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photo4u.it - Libri
Fotografia e inconscio tecnologico (Franco Vaccari)
Titolo: Fotografia e inconscio tecnologico

Autore: Franco Vaccari
Italiano, dimensioni 19x11 cm
Edizioni: “Piccola Biblioteca Einaudi”
42 pagine - 15 illustrazioni: b/n
Costo: € 17,00

Lasciatevi andare all’effetto terapeutico di questo piccolo libretto, tanto piccolo quanto prezioso, uno di pochi testi italiani indispensabili per costruirsi una cultura fotografica. Una terapia decongestionante non priva di complicanze ed effetti collaterali, specialmente durante le prime dosi. Un libro che può avere anche gravi episodi di tipo allergico ma che promette e mantiene un profondo senso di benessere mentale. Vi suggerisco subito le modalità di somministrazione: lasciatevi andare sereni ai vostri bisogni visivi, semplicemente “prendendo e consumando” le immagini che il vostro medium produce. Non cadete nel tranello narcisistico di pensare che siete voi gli autori delle fotografie prodotte dal gingillo tecnologico. Non cercate vie d’uscita intellettuali per essere coerenti, come la volontà di scegliere punti di vista, tempi, distanze e messe a fuoco. Sono solo perfezionamenti accessori, imbellettamenti, sovrastrutture, connotazioni, surplus all’essenziale. Non dovete sentirvi feriti nell’orgoglio quando constatate che il vostro freddo medium è il solo responsabile della creazione di fotografie. E’ proprio grazie all’inconscio tecnologico connaturato ai meccanismi della macchina fotografica come un DNA genetico che permette di produrre un’immagine strutturalmente e culturalmente valida anche in assenza di una volontà umana cosciente. Accettate serenamente ed umilmente i regali inaspettati che il vostro balocco tecnologico vi da, le sue inquadrature strane, le sue composizioni inaspettate, piene di “informazioni parassite”, quelle fotografie enigmatiche degne della più genuina scrittura automatica surrealista. Non dovete essere presuntuosi, non dovete resistere per riaffermare la vostra volontà ma arrendervi umilmente ad un padrone, lasciarvi usare dalla fotografia. Nemmeno se vi venisse in mente di scegliere il più insignificante fattore espressivo individuale durante quel click dovete cedere alla tentazione: sarebbe come decorare i cerchioni della vostra utilitaria per viaggiare o cambiare la custodia al vostro cellulare per telefonare. Non abbiate paura di annullarvi nella serialità della produzione perché ognuno di voi scoprirà le sue “strutture profonde”, le vere portatrici di senso vero. Lasciatevi andare all’indeterminazione dell’atto fotografico, non ve ne vergognate perché esso è la strada per lo specifico fotografico. Non fate l’errore comune di credere che la capacità di controllo del mezzo sia direttamente proporzionale al valore del fotografo. Quella strada è già battuta, è priva di novità, porta agli stereotipi, al copiarsi a vicenda in maniera stolta. E’ una sorta di comunicazione tautologica, un dirsi le stesse cose, come uno psicodramma, una riunione di condominio, un tic nervoso, un rituale di conferma e di identificazione della propria identità attraverso il gruppo. Bisogna superare quella barriera narcisistica che nasce dalle illusioni estetiche che tendono a rassicurare il singolo soggetto sulla sua appartenenza a determinati livelli sociali: il bisogno di connotare l’immagine nei modi ritenuti socialmente più significativi e più adatti a trasmettere un immagine di se stessi sulla quale si rispecchi la luce delle forme ritenute “alte” perché già cariche di collaudato prestigio, quelle che ricercano la “poesia” e che rincorrono il “bello”. Una sterile esercitazione sugli stili.

Il libro di Vaccari si rivela una densa storia a puntate dal ritmo sincopato, fitta di nessi, piena di sobbalzi psicoanalitici, antropologici, semantici. Vaccari si addentra in una selva di concetti talvolta in maniera scientifica, fondando i pensieri su precise leggi, altre volte si lascia andare a collegamenti arditi fra idee di materie diverse ma analoghe. Per lo sforzo di elaborazione teorica e per l’operazione di sintesi che fa confluire, in uno spirito post-moderno, sull’idea di fotografia spunti provenienti da discipline diverse, dalla sociologia all’antropologia, dalla psicoanalisi alla linguistica, i temi di Vaccari si configurano nel panorama italiano, fin dalla prima uscita del libro (siamo arrivati alla terza edizione), come un contributo assai rilevante per complessità e assai aperto al dibattito internazionale. Si discute a 360 gradi su stili e storia della Fotografia, sulle origini della visione fotografica, sul rapporto specifico fra avanguardie e fotografia, sull’arte dopo Duchamp, sul mercato e sulla politica, sul potere e sulla pornografia, sulle allucinazioni della civiltà dell’immagine. L’artista modenese elabora i suoi pensieri in anni nei quali la fotografia è più che mai, come anche sostiene Paul Virilio, una delle molte forme di comunicazione che è diventata volante, allucinatoria nell’avanzare scomposto, incontrollato delle tecnologie dentro il tessuto delle società: questione che sta anche al centro delle acute riflessioni del filosofo Baudrillard. In questo intreccio di pensieri e concetti c’è sempre la fotografia come paragone, come presenza allusiva, simbolica e sempre puntuale. Se colpiva nell’edizione del 1979 dell’Inconscio tecnologico, il modo in cui Vaccari collocava la fotografia nel centro nevralgico della crisi della comunicazione che investiva ogni linguaggio, nei saggi più recenti la fotografia è sempre protagonista. Le tesi di Vaccari appaiono intime, come puntualmente ricorda Roberta Valtorta nella sua ottima prefazione, a quelle di Vilem Flusser di “Per una filosofia della fotografia”, un testo che si può considerare un “compagno di strada” dell’ “Inconscio tecnologico” di Vaccari. In particolare all’idea di un’azione profonda della macchina generatrice di inconscio tecnologico appare molto vicino il concetto di “apparato” come condizione predisponente l’atto fotografico stesso.Entrambi riescono a mettere in scacco il momento decisivo bressoniano radicatosi sin nel profondo dell’anima della cultura fotografica del dopoguerra, che voleva un fotografo padrone dello strumento, piegandola espressivamente ai suoi voleri. Il primo a mettere in comunione il termine inconscio con quello di fotografia è stato Walter Benjamin nel suo intramontabile “L’opera d’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica”. Egli parlava di inconscio ottico inteso come ciò che sfugge al controllo del soggetto a causa dei suoi limiti ma che si rivela al mezzo. Quello di Vaccari è leggermente diverso come punto di vista, invece che sull’uomo ed i suoi limiti fisici percettivi si passa allo strumento che deve essere visto come entità dotata di autonomia nel’organizzazione dell’immagine in forme che sono già strutturate simbolicamente, indipendentemente dall’intervento del soggetto. All’inconscio ottico di Benjamin con polarità sull’umano, Vaccari suggerisce l’inconscio tecnologico con polarità sullo strumento. L’idea di “inconscio tecnologico” viene messa in pratica e verificata durante la Biennale di Venezia nel 1972, con quel particolare congegno artistico che Vaccari chiama “esposizione in tempo reale”. Una creazione geniale che aveva il doppio obiettivo di eclissare l’autore, rompendo la sacra triade composta da fotografo-medium-soggetto e l’assoluta autonomia della produzione di immagini. Una specie di organismo con un proprio codice genetico quello denominato “ esposizione in tempo reale n.4” rappresentato da una Photomatic che produceva strisce di quattro fotogrammi formato tessera e da scritte sul muro che invitavano i visitatori a lasciare una traccia del loro passaggio. Un organismo in crescita, geneticamente predisposto ma in equilibrio con il caso e le molteplici necessità dell’ambiente, altamente imprevedibili.


Una volta innescato il processo l’inconscio tecnologico della macchina sollecitato dall’ambiente, produceva una nuova realtà indipendente da tutto, autonoma, che cresceva e obbediva solo alle sue necessità, che si sottraeva agli usi personalistici del suo creatore, creando un vero e proprio cortocircuito dell’io. Un utilizzo della fotografia come “azione” e non come “contemplazione”. Una negazione dello spazio ottico a favore dello spazio delle relazioni. Un lasciarsi “usare dalla Fotografia”.

    Franco Vaccari (Modena 1936), artista e teorico, è noto a livello internazionale per aver ideato il congegno artistico definito “esposizione in tempo reale”. Ha esposto più volte alla Biennale di Venezia e in molte altre prestigiose sedi italiane e straniere. Tra le più importanti pubblicazioni Duchamp e l’occultamento del lavoro (1978), Duchamp messo a nudo. Dal ready-made alla finanza creativa (2010).


Letto per voi da surgeon

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