e giudicata al tempo un fallimento: macchina amputata,deformata, stirata, rimpicciolita. Ma per un bizzarro fenomeno di ritardo tanto caro alla Storia della Fotografia, questi errori vengono riabilitati come detenuti dalla buona condotta e diventano utili all’iconografia della mobilità e della velocità del Futurismo e della Nuova visione. E come un buon vino d’annata, oggi la fotografia di Lartigue rappresenta una vera e propria icona della fotografia. Medesima sorte è toccata alle fotografie dei “riflessi”: ai primi del ‘900 erano banditi come fastidiosi errori ma poco più tardi vengono riabilitati dalle avanguardie per la loro innata proprietà di turbare la normale percezione e per fondare le basi di un’estetica del montaggio tanto cara a Breton e a tutto il Surrealismo. Non disperate quindi: il fallimento può diventatare successo. Gli insuccessi sono del tutto naturali. Servono da lezione. Bisogna conservare anche le fotografia che non ci soddisfano, perché fra qualche anno vi scopriremo magari qualcosa di ciò che un tempo avevamo sperimentato. Se gli errori rimangono gli stessi nel tempo la loro percezione si modifica in funzione di chi la attua, del luogo e del momento in cui viene eseguita. Il libro non si conclude con questa semplice ed ovvia conclusione ma continua nel fecondo modello sperimentale annunciato in prefazione. Perché l’errore permette al di là della semplice analisi della sua ricezione, di meglio comprendere l’insieme degli elementi costitutivi della fotografia: autore, tecnica e soggetto. La fotografia “errata” serve per “tarare” la fotografia stessa, permette di osservare, comparare e misurare l’intera triade costitutiva della meravigliosa invenzione. Si riparte allora con la presentazione di una carrellata di deformazioni, riduzioni, oscillazioni, decadrage, ostruzioni, sovrapposizioni, riflessi, ombre riportate, qualsiasi trasgressione percepita dalla doxa fotografica. Questa volta non dal punto di vista dell’osservatore e dalla sua percezione in un tempo e in un luogo, ma da quella dell’artista e della sua intenzione.

Anonimo

Il libro scava le ragioni che hanno spinto le avanguardie storiche a riabilitare le forme visive giudicate errate. Quasi tutta la gamma degli errori enumerata dal primo secolo della fotografia ha subito un rovesciamento artistico in epoca moderna sia a causa dello spirito sovversivo delle avanguardie verso la routine fotografica sia per una fertilità insita nelle virtualità inattese del procedimento fotografico, presenti allo stato latente nel materiale fotografico e nella sua lavorazione. Moholy-Nagy esplora le potenzialità della fotografia partendo proprio dalla sua fragilità, dalla sua vera natura poietica. Ciascun inconveniente della fotografia diventa un meraviglioso segnale di riconoscimento che una volta amplificato e decodificato permette la decifrazione del DNA fotografico. Gli errori del linguaggio fotografico costituiscono un eccellente base per l’elaborazione di una grammatica visuale. Il medium è assimilabile ad un insieme di variabili: in fase di scatto: un punto di vista, un’ inquadratura, una messa a fuoco, un tempo di posa. In fase di stampa avremo altre variabili in gioco: carta, sensibilità, tempi di esposizione, bagni di fissaggio, etc. L’intera ricerca della fotografia sperimentale è consistita nel far variare i parametri del dispositivo al fine di calcolarne le ripercussioni plastiche. Gli errori fotografici non sono nient’altro che variazioni inaspettate di quelle stesse variabili. Una fotografia errata è causata da una variabile che viene per caso o per inavvertenza, o in via sperimentale, modificata nei suoi estremi. La forma visiva degli errori fotografici del XIX secolo somiglia fino all’inganno all’estetica sperimentale del secolo successivo perché entrambi derivano dallo stesso lavoro del medium. Ma se per Moholy- Nagy l’errore è un mezzo inesauribile di esplorazione del medium e quindi di scoperta di altri modi di rappresentazione, per Man Ray, fotografo legato al movimento surrealista l’incidente è una maniera di abbandonarsi al caso, di far sì che emergano forme visive inedite, nuovi soggetti.

Lisette Model, Premier reflect, New York ,1939-40

Per il primo l’errore è la matrice dell’invenzione, per l’altro è l’occasione di una scoperta. Per il primo si può parlare d’invenzione, ovvero della capacità di trovare qualcosa non per caso ma per averla meticolosamente cercata. Per il secondo si può parlare di scoperta casuale: la serendipità prende il posto della sua immaginazione e creatività. La capacità di cercare qualcosa e, avendone trovata un’altra differente, di sapere riconoscere d’aver trovato qualcosa di più interessante di quel che si era cercato all’inizio. L’errore fortuito gli permette di s-coprire il reale, ovvero di “sollevare per un istante il velo che ne offusca l’apparenza”. Una sorta di lavoro per favorire momenti d’indeterminatezza capaci di creare l’incidente, l’errore, e di lasciare operare il caso, per arrivare a scoprire nuove realtà. Un’erranza fertile che conduce l’autore verso itinerari nuovi e curiosi. Come diceva Louis Aragon: “Ad ogni errore dei sensi corrispondono strani fiori della ragione”. Ai movimenti dell’avanguardia artistica europea degli anni ’20 e ’30 fanno seguito i tempi oscuri dell’occultismo di fine secolo. E agli errori fotografici sperimentali di Man Ray e Moholy-Nagy succedono quelli probanti i fenomeni spiritisti.

Anonimo

Ma come è possibile che ancora una volta una stessa forma visiva susciti sentimenti tanto opposti nella valutazione? Nonostante le differenze ciò che resta è la virtù dell’errore: dove permetteva di scoprire nuovi soggetti, nuove potenzialità del medium, esso offre ora una migliore comprensione dell’operatore. Questo rappresenta infatti l’utilizzo più fruttuoso che oggi si fa della fotografia errata in Psicoterapia. La fotografia diventa un supporto di verbalizzazione. Se una fotografia mossa, sfuocata, male inquadrata, può suscitare una sorpresa nel lettore, questa potrà fornire un’interpretazione libera. Alla stregua dei test di Rorschach dei primi anni venti le fotografie errate o, per meglio focalizzare il lavoro scientifico, le fotografie che si discostano dalla riproduzione fedele del reale, diventano dei veri e propri “test proiettivi”. Un’immagine poco figurativa come una fotografia mal esposta e mossa, se viene fatta commentare da un osservatore tenderà a produrre una lettura soggettiva. Più la fotografia ha una forma vaga, indistinta, “aperta” come direbbe Umberto Eco, più susciterà una lettura interiore e personale, ricca d’integrazioni psicologiche. Più la fotografia è svuotata di senso, più incita l’osservatore a colmarlo, facendo appello alle risorse immaginative. Con queste ultime riflessioni si raggiunge la meta dell’affascinante viaggio intellettuale di Chèroux. Il rapporto oscillante fra la fotografia e la mimesi è all’origine di tutte le valutazioni sull’errore fino a qui osservate e analizzate. Ed è stata proprio questa fluttuazione con il concetto di mimesi che spiega il perché certe forme fotografiche considerate difettose nel XIX secolo siano così strettamente in relazione con le proposte estetiche del XX secolo. Più la fotografia è errata meno somiglia alla realtà. Se non ne siete convinti provate a presentare a qualcuno una fotografia completamente nera e senza margini. La maggior parte delle persone penserà di essere davanti ad un semplice pezzo di carta nero. Se modifichiamo l’esperimento utilizzando una tela dipinta di nero la reazione sarà ben differente: la sensazione di essere di fronte ad un quadro sarà sempre molto forte. Ma questo non deve stupire più di tanto: il realismo fotografico ai tempi di Daguerre, la Nuova Oggettività del secolo successivo e per finire la teoria peirceana dell’indice da due decenni, hanno contribuito a cristallizzare la convinzione che la fotografia non poteva che essere imitativa della realtà. Quando la fotografia non è più mimetica non è più fotografica. Quando è poco mimetica è errata.

Cham, Histoire de M. Jobard, Aubier & Cie, Paris 1842

Se non siete ancora convinti comparate questa simpatica vignetta di Cham del 1842 con il famoso “quadrato nero di Malevic” del 1915 e vi accorgerete con ironia che il senso comune adottato dalla Storia ha considerato il fallimento in fotografia come un’alterazione del potere mimetico del medium.
Sempre con più forza viene d’ affermare che comunque si fotografi, sarà un successo: non dobbiamo aver paura di fare degli errori e soprattutto quando ne abbiamo la pubblica conferma non gettiamoli nel cestino ma conserviamoli gelosamente per gli anni a venire: potranno regalarci delle sorprese.

    Clèment Chèroux è conservatore del fondo fotografico del Centre Pompidou. Storico della fotografia, ha insegnato all’università di Paris I, Paris VIII e all’Ecol nationale supèrieure de la photographie di Arles. Caporedattore della rivista “Etudes photographiques”, è consigliere scientifico del Musèe Nicèphore-Nièpce di Chalon-sur-Saone e membro del consiglio d’amministrazione della Sociètè francaise de photographie.


Letto per voi da surgeon

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