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photo4u.it - Libri
Il Mestiere di Vedere: introduzione al fotogiornalismo
Titolo: Il Mestiere di Vedere: introduzione al fotogiornalismo - Seconda Edizione
Autore: Neri Fadigati
182 pagine;
Italiano;
Edizioni: Plus Pisa University
Strumenti per la Didattica 6
, Luglio 2009


Il sottotitolo di questo interessante libro racchiude una piccola forzatura linguistica. La parola “fotogiornalismo” infatti non è molto usata in italiano; il dizionario Garzanti del 2005 non la contempla neppure. Nella nostra lingua si usa di solito il generico “fotografo”, oppure si prende a prestito “fotoreporter”, con forzature anche maggiori. Negli Stati Uniti, paese dove questo mestiere gode di buona stima lo si indica con “photojournalism”, intendendo così definire l’attività di chi produce immagini per l’informazione. Lo scarso interesse per la fotografia nel nostro Paese è il risultato della diffidenza con cui è stata vista fin dal momento della sua nascita, più di 150 anni fa; attività artigianale, sempre tendenzialmente pericolosa per il suo potere di testimoniare, su di essa pesano ancora molti pregiudizi. Fino agli anni ’90, per dedicarsi al mestiere era necessaria una licenza di Polizia che autorizzava “a esercitare l’attività fotografica in forma ambulante”, in accordo con quanto stabilito da un regio decreto del 1931. A complicare le cose ci ha pensato Fellini che, immortalando nella “Dolce vita” la figura del Paparazzo, ha inesorabilmente legato il suo nome all’idea di un individuo invadente e importuno. Lo stereotipo di certo giornalismo è stato così identificato nel giovane aggressivo che brandisce la sua macchina come un’arma, in realtà è anche lui vittima di un sistema; sono altrettanto responsabili editori, direttori, giornalisti e non ultimi gli stessi lettori. Il libro contiene una breve sintesi della storia della fotografia come base di comprensione della materia, soffermandosi sulla storia del fotogiornalismo, internazionale e specificatamente italiano. Per evitare di presentare un lungo elenco di nomi seguite da poche informazioni che rischiano di assomigliarsi è stata fatta una selezione mirata, soggettiva, concentrando l’attenzione su alcuni autori rappresentativi. Dalla seconda metà dell’800 in poi la fotografia consentì di produrre testimonianze visive sullo stato delle cose e sugli avvenimenti. Questa possibilità del tutto nuova contribuì a modificare il modo di raccontare, divenne elemento di supporto ai nascenti studi geografici, sociologici, antropologici e influenzò infine la storiografia. Il giornalismo fotografico nacque alla fine degli anni 20 ed ebbe alcuni notevoli precursori impegnati in un’attività molto simile a quella che oggi viene definita reportage di approfondimento: ricordiamo Jacob A. Riis e Lewis W. Hine. Si apre con loro il filone dell’impegno che caratterizzò gran parte della fotografia di documentazione e che è proseguito fino ai giorni nostri. Da sottolineare l’imponente lavoro fatto dalla Farm Security Administration, sotto l’opera di fotografi come Dorothea Lange, Walker Evans, Ben Shahn e tanti altri minori. Per definire questo corpo di circa 270.000 fotografie venne coniato il termine di documentary photography, con cui ancora oggi in inglese si definisce il reportage d’approfondimento. Altri pionieri della professione furono il berlinese Erich Salomon e Felix H. Man. A questi nomi vanno aggiunti quelli di Andrè Kertesz, Arthur Fellig (in arte Weegee), W. Eugene Smith, Margaret Bourke-White, Andreas Feininger, Gordon Parks ed altri dello staff americano di Life. L’approfondimento nel libro, della vita di Robert Capa, non dipende dalla volontà di rinverdire il mito dell’eroico reporter, ma dalla convinzione che gli vada riconosciuto il merito di aver fatto compiere alla categoria un fondamentale passo avanti sul piano dell’autonomia: fu lui infatti per primo ad affermare che la proprietà delle fotografie doveva essere attribuita esclusivamente al fotografo. Insiema a Capa sono da menzionare altri esponenti del gruppo parigino come Henri Cartier-Bresson, David Seymour con i quali fondò, insieme a George Rodger e William Vandivert, la grande agenzia Magnum Photos. Un altro grande autore, indicato da alcuni come il più grande fotogiornalista del secolo scorso, è stato Alfred Eisenstaedt. Indubbiamente la sua lunga attività e la sua capacità di coprire qualunque incarico fanno di lui una delle figure più rappresentative. Va detto che sono state fatte alcune concessioni a una visione “romantica” della professione; ciò è dovuto alla convinzione, derivata dall’esperienza dell’insegnamento, che nella didattica sia necessario parlare anche delle persone e delle loro esperienze, alternando al piano teorico note prese dalla vita quotidiana. In realtà la condizione del fotogiornalista è piuttosto prosaica, dal momento che si tratta di un lavoro difficile e faticoso che non lascia molto spazio ai rapporti familiari e sociali. I suoi meriti sono poco conosciuti, tanto che i nomi degli autori non compaiono accanto alle foto sui quotidiani e ormai stanno scomparendo anche dai periodici, dove sempre più spesso si trova solo il nome dell’agenzia. L’elenco completo di chi ha fatto grande la fotografia del dopoguerra sarebbe lunghissimo e anche inutile. Si deve puntualizzare la presenza di un piccolo numero di fotografi che negli anni ’50 trasformarono la fotografia documentaristica tradizionale abbandonado il filone dell’impegno sociale, introducendo nuovi linguaggi e comportamenti in tutti i campi della cultura e dell’arte occidentale: ricordiamo Robert Frank, Lee Friedlander , Garry Winogrand, Diane Arbus, Elliott Erwitt. Oggi tra coloro che interpretano il ruolo di testimoni dei conflitti si può citare Lames Natchwey. A portare avanti la tradizione dei concerned photographers è invece il brasiliano Sebastiao Salgado. Con la scomparsa delle grandi riviste illustrate il centro del fotogiornalismo mondiale si è spostato a Parigi. Finito il tempo degli staff a fornire le immagini sono agenzie, spesso piccole nate sull’esempio della Magnum. Ricordiamo la Gamma( 1967) che poi divenne Sygma, la Sipa(1968) e Vu(1986). Attraverso questi uffici e quelli dei grandi network internazionale come Associated Press, France Press, Reuters, passano oggi le immagini che vengono offerte ai giornali. I fotogiornalisti sono costretti a lavorare in condizioni spesso precarie, con tempi molto ridotti e risorse limitate. Per i free lance la situazione è ancora più difficile, devono sostenere le spese e rischiare di più per portare indietro fotografie più interessanti di quelle dei colleghi che hanno alle spalle grosse organizzazioni. Un solo avvenimento attira l’attenzione dei media per un periodo di tempo spesso breve poi l’interesse si concentra sull’evento successivo e il precedente viene praticamente dimenticato. Tutti gli inviati si muovono insieme da un lato all’altro del pianeta. Il libro presenta anche in maniera molto dettagliata la storia della fotografia nella stampa periodica italiana (La domenica del Corriere, Epoca, Tempo, L’Europeo, L’Espresso, Specchio, Il mondo, Panorama, etc.) fino ad oggi. Fanno seguito alcune considerazioni sulla comunicazione e sul ruolo del fotografo; in appendice si trovano alcuni consigli pratici di ripresa, facilmente reperibili in qualsiasi manuale tecnico.
Chi fosse interessato a dedicarsi a questa attività, difficilmente inquadrabile e dai contorni indefiniti, dovrebbe avere delle solide basi di conoscenza storica ed estetica. Le guide generiche privilegiano aspetti tecnici e informazioni su apparecchi e materiali, entrambi necessari, ma non sufficienti se non accompagnati da cultura e conoscenza delle forme della comunicazione visiva. In questo campo l’approfondimento teorico è stato abbastanza ridotto, soprattutto in Italia, dove, come già accennato, la tecnica fotografica è stata considerata come un arte minore; l’influenza dell’arte rinascimentale era troppo grande per accettare un mezzo così meccanico come la fotografia. Per anni essa è rimasta ostaggio del paragone con la pittura per essere poi scavalcata dal cinema, venendo inquadrata come attività artigianale, ambito in cui si collocava bene vista la nostra secolare tradizione. L’attività del fotogiornalista si può svolgere in molti settori diversi, innanzitutto vanno distinti in attualità e in approfondimento. Della prima fanno parte le varie cronache, giudiziaria, politica, sportiva , rosa, la seconda riguarda la documentazione sociale o antropologica, ambiente, natura, viaggi, scienza, arte, architettura, archeologia, paesaggio. Chi segue l’attualità lavora con macchine digitali costose, abbinate a computer portatili e cellulari; è qui privilegiata la velocità di trasmissione e la capacità di sintesi del fotografo, il più delle volte costretto a descrivere l’avvenimento con una sola immagine; disponibilità, intraprendenza, prontezza, sono doti necessarie per seguire la cronaca. Chi lavora sull’approfondimento può permettersi tempi un poco più lunghi, ma oggi compressi da risorse sempre più esigue. Può scattare anche in bianco e nero per i giornali che lo accettano, se il tema è adatto e se la sua capacità è riconosciuta. Deve poi misurarsi con il lavoro di editing e di aggiustamento dei files digitali. In entrambi i casi, conta di più il carattere che non il semplice fatto di saper fare delle belle fotografie; il problema è riuscire a portare a termine l’incarico in qualsiasi luogo e condizione ambientale e consegnare le foto richieste, produrre cioè immagini funzionali allo scopo del committente. Per farlo ci vuole una buona base di tipo giornalistico, conoscenza dei periodici, settimanali e mensili, del loro target, dell’impostazione grafica; inoltre capacità di descrivere in modo completo vari aspetti di una vicenda, di un luogo o della vita di una persona. Recentemente l’interesse per la fotografia di documentazione, quella di cui si occupa principalmente questo libro, è tornato a crescere; in un tempo dominato di precarietà e incertezza riaffiora la voglia di conservare, di avere memorie salde e tangibili; contribuisce a questo risveglio anche il susseguirsi di grandi avvenimenti internazionali verificatesi negli ultimi anni. La pubblicazione di immagini ha ripreso vigore ma riguarda più i libri fotografici che non le riviste di informazione, su questo piano il dominio della televisione, cominciato oltre 30 anni fa, rimane incontrastato. In Italia si sono moltiplicate negli ultimi anni mostre e manifestazioni di vario tipo, fino alla nascita di musei come quello di Cinisiello Balsamo, vicino a Milano, a testimonianza di questo rinnovato interesse per la fotografia, attività che sta così trovando anche da noi una definitiva legittimazione. Perché questo avvenga è necessario fare una cosa che non piace molto ai fotografi: parlare delle loro immagini. Si dice che le foto devono parlare da sole, i commenti sono superflui, ma se ciò risponde all’esigenza di tenere un basso profilo comune a molti grandi autori, non aiuta la comprensione del loro lavoro e l’evoluzione del gusto del pubblico: se è meglio non discutere della Fotografia si può parlare delle fotografie. L’educazione visiva è sottovalutata nelle nostre scuole, nonostante la società contemporanea si basi in gran parte su questo tipo di comunicazione. La conseguenza è che si resti indifesi, sottoposti ad un bombardamento di stimoli visuali senza avere gli strumenti per elaborarli. Solo l’analisi delle immagini può metterci in grado di decodificarle, ma anche di apprezzarle in pieno, poiché nulla toglie alla loro capacità di emozionarci.

    Neri Fadigati è laureato in filosofia, ha lavorato per molti anni come fotogiornalista, pubblicando immagini e testi sulle maggiori riviste italiane. Oggi si dedica prevalentemente all’insegnamento.


Letto per voi da surgeon.

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