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photo4u.it - Tutorial
[i tutorial di P4U] Tutorial Ritratto (2° parte)
Il punto di ripresa e la posa

Punto di ripresa” e “posa” sono in qualche modo facce della stessa medaglia, aspetti strettamente connessi capaci di influenzare profondamente l’impatto che il ritratto avrà sull’osservatore.
Se ne abbiamo la possibilità, nel caso cioè di ritratti non improvvisati, giriamo intorno al soggetto, cerchiamo di valutare come cambiano le sfumature della sua espressione in funzione del punto di ripresa. Ciascuno di noi ha infatti un atteggiamento del viso o del corpo che più di altri manifesta il proprio mondo interiore; sia che si parli di primo piano o di ritratto a mezzo busto o figura intera, un’espressione dei lineamenti del volto, un’inclinazione della testa che piega lo sguardo, lo sbandamento del busto controbilanciato dal movimento della testa o una torsione del collo sopra la spalla che spinge in alto.. sono tutti modi attraverso i quali il nostro corpo comunica, si racconta in qualche modo. Sta al fotografo saperlo leggere, questo racconto. Trovare in altri termini la giusta chiave di lettura di questo linguaggio del corpo.



Un ritratto di struggente dolcezza “Francesca” di Cosimo Concilio, nickname: Concibs, (fig. 20), che ha nel taglio stretto e nel particolare angolo di ripresa i punti di forza della composizione. L’inquadratura raccolta ci avvicina al soggetto. Ma lo facciamo in punta di piedi, consapevoli di entrare in uno spazio intimo che è prima di tutto spazio dell’anima. Merito del giusto punto di ripresa: da dietro, quasi a nascondere i tratti del viso, accentuando così l’intonazione squisitamente privata ed introspettiva del ritratto. Proprio all’angolazione dello scatto “s.t.” di Aldo Feroce (fig. 21) deve uno straordinario connubio di potenza e delicatezza. Il punto di ripresa permette di cogliere la torsione del capo in tutta la solida pienezza della muscolatura del collo. Ma la rotazione del viso è sufficiente a regalarci tutta l’empatia di quel sorriso e di quegli occhi gentili. Tanto che il ritratto sembra “farsi” proprio in quel suo oscillare tra la forza maschia del collo in tensione e la dolcezza dell’espressione impreziosita dalle perle di sudore.

Il punto di ripresa è determinato dalla nostra posizione rispetto al soggetto e dall’altezza alla quale scattiamo, che influenzerà inevitabilmente l’angolo di ripresa. Siamo noi a dover capire quale sia la posa più coerente con l’individualità del soggetto, a seconda cioè della lettura che la nostra sensibilità riesce a fare di chi ci sta di fronte, tenendo sempre conto che la “posa” e quindi il modo che ha la figura di porsi di fronte all’obiettivo e di relazionarsi con l’osservatore, può cambiare a volte sensibilmente il contenuto del ritratto.

Se da un lato è nostro il compito di gestire la posa del soggetto, dall’altro è anche vero che in alcun modo dobbiamo forzare le situazioni. Lasciamo sempre che il soggetto esprima comunque la propria personalità nell’assumere la “fisicità” che gli è più propria e che lo fa sentire a suo agio perchè più aderente alla sua individualità.
Parlare, scherzare, sdrammatizzare con battute, interagire con il soggetto lo aiuta a rilassarsi, ad avere maggiore fiducia e a vincere in molti casi un certo imbarazzo iniziale di fronte l’obiettivo.
Spesso è utile anche coinvolgerlo mostrandogli nel display della fotocamera qualche scatto per farlo sentire parte attiva nel processo creativo.
Dall’altro lato dell’obiettivo anche il fotografo non dovrebbe mai mostrarsi impacciato o incapace di risolvere una situazione.

In altri termini, è importante che si stabilisca una atmosfera rilassata e un certo feeling tra il soggetto ed il fotografo, quali presupposti indispensabili per stabilire quella connessione, quella comunicazione emotiva necessaria per ottenere ritratti spontanei e naturali.
Le variabili nella combinazione tra “punto di ripresa” e “posa”sono infinite ma in fondo possiamo rintracciare tre casi fondamentali.
Oggetto: [i tutorial di P4U] Tutorial Ritratto - Punto di ripresa
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mar 16 Giu, 2009 6:04 pm
Il ritratto di profilo: il ritratto di profilo rimanda ad una iconografia legata ad una prospettiva bidimensionale, come nei ritratti da sempre eseguiti sulle medaglie o sulle monete antiche.
Più che fare leva sui valori del chiaroscuro ha la sua forza nel disegno, perchè si condensa tutto, pensiamo in particolare ai primi piani, nel contorno del profilo del viso (dove naso e mento rappresentano elementi forti e caratterizzanti) e nel suo rapporto con lo sfondo. Ricordiamoci poi che il ritratto di profilo, che è appartenuto non casualmente ad un filone sempre più concettuale dell’arte in genere (soprattutto in Italia), dissocia il soggetto dall’osservatore, mancando il rapporto diretto con gli occhi.
Il punto di ripresa è infatti anche e soprattutto strumento di espressione ed influenza notevolmente il modo di relazionarsi del soggetto con l’osservatore.



Il magistrale controllo del controluce in questo ‘primo piano’ di Gino Quattrocchis.t.” (fig. 22), permette all’autore di pennellare, letteralmente, con la luce il profilo della splendida bambina. La posa di profilo ci preclude il contatto diretto con lo sguardo della piccola tutto rivolto di fronte a se, ma ne percepiamo l’espressione concentrata che a tratti sembra accendersi di un improvviso entusiasmo nel lampo di luce degli occhi. Funzionale alla composizione la posizione del braccio che con il suo arco di grigio scuro completa il disegno ed incornicia il viso. L’inquadratura si fa più ampia nel ‘piano medio’ di “Francesca” di Concibs (fig. 23) dove il busto colto di tre quarti sottolinea il movimento del capo che inclina in avanti mostrando il profilo. Anche qui non c’è contatto tra il nostro sguardo e quello della ragazza, tutto rivolto in sè, in un’atmosfera intima e privata. Il busto ed il disegno del profilo si svolgono lungo l’arco diagonale del campo quadrato realizzando la dinamica dello scatto: il nostro sguardo scorre rapido lungo il corpo di Francesca ed indugia, come rapito, dallo splendido sorriso, unico punto di vero bianco nella calda tessitura cromatica generale e vero cuore emozionale dello scatto insieme allo sguardo sorridente.

Il ritratto di tre quarti: alla compostezza del ritratto di profilo, la posa di tre quarti sostituisce una dinamica tutta a favore di un maggior coinvolgimento da parte dell’osservatore. La figura è colta con il corpo a 45° con il viso maggiormente rivolto verso l’obiettivo. Si crea un equilibrio di forti tensioni: è come se il soggetto stesse per compiere quel movimento che lo porterà ad invadere lo spazio dell’osservatore e quindi a stabilire con questo un rapporto più diretto. Alla dissociazione tipica del ritratto di profilo, qui si stabilisce una più diretta comunicazione anche e soprattutto emozionale tra noi ed il soggetto. Fondamentale è il ruolo assunto dallo sguardo del soggetto nello stabilire una maggiore o minore partecipazione emotiva da parte dell’osservatore.



In “Simply Nonno” di BuZz (fig. 24) se le spalle indicano una posizione del busto molto angolata rispetto al piano dell’inquadratura, il viso compie una rotazione a favore di obiettivo e ci regala un generoso ‘tre quarti’. Si stabilisce un legame diretto con quello sguardo che ci coinvolge, capace di un’espressione in bilico tra uno stupore quasi infantile ed un sospiro disincantato. L’inquadratura sbilancia la composizione sulla destra e crea lo spazio necessario ad accogliere il respiro delle bianche volute di fumo che paiono come emozioni che il vento porta via con sè. Se nello scatto di BuZz lo sguardo diretto è lo strumento di un coinvolgimento da parte dell’osservatore, nella splendida “Carezze” di Gianluca Di Vito, nickname: Nasht, (fig. 25) il ‘tre quarti’ si fa complice di un’atmosfera intima e di fortissima suggestione evocativa. Lo sguardo è basso, ed il ritratto sembra “farsi” in quell’invisibile flusso di emozioni che lega il sorriso degli occhi alla carezza delle mani sul pancione ...e queste direttamente al cuore. La composizione sbilancia la figura di lato per fare spazio a quella luce che filtra attraverso la tenda e che letteralmente inonda il fotogramma, dando sostanza al carattere umano e sacrale insieme di questa atmosfera.

Lo sguardo potrà essere rivolto in camera a suggerire una maggiore consapevolezza della posa e a stabilire un rapporto diretto con il fotografo e quindi l’osservatore, o fuori campo (verso il basso o verso un lontano punto di interesse) a dare la sensazione di cogliere il soggetto in un istante intimo e privato. E’ soprattutto in quest’ultimo caso che il ritratto si tinge di una sfumatura di forte suggestione evocativa, nel cogliere il soggetto come fosse immerso in un mondo a se stante e personale.

Il ritratto frontale: la figura è ripresa frontalmente con la linea delle spalle parallela al piano dell’inquadratura ed il viso che mostra tutta la sua ampiezza. E’ il tipo di posa che se non saputa gestire, blocca il soggetto e lo rende statico come in una foto tessera, ma spesso le inclinazioni reciproche della testa e della linea delle spalle o un’espressione particolarmente caratterizzante possono affrancare il ritratto dalla mancanza di vibrazione e dinamicità.



Spesso la frontalità della posa nel suo presentare il soggetto con disarmata sincerità è funzionale al racconto del ritratto. Così è in “b/n” di Quentin (fig. 26), un ‘primo piano’ che sa di “vita”, come storia personale tutta da raccontare. C’è un desiderio, una voglia di raccontarsi nella franchezza del volto, nella disarmante verità di un’umanità concreta che non ha altri strumenti che se stessa. Ecco perchè la composizione ricorre ad un’inquadratura frontale che è capace di trasmetterci tutta la schiettezza di questo volto segnato dal tempo. Piacevole lo sbilanciamento del soggetto a creare uno spazio vuoto sulla sinistra che dà spessore e profondità alla scena e che addensandosi, come uno spazio ideale, alle spalle dell’anziano signore, improvvisamente si popola dei personaggi e delle storie di una vita. Frontale è la posa della modella nel sensuale ‘piano medio’ “Ritratto di Giorgia” di Gino Quattrocchi (fig. 27). Vincente è la struttura compositiva con la flessuosa spirale barocca del movimento del corpo che rievoca le sinuosità concavo convesse di una colonna tortile. Il busto sbilancia da un lato e spinge inclinando la linea delle spalle a bilanciare il viso che recupera l’asse centrale del fotogramma. Dal margine inferiore del fotogramma, questo movimento ha il guizzo di un lampo che culmina nell’exploit dei capelli ed in quello sguardo impenetrabile e seducentemente severo, volutamente fermo sulla soglia di un sorriso di là da venire. A questa dinamica flessuosa, unitamente all’intensità di quello sguardo consapevole e diretto, dobbiamo il forte potere di seduzione elegante e raffinato di questo scatto.
Oggetto: [i tutorial di P4U] Tutorial Ritratto - Punto di ripresa
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mar 16 Giu, 2009 6:17 pm
Inquadratura” e “punto di ripresa” sono variabili capaci di influenzarsi reciprocamente ed è dalla loro combinazione che nasce parte del contenuto figurativo ed emozionale del ritratto.
Abbiamo detto che nel caso del ritratto a mezzo busto e ancora di più in quello a figura intera la lettura del linguaggio del corpo assume un ruolo cruciale.
Cerchiamo sempre di mettere il soggetto a proprio agio e coglierne degli atteggiamenti che siano il più naturali possibile, perchè saranno quelli che più di altri veicoleranno la sua personalità ed il suo universo interiore.
Sicuramente la posa frontale è quella più difficile da gestire, soprattutto se stiamo parlando del ritratto a figura intera. La posa più sfruttata è quella che vede il soggetto posizionato a 45° rispetto all’obiettivo: ha il pregio di risultare molto più naturale, plastica e dinamica, ma soprattutto spontanea.

Spesso il linguaggio del corpo riesce ad esprimersi con maggiore naturalezza quando il soggetto interagisce con alcuni oggetti che lo tolgono dall’impaccio di non sapere.. dove mettere le mani.
A volte possono semplicemente aiutare la costruzione della posa (pensiamo ad una sedia, un muro che offrono un punto di appoggio) a volte sono direttamente o simbolicamente collegati con il contenuto del ritratto e quindi in qualche modo riferibili alla stessa personalità del soggetto e la sua quotidianità.
L’importante è che con essi la persona sia perfettamente a suo agio, altrimenti si rischia di creare un effetto artificioso e sovrastrutturale.

Mentre nel ritratto dobbiamo sempre perseguire la strada della verità.

In genere “è preferibile” scattare all’altezza degli occhi con l’asse dell’obiettivo parallelo al suolo, ma non dimentichiamo variare l’angolo di ripresa può aprire la strada a scenari emozionali nuovi e coinvolgenti: scattare dal basso o dall’alto ha forti implicazioni nel variare sensibilmente l’impatto del ritratto infatti; a volte può fare la differenza tra uno scatto piatto ed uno denso di tensione dinamica nello stravolgere il contenuto emozionale e figurativo del ritratto.
Spesso è la stessa deformazione prodotta da un’inquadratura ravvicinata e fortemente scorciata dal basso o dall’alto ad essere utilizzata espressivamente per arricchire il ritratto di un’intonazione a volte ironica, altre volte di disarmante dolcezza.

L’inquadratura dal basso aiuta a slanciare la figura, a darle presenza “scenica” ed è fortemente correlata con un certo modo di interagire del soggetto con l’osservatore. La figura appare più imponente, ed useremo l’inquadratura dal basso tutte le volte in cui vorremo sottolineare una certa “superiorità” emozionale da parte del soggetto. Pensiamo alla fortissima suggestione sensuale, nel ritratto glamour ad esempio, prodotta da uno sguardo superbo e consapevole che ci scruta dall’alto in basso.

La chiave di volta della forte suggestione prodotta da “ritratto b-n” di Cyano (fig. 28) è l’inquadratura dal basso che unitamente alla composizione diagonale ed al taglio espressivo, ci restituisce una seduttività sofisticata ed elegante. L’inquadratura stretta infatti ci avvicina alla modella, ma il suo sguardo ci sovrasta; ci scivola accanto in un’indifferenza che si fa presto superiorità, lasciandoci muti e consapevoli di un limite che non ci è dato di superare.

Nel “Cav. Antonio” di Walter Lo Cascio (fig.29) l’uso combinato dell’inquadratura dal basso e della ridotta profondità di campo, si fa strumento di un racconto che dallo sguardo “patriarcale” del Cavaliere che ci sovrasta non senza un velo di compiaciuta ironia, tutto si condensa nella gestualità delle mani. Mani che “stanno”, come vero nucleo figurativo del ritratto, e che nel loro “stare” emanano già un forte senso di autorevolezza, sopra quel bastone che ha la forza di uno scettro, grazie alla resa espressiva della prospettiva deformata dell’inquadratura dal basso.
In “Scusa ma ...soggetto troppo centrale e luce sbagliata!” di BuZz (fig. 30) la prospettiva dal basso si fa complice di un ironico e dolcissimo ritratto dell’universo infantile. Il punto di ripresa basso oltre ad isolare il piccolo, facendolo stagliare contro l’azzurro del cielo, è usato espressivamente per accentuare le galoche che si fanno giganti e rievocano, con ironia e dolcezza appunto, un atteggiamento tipico di quando i bimbi sono seduti a gambe tese e ci mostrano sempre la suola delle scarpe.

Oggetto: [i tutorial di P4U] Tutorial Ritratto - Punto di ripresa
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mar 16 Giu, 2009 6:40 pm
All’opposto, l’inquadratura dall’alto schiaccia il soggetto, ne determina una condizione di sottomissione, sudditanza. Ma a volte può essere proprio quest’inquadratura a fornire una seduttività tutta particolare in quei ritratti dove la modella ci guarda da sotto in su, in un atteggiamento di consapevole malizia.


Un’atmosfera carica di sensualità si respira in “Special eyes” di Alessio Cadamuro, nickname: Design, (fig. 30) dove l’inquadratura dall’alto è lo strumento di una seduttività complice e consapevole. La modella non è sovrastata dal nostro sguardo, anzi, quel suo guardare da sotto in su aggiunge al ritratto quella consapevolezza della posa che accende di malizia e suggestione il ritratto, non senza una certa frizzante nota di ironia e di gioco, nel lieve sorriso appena dischiuso. Quella di “20 anni” di Gino Quattrocchi (fig. 31) è l’immagine di una bellezza vera, concreta e affascinante perchè in bilico tra un’atmosfera di delicatissima sensualità e di gioco infantile. L’inquadratura dall’alto accentua il carattere di seduttività del ritratto: Federica non è sopraffatta dal nostro punto di vista; è protagonista di questo gioco sensuale di spensierata freschezza e la sua disarmante risata pare riesplodere e caricare il ritratto di una decisa consapevolezza di sè. La composizione sa come creare un forte dinamismo strumentale allo scatto: taglio verticale che asseconda il parallelismo delle gambe e del braccio su cui fa perno l’ “apparente” rotazione del corpo. Apparente ma quasi percepita grazie alla disposizione diagonale del corpo che si combina all’inquadratura dall’alto.


Inquadratura dall’alto ed uso espressivo del grand’angolo sono in “Quella svitata di una mamma topa” di Topo Ridens (fig. 33) gli strumenti di un ritratto di coinvolgente simpatia ed umanità frizzante e sincera. L’autore ci avvicina al soggetto e ricrea le note di un’atmosfera quotidiana intrisa però di simpatia e umanità, tutta condensata nell’impagabile espressione di "mamma topa": sorriso beffardo, occhiali scivolati a scoprire gli occhi strabuzzati ed allegri, sopracciglio rialzato a sottolineare intesa ed un guizzo di curiosità


Ma tutto dipende appunto dall’universo che abbiamo di fronte. Il discorso sull’inquadratura dal basso o dall’alto assume per esempio un significato tutto particolare nel caso di ritratti di bambini o di piccoli animali. Qui la regola d’oro, a meno che non si stiano cercando effetti studiati e consapevoli, è quella di abbassare la fotocamera al loro livello. Inquadrarli dall’alto significherebbe sottolinearne un certo carattere di vulnerabilità, sovrastarli con il nostro punto di vista che rischia di dominarli e schiacciarli.



La forza di “Sofia, mamma e il fratellino” di Nasht (fig. 34) sta nell’altezza del punto di ripresa. Qui la fotocamera è molto bassa a restituirci una prospettiva radente che si fa vicina al punto di vista della piccola Sofia e che ha il potere di introdurci in questo spaccato di vita familiare con rispetto ed in punta di piedi, o, se vogliamo, facendoci tornare a nostra volta bambini. Curata la composizione all’interno del campo quadrato che sfrutta la posa ad “L” della piccola per chiudere a destra ed in basso la scena. “I fall in love too easily” di Alessandro Vicini, nickname: Ale63, (fig.35) è un ritratto capace di restituirci tutto il fascino lieve ed ingenuo dell’universo infantile. L’inquadratura alta sfiora corde sensibili del nostro immaginario enfatizzando la fragilità e la delicatezza del soggetto, che pare farsi ancora più piccolo sotto il nostro sguardo di adulti. Ma, e sta qui la forza del ritratto, c’è ironia nello scatto, tutto giocato su un equilibrio instabile tra indifesa fragilità e disarmante teatralità di attrice consumata, consapevole della forza di quello sguardo che arriva diritto al cuore.
Oggetto: [i tutorial di P4U] Tutorial Ritratto - Percezione e Compo
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mar 16 Giu, 2009 8:07 pm
Percezione e composizione

Sembra quasi inutile sottolinearlo, ma è attraverso la composizione che “componiamo” il soggetto all’interno dell’inquadratura. Il che significa che è il principale strumento che abbiamo per relazionare il soggetto con il suo spazio, che è quello che ricade all’interno dell’inquadratura, ma anche virtualmente con il nostro. Il modo in cui questo avviene dipende molto dal contenuto emozionale del ritratto e non si possono dare regole a priori universalmente valide.

Scrive Rudolf Arnheim, uno tra i maggiori studiosi del rapporto tra i fenomeni della percezione visiva e l’arte figurativa: “l’oggetto della percezione umana e animale non è soltanto un agglomerato di cose, di colori e forme, di movimenti e dimensioni: è prima di tutto una interazione tra tensioni guidate” (Arte e Pecezione Visiva, Milano 2002).

Affrontare il problema della composizione, in fotografia come in qualsiasi campo dell’arte figurativa, non dovrebbe prescindere dalla comprensione dei fenomeni che presiedono il nostro modo di percepire la realtà. Nel campo percettivo, un pò come accade in un campo di forze elettromagnetiche, agiscono delle forze (quelle che prima Arnheim ha definito “tensioni”) che si vengono a creare tra le diverse parti di uno stimolo. Ora, per farla breve, la percezione altro non è che la risultante della dinamiche di queste forze attraverso cui si organizza il campo percettivo.

Conoscere i principi che presiedono a queste dinamiche può aiutare, e non di poco, nella composizione.

Perchè, ad esempio, in una determinata composizione ci rendiamo conto, spontaneamente, che alcuni elementi hanno un “peso figurativo” maggiore di altri? Cosa è che fa si che un elemento della composizione si imponga più di altri sul resto della compagine figurativa? Sono diversi i fattori che influenzano la percezione di un maggiore o minore peso.

Un fattore fondamentale è la “dimensione” che un elemento ha in relazione a quella degli altri oggetti della composizione: ad una maggiore dimensione corrisponde una maggiore “gravità” figurativa, e questo chiaramente lo deriviamo nel campo della percezione dall’universo delle nostre esperienze quotidiane. Anche il colore fa la sua parte nel suggerire a volte un maggiore o minore peso dell’elemento: un oggetto più chiaro, ad esempio riesce ad imporsi su di un altro più scuro, apparendo più grande per via del fenomeno dell’irradiazione, così come l’accento cromatico, lo squillo del tono di un elemento può in molti casi fare la differenza. Determinante è anche l’ “isolamento”: un elemento isolato su di uno sfondo di non particolare esuberanza figurativa, avrà certamente una maggiore importanza compositiva di un altro elemento, pure simile, ma “confuso” tra tanti altri. Ma fra tutti i fattori, quel che interviene maggiormente a determinare il peso figurativo è la “collocazione” che ha l’oggetto all’interno della composizione; il “peso figurativo” cioè è funzione di una maggiore o minore distanza dall’asse centro-verticale o centro-orizzontale del campo d’immagine: tanto maggiore è questa distanza, tanto maggiore sarà il suo il peso.
Per questo spesso elementi di una certa dimensione posti al centro della composizione possono infatti venire controbilanciati da elementi di dimensioni minori ma più marginali.

Ecco il perchè, in termini pratici, sbilanciare la figura al lato del fotogramma equivale a sottolinearne un certo peso figurativo a tutto vantaggio di una maggiore tensione dinamica della composizione.

In linea generale dovremmo cioè evitare di posizionare il soggetto al centro del fotogramma, “luogo” ove si hanno le configurazioni di maggiore stabilità e quindi anche di staticità: sbandare la figura da un lato imprime invece una maggiore tensione dinamica conferendo un maggiore impatto in termini di vivacità, dinamismo ed immediatezza.



C’è una tensione emotiva fortissima in “Look me” di Elisabetta Figus, nickname: Marea, (fig. 36). Un ritratto capace di restituire l’espressione della piccola seria e curiosa al tempo stesso, con il viso inclinato per spingere lo sguardo più lontano. Il soggetto è sbilanciato di lato ed il taglio a sinistra comprime proprio in senso contrario all’inclinazione del capo che è invece opposta alla direzione dello sguardo. Si realizza così, quasi sotto i nostri occhi, quel movimento ampio ed espressivo che lascia spazio sulla destra all’esuberanza capricciosa dei riflessi dorati dei capelli che completano la composizione. Bellissima l’inquadratura che stringe sul volto ma che sa mantenersi ampia, al di sotto della curva del mento per meglio farci apprezzare la postura del collo che sostiene l’inclinazione del viso. Si condensa in “Ritratto semplice” di Giuseppe Palma, nickname: Hamham, (fig.37) tutto l’incanto dello stupore infantile che ha il sapore di un rapimento ingenuo e felice. E’ ancora una volta la composizione la chiave di volta di questo racconto: la figura del piccolo è sbilanciata sulla sinistra e la forte asimmetria si combina felicemente con l’inclinazione del viso creando una tensione dinamica capace di accentuare il dato emozionale del ritratto ed assecondare la direzione dello sguardo al di là del margine del fotogramma. Da qui il sapore che ha lo scatto di un volo, di un rapimento che vale a restituirci tutta la trepidazione dell’ universo infantile del piccolo. Perchè il ritratto registra quel momento impercettibile e magico in cui lo stupore sta per disciogliersi in un sorriso non ancora compiuto. Ed in quel rimandarci ad un centro di interesse fuori campo, forse il sorriso della madre, lì a due passi dal cuore, sta tutta la magia di questo “ritratto semplice” ma di forte, fortissimo spessore evocativo.
Oggetto: [i tutorial di P4U] Tutorial Ritratto - Percezione e Compo
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mar 16 Giu, 2009 8:15 pm
Alla luce di queste considerazioni, quel che ci può aiutare non poco nel definire l’architettura del fotogramma è la celeberrima regola dei terzi che ci consiglia di posizionare il “centro d’interesse” in corrispondenza di una delle linee con le quali abbiamo idealmente suddiviso il fotogramma in tre parti, sia verticalmente che orizzontalmente e preferibilmente in corrispondenza di uno dei loro punti di intersezione.

Il perchè proprio in “tre parti” riguarda il fatto che così componendo rispettiamo (anche se non esattamente) la sezione aurea. Discutere sul perchè la sezione aurea eserciti sulle nostre abitudini percettive tutto questo fascino ha in qualche modo a che fare anche con secoli di condizionamenti culturali ma esula dal nostro discorso. Sta di fatto che istintivamente tendiamo a concentrare la nostra attenzione proprio in corrispondenza dei quattro punti di intersezione delle linee verticali ed orizzontali della griglia.
Se applichiamo al ritratto la regola dei terzi è preferibile ad esempio collocare la linea degli occhi sul primo terzo superiore del fotogramma nel caso di un primo piano o posizionare la figura in corrispondenza di una delle linee della griglia nel caso di un ritratto ambientato.
Cosa questa non obbligatoria, si intende, ...ma fondamentale nella stragrande maggioranza dei casi, perchè aiuta a restituire la giusta valenza allo sguardo, presenza fisica al soggetto ed il giusto grado di dinamicità allo scatto in genere.



In “briciole” di Linda.t (fig. 38) l’inquadratura del primo piano è stretta sul viso con la linea degli occhi alta a cercare il terzo superiore. Lo sguardo assume, complice il taglio stretto ed il sapiente uso della profondità di campo, un’incredibile sostanza e pregnanza figurativa. E’ qui ...il cuore emozionale dello scatto, tutto condensato nell’espressione di fresco stupore di quegli occhi sgranati, ricolmi di luce e trasparenze di giada, cui fanno da contrappunto le labbra appena dischiuse poste invece sul terzo più basso. Dà una scossa emozionale forte “Gli orecchini di Winnie” di Marco Pavani (fig. 39), un piano medio tutto giocato sulla tensione figurativa tra la gestualità del braccio e l’espressione di quegli occhi sorridenti e diretti in camera, non casualmente disposti lungo la semidiagonale che, attraverso la linea inclinata della maglietta, li connette direttamente alla mano. Anche qui la linea dello sguardo è alto sul terzo superiore, mentre la composizione sbilancia la figura di lato (di poco oltre il terzo a destra) per dare peso alla gestualità del braccio, resa ancora più evidente dal contrasto con lo sfondo nero.



Costruzione dal risultato essenziale ma studiata con cura, quella di “Miss Eleonoire – Fading in the City” di Hausdorf79, (fig 40). Il ricorso alla regola dei terzi è evidente sia nel collocare la linea degli occhi sul terzo in alto che l’asse del corpo sul primo a sinistra. Ma non solo, quest’ultimo si fa anche bisettrice di quel ventaglio disegnato dalle braccia che con studiata simmetria incorniciano il triangolo scuro del vestito. Non è certo un caso poi, che il culmine della composizione, il viso cioè, abbia li suo centro proprio nel punto di intersezione tra le linee della griglia. Un bellissimo ritratto a figura intera ambientato “....” di Squa (fig.41) dove il soggetto è efficacemente sbilanciato sulla sinistra ad occupare una posizione scentrata individuata dal primo terzo verticale del fotogramma. E’ da qui che la composizione comincia a svolgere la struttura del fotogramma, da sinistra a destra: lo scatto si “apre” cioè con il lieve movimento del tendaggio leggero di ricami stampati e dall’orlo scucito, che si fa sipario ...disvelando un palcoscenico di antiche mura e pietre lastricate che si distende in profondità. Il ricorso alla diagonale non fa che accentuare il distendersi della spazialità della scena. La composizione è determinante nel rendere la bimba assoluta protagonista di questo spazio; ne fa parte ...anzi, ...sembra incarnarne lo spirito con i suoi immortali sandali chiari, il suo sbarazzino vestitino a fiori, ...la gestualità del corpo che la sospende tra un’irrefrenabile curiosità e la naturale timidezza tradita dal piedino che piega all’interno.

L’inquadratura si fa ampia e generosa in “Leaving New York, never easy” di Val (fig. 42) a definire i contorni dello scenario di un ritratto ambientato. Il soggetto colto in controluce è sbilanciato, quasi a coincidere con l’intersezione tra il terzo a sinistra e quello in basso. La prospettiva radente accelera la progressione visiva e focalizza l’attenzione sulla piccola silhouette attorno alla quale si costruisce tutta la composizione. In particolare il bordo in alto a destra delle sedute traccia e rende manifesta quella diagonale che attraversa l’impaginato figurativo e si connette alla figura del soggetto, offrendo quel percorso ideale attraverso cui i pensieri, le emozioni, i ricordi di un tempo che è quello della partenza, paiono liberarsi direttamente dalla silhouette e spalancarsi oltre il limite della grande vetrata.
Oggetto: [i tutorial di P4U] Tutorial Ritratto - Percezione e Compo
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mar 16 Giu, 2009 8:40 pm
Applicare la regola dei terzi o comunque sbilanciare di lato il soggetto aiuta nell’esigenza di lasciare il giusto spazio all’interno dell’inquadratura dalla parte verso cui è rivolto il viso, ma in particolare di fronte lo sguardo, soprattutto quando è rivolto fuori campo: questo spazio, che è bene che mantenga un carattere di “vuoto figurativo”, senza troppi elementi di disturbo quindi, è fondamentale perchè raccolga e condensi lo sguardo della persona, attraverso cui paiono veicolarsi i suoi pensieri e le sue stesse emozioni.



Si fa ritratto dell’”anima” “Ali” di Marea (fig. 43) nel registrare l’istante in cui lo stupore e la meraviglia proprie dell’universo infantile si fanno curiosità e la curiosità riflessione consapevole. La composizione è attenta a sbilanciare il viso sulla sinistra, così da liberare la dinamica dello sguardo a destra e rendere più intenso il suo “traguardare”. Qui il movimento delle ciocche completa il ritratto incorniciando di tonalità più scure l’incarnato chiaro del viso della piccola. Paiono scuotersi questi capelli, vibrare come scossi da una brezza leggera, ...quasi che quello sguardo così intenso avesse peso e facesse sentire forte il proprio slancio. Fondamentale in “Chiara” di Vittorio Baudone, nickname: Victor53, (fig. 44) quello spazio di fronte al viso capace di assecondare lo sguardo del soggetto, che si spinge oltre il campo di immagine. E’ un “vuoto” figurativo, reso impalpabile e carico di luce attraverso uno splendido sfuocato, che presto s’addensa di vibrazioni emotive e di mille ed un pensiero ancora. Forte è infatti il tono evocativo del ritratto, ...quel suo riferirsi ad un orizzonte emozionale intimo e privato tutto condensato nella bella profondità dello sguardo screziato d’ambra della ragazza: sguardo rapito e lontano, eppure fermo e diretto, che ci parla di chiarezza e di cose concrete.

Come nel caso del primo piano, anche nei casi del mezzo busto e della figura intera, ...anzi forse con maggiore rilevanza, creare composizioni troppo centrali rischia insomma di bloccare il soggetto. Al contrario come si è detto molta più dinamicità si registra invece quando il soggetto occupa una posizione scentrata, considerando soprattutto che, nei ritratti a mezzo busto o figura intera, sono la gestualità stessa del corpo, il suo atteggiamento, le sue movenze, ad introdurre, come vedremo, all’interno del campo d’immagine delle naturali linee di forza che vogliono il giusto spazio per potere liberare la propria espressività.



Ludovica” di MaXu (fig. 45) è una composizione elegante, raffinata e minimale. Indovinato lo sbilanciamento della figura verso il margine destro del campo quadrato, che lascia ampi margini all’ “ombroso” spazio di fronte la modella. Importante perchè è da lì che proviene quel refolo di vento che scompagina i capelli e che possiamo quasi sentire. Lo sguardo è sensuale, diretto, consapevole e diviene cardine di tutto l’impaginato figurativo; quasi che lì si convogliasse quella brezza che da fuori campo investe il corpo della modella e da questa si proiettasse sull’osservatore. La modella diviene in “Hunting a photograph” di Hausdorf79 (fig. 46) fuoco prospettico di tutta la composizione grazie al sapiente sbilanciamento sulla sinistra. Sbilanciamento che si fa complice di una studiata integrazione della figura all’interno dello scenario urbano circostante: la posa è infatti costruita per completare il disegno della fuga prospettica. Si guardi alla posizione delle gambe, del braccio che sembrano inserirsi per magia all’interno del ventaglio prospettico. Ne deriva una dinamica di incredibile tensione che punta diritta sulla modella come se l’immagine avesse l’effetto di una rapida zoomata.
Oggetto: [i tutorial di P4U] Tutorial Ritratto - Percezione e Compo
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mar 16 Giu, 2009 8:57 pm
Ma le composizioni centrali hanno la loro importanza e non vanno messe da parte. L’occhio per sua natura tende a selezionare e leggere con maggiore facilità le composizioni simmetriche ad esempio.
Un trucco usato da molti è quello di collocare il soggetto fuori asse rispetto ad un elemento composto invece centralmente: pensiamo ad esempio alla composizione di una figura poggiata di lato al di sotto di un arco. L’asse dell’arco che fa da quinta architettonica coincide con quella del fotogramma, ma la figura è sbilanciata da un lato in una specie di composizione nidificata; una composizione nella composizione insomma.



Un piano medio di grande delicatezza “Andrea” di Giuseppe Tantillo, nickname: gitantil, (fig. 47) capace di restituirci la bellezza del piccolo con la magistrale gestione di un chiaroscuro dai toni “alti” eppure di ottima incisività grafica. L’inquadratura non può e non vuole stringere troppo, ....si mantiene ampia e ci sta tutta in questo caso la centralità della composizione che blocca la nostra suggestione emozionale su quello sguardo e su quella gestualità che da soli valgono tutto lo scatto. Interessante, ed in questo senso la composizione centrale è ancora più giustificata, l’idea di dare l’illusione (grazie al taglio basso molto stretto) che il piccolo Andrea stia poggiando i gomiti direttamente sulla cornice. Piccolo stratagemma che trasforma la cornice in finestra ideale attraverso la quale il nostro spazio e quello del soggetto si fondono. Quello di “Gianna” di Stecco333 (fig. 48) è un classico esempio di composizione nidificata: lo sfondo è colto in prospettiva centrale mentre la figura della ragazza è in posizione periferica al margine della composizione. La scelta è quella del campo quadrato. Scelta saggia, perchè è la stessa struttura del quadrato che imbriglia l’ordito prospettico ed esalta la fuga centrale, rapida e serrata, degli alberi il cui slancio verticale (grafico e geometrico) si fa sentire forte sopra la base granulosa ed uniforme del terreno. Ne deriva uno sfondamento del piano d’immagine e quella stretta striscia di terra si fa improvvisamente spazio disteso, palcoscenico reale e profondo che accoglie ed integra il corpo della modella. La combinazione tra prospettiva centrale e sbilanciamento laterale crea una certa tensione dinamica e conferisce alla figura della ragazza una sensazione di movimento, come se camminasse, ...scivolasse quasi, con un incedere impercettibile e stesse per compiersi quella torsione del busto che le farà voltare le spalle all’osservatore, negandola al nostro sguardo.

Reflection of Carlotta” di Hausdorf79 (fig. 49) è un’intelligente e studiata composizione che sfrutta le possibilità offerte dal riflesso sulla superficie a specchio per creare l’illusione di una composizione centrale. Per un istante il riflesso smette di essere semplice immagine speculare per assumere quasi “sostanza”, tanto che le due dimensioni figurative e spaziali, la realtà e la sua immagine speculare, di qua e di là dell’asse centrale del fotogramma, paiono appartenere ad un unico continuum narrativo e figurativo: il ribaltamento speculare e l’impianto centrale che ne risulta si fa dunque elemento unificatore: dimensione “reale” e “riflessa” si controbilanciano ed equilibrano come aspetti di una realtà “rappresentata” unica e autonoma.
Oggetto: [i tutorial di P4U] Tutorial Ritratto - Percezione e Compo
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mar 16 Giu, 2009 9:15 pm
Espressioni come “distribuzione dei pesi” ora paiono avere maggiore significato.

Equilibrare i pesi all’interno della composizione significa infatti assegnare a ciascuno degli elementi una propria posizione nella scala di valori del fotogramma. Detto in parole povere, non ci possono essere troppe “prime donne”; è il centro d’interesse dello scatto, il nostro soggetto insomma, quello sul quale vogliamo convogliare l’attenzione di chi osserva la fotografia, e quello deve risultare avere il maggiore peso figurativo.

Non va sottovalutata, ovviamente, l’influenza reciproca che gli elementi della composizione esercitano in funzione proprio del loro peso figurativo. Perchè da questa dipende l’insorgere di direzioni all’interno della compagine figurativa come fattori determinanti dell’equilibrio compositivo generale. Nella generale architettura di una composizione infatti abbiamo a che fare non soltanto con linee reali come possono essere ad esempio la linea d’orizzonte in un paesaggio, lo spigolo di un edificio, la stessa figura umana colta in posizione orizzontale o verticale, ma anche con linee che istintivamente l’occhio imbastisce tra i vari elementi delle composizione e che il fotografo sapientemente cerca di rendere più o meno manifeste.

L’aquila e il falconiere” di Gianluca Bocci, nickname: Gianjackal, (fig. 50) ci dimostra con la piacevole sintesi grafica offerta dal controluce, come la presenza di linee reali, in questo caso il profilo di un muro, possa essere sfruttata per definire la generale architettura della composizione. La linea inclinata del paramento murario attraversa tutto il fotogramma con andamento quasi diagonale e già di per sè vale ad introdurre all’interno della compagine figurativa un certo dinamismo che scompagina l’ortogonalità del campo rettangolare, complice la notevole dissonanza materica e di tono tra il muro ed il cielo. Ma cosa ancora più importante la sua forte inclinazione è funzionale al nucleo narrativo dello scatto, perchè sottolinea ed asseconda in modo espressivo l’ “atterraggio” dell’aquila, guidando il nostro occhio a convergere sul falconiere.


Spesso alcuni elementi chiave della compagine figurativa vengono invece “allineati”, disposti cioè lungo linee ideali abilmente sfruttate per definire la struttura della composizione. Il più classico degli esempi è quello della diagonale del fotogramma lungo la quale vengono distribuiti gli elementi della composizione a tutto vantaggio della dinamicità dell’insieme.



Sulla diagonale si costruisce l’impaginato figurativo in “Roy Hargrove” di Antonjazz (fig. 51). La costruzione diagonale si combina qui ad una ripresa dal basso che agevola la dinamica dello scatto. Il braccio e lo strumento si dispongono lungo la diagonale e pare ricrearsi una veloce fuga di note che dall’angolo in basso a destra si liberano oltre il margine sinistro del fotogramma. Lo 'sentiamo' l’acuto dello strumento a fiato: lo percepiamo nel gonfiore delle guance, nella tensione contratta degli occhi, nelle dita sollevate che attendono come nella “bocca” ampia e larga dell’ottone che pare completare e proiettare oltre questa fuga diagonale. “Rebecca” di Marco Marranza, nickname: Marzai, (fig. 52) è un’abile composizione giocata sulla distribuzione degli elementi figurativi lungo la diagonale del fotogramma verticale. Dall’angolo in alto a sinistra, dalla sporgenza della pietra in alto, attraverso il viso e l’asse del corpo della piccola, e lungo il bordo dello scoglio più basso, gli elementi della composizione sono allineati lungo la diagonale che fa da spartiacque per la distribuzione delle masse con i blocchi di roccia che si addensano nella metà inferiore e l’acqua in quella superiore. Tra gli uni e l’altra, la piccola Rebecca; quasi sul limitare di uno spartiacque che è fisico ed emozionale insieme. Ma non solo. La costruzione diagonale del fotogramma è funzionale al racconto nell’assecondare lo sguardo della piccola che letteralmente “scivola” verso il basso, lungo la diagonale appunto che ne “disegna” la direzione. Lo sguardo è rapito oltre orizzonti intimi e lontani che disarmano di tenerezza e tanto più forte avvertiamo l’intensità di questo respiro introspettivo, tanto più ci commuove lo scatto con quel suo oscillare tra la delicatezza dell’universo infantile e la profondità di emozioni che paiono già farsi adulte. Un’immagine asciutta e minimalista, di “sintesi” è “Roberto Gatto essential” di Andrea Feliziani (fig. 53). La composizione è molto curata attraverso il gioco diagonale che l’architettura chiaroscurale realizza disponendo le masse dei chiari secondo un tracciato che lega lo strumento (il piatto in basso) direttamente allo sguardo del musicista. L’uso dell’impianto diagonale è funzionale al racconto tutto condensato in quello sguardo che letteralmente scivola in basso verso lo strumento e verso uno spazio interiore di raccoglimento e concentrazione di altissima intensità
Oggetto: [i tutorial di P4U] Tutorial Ritratto - Percezione e Compo
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mar 16 Giu, 2009 9:53 pm
Ma perchè proprio la diagonale?

Scrive a questo proposito Arnheim che “l’obliquità viene percepita spontaneamente come tendenza dinamica ad avvicinarsi o ad allontanarsi dallo schema basilare della direzione verticale e dell’orizzontale”. Se la direzione verticale è già di per sè espressiva di un movimento perchè suggerisce ascesa, vittoria di una resistenza che è la forza di gravità, quella orizzontale suggerisce stabilità, quiete. La diagonale, nel suo collocarsi in una posizione intermedia tra le due configurazioni di base e nel suo definirsi espressione di un equilibrio instabile e transitorio, stimola un’idea di movimento divenendo uno dei principali impulsi alla percezione della profondità.


Molto attenta la composizione in “On the Grid...” di Andrea Giorgi, nickname: Aaron80, (fig. 54) dove lo sfondo è assicurato da una griglia opportunamente inquadrata secondo le tessiture diagonali del campo rettangolare e capace, con il suo disegno, di far staccare con vigore il corpo della modella. Quest’ultima è inquadrata dall’alto e complice il braccio a sinistra che fa da sostegno partecipa alla geometria diagonale d’insieme. Proprio questo conferisce al ritratto una dinamica che ci regala l’illusione, combinata all’inquadratura dall’alto, di poter girare attorno al corpo della modella. Interessante notare come il ricorso alla geometria diagonale ha prodotto una maggiore illusione in termini di profondità spaziale, recuperando quella tendenza, tipica invece nelle inquadrature dall’alto, a schiacciare i piani.

Torna, questa sensazione di una maggiore profondità spaziale grazie alla tessitura diagonale in “Francesca” di Hausdorf79 (fig. 55). Tutta la composizione è abilmente giocata sulla geometria diagonale del paramento in mattoni, cui non è estranea la stessa piega della camicia da un lato ed il cornicione sfocato dall’altro. Si crea insomma una geometria a ventaglio che dall’angolo in basso a destra, e con andamento diagonale, libera tutta la tensione dinamica dello scatto investendo il corpo della modella che, complice quella rotazione del capo, sembra avvertirne la pressione.



Il ricorso ad un ordito moderatamente diagonale è evidente nella composizione di “La bava dell’impegno” di Hamham (fig. 56). Lo sguardo fermo e fuori campo, in bilico tra un pensiero e l’improvviso accendersi di un’attenzione curiosa, sembra quasi “sospinto” con energia dalla fisicità della posa che acquista dinamicità grazie alla costruzione dell’impaginato figurativo. La composizione infatti asseconda la diagonale del fotogramma, resa manifesta dal contorno del viso inclinato che si prolunga nel risvolto del colletto della maglietta, suggerendo così una illusione di movimento proprio in direzione dello sguardo che acquista forza e tangibilità.

La linea degli occhi è alta grazie al sapiente taglio superiore e ad un’inquadratura leggermente bassa che accentua una certa “imponenza” della figura. “Genuine fractails print pro” di Gino Quattrocchi (fig.57) è una composizione attenta a sfruttare le potenzialità offerte dall’uso di una struttura diagonale. L’inclinazione del viso infatti, che pare “farsi” sotto i nostri occhi non senza un certo fascino di seduzione preziosa, replica lungo la tessitura diagonale del fotogramma il movimento morbido delle ciocche dei capelli a sinistra. E’ proprio il ricorso alla diagonale che suggerisce la dinamica di questo movimento che pare stia ancora compiendosi. Dall’altro lato il naturale ricadere dei capelli verso il basso chiude la composizione assecondando il margine destro del taglio verticale ed incorniciando i lineamenti del viso.



Ma non è tutto.

Esistono nell’ambito della composizione anche quelle che generalmente vengono definite come linee di forza. Sono quelle linee che istintivamente l’occhio è portato a percorrere stimolato dalla presenza di un qualche elemento della composizione che “spinge” figurativamente in quella direzione e che il fotografo spesso è portato a ricreare per guidare letteralmente la lettura della compagine figurativa.
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Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mar 16 Giu, 2009 10:16 pm
Pensiamo, ad esempio, al classico tronco adagiato sulla riva nel primo piano di un paesaggio che funge da guida per il nostro sguardo; una sorta di via di accesso che l’occhio utilizza per percorrere il fotogramma in profondità, o pensiamo ancora all’incredibile forza che ha nel ritratto lo sguardo del soggetto, capace di tracciare un’invisibile “linea spaziale” che il nostro occhio è immediatamente portato a percorrere.



In questo bel ritratto di Gino Quattrocchi (fig. 58) c’è una notevole tensione dinamica che fa tutta la forza del suo impatto emozionale. La composizione sbilancia fortemente la figura sulla sinistra, “comprimendo” quasi e disponendo l’asse del viso secondo un ordito diagonale che accentua la dinamica della posa dando forza al “traguardare” della modella al di sopra della linea della spalla. Lo spazio a destra, opportunamente sfocato, accoglie la fermezza dello sguardo lasciando libero sfogo a quella linea di forza che si libera dagli occhi della ragazza “spingendo” il suo ed il nostro sguardo verso un centro di interesse lontano. Eleganza e delicatezza caratterizzano “The Girl from Hoi An” di Alessandro Della Casa, nickname: Alessandro61, (fig.59), dove il ritmo degli elementi verticali della finestra colti in controluce disegnano un gioco di luci ed ombre che, complice il digradare prospettico, sostiene ed accompagna il distendersi di quella linea di forza che libera lo sguardo della ragazza proiettandolo all’esterno. Si crea un effetto “musharabia” che raccoglie, isola e cela tutto lo spazio esistenziale della modella, colta nell’atmosfera ombrosa di cromie calde di ocra, bruni ed ambra, in contrasto con l’intensità della luce che scorgiamo al di là della finestra.

Ecco perchè quando nel ritratto il soggetto è colto in un momento più intimo e privato, quasi fosse immerso nei propri pensieri con lo sguardo fuori campo, la nostra attenzione si rivolge immediatamente ad un ideale centro di interesse emozionale e figurativo che di fatto non vediamo ma che costituisce il cuore del nucleo evocativo del ritratto stesso.

Ed è proprio questo il motivo per cui è bene lasciare sempre un buon margine dalla parte verso cui è rivolto lo sguardo: proprio per raccoglierne la dinamica e permettere alla sua “linea di forza” di rendersi manifesta.

In senso diametralmente opposto ma per la stessa via, lo sguardo diretto in camera è da sempre l’espediente migliore per creare un indissolubile legame diretto tra il soggetto e l’osservatore: è proprio lo sguardo verso l’obiettivo a creare un’irresistibile linea di forza che ci lega al soggetto.

Incanta, irretisce e disarma lo sguardo della modella in “Valentina” di Sanpit (fig.60) in bilico tra un senso di timida ritrosia ed un accento di maliziosa seduzione. Qui il segreto è tutto in quell’indissolubile legame che si crea attraverso lo sguardo diretto in camera, tra noi ed il soggetto. La composizione sbilancia di lato la figura, colta con il busto leggermente inclinato in avanti e aprendo a ventaglio quella dinamica già anticipata dall’orlo della tenda. Si crea l’illusione di un lieve movimento in avanti che pare compiersi effettivamente e che porta lo sguardo della modella a sporgersi di là della cortina del velo, invadendo così il nostro spazio. Ed è proprio nel vibrante quanto precario equilibrio che lo sguardo di Valentina tesse tra il suo ed il nostro spazio che si consuma tutto il fascino di irresistibile seduzione del ritratto.


Altri esempi classici di linee di forza che si possono individuare nel ritratto sono quelle legate alla gestualità del corpo. Pensiamo all’enorme peso figurativo che può avere il gesto di una mano che controbilancia lo sguardo del soggetto e che “traccia” un’invisibile linea di forza che canalizza la nostra attenzione su di un elemento forte della composizione. Pensiamo alla struttura “grafica” delle braccia che possono raccogliersi a suggerire una dinamica centripeta della composizione, o spingere all’esterno secondo direzioni verticali, diagonali o orizzontali; ma pensiamo anche al corpo stesso, alla figura stessa di una persona che spesso può essere sfruttata quasi fosse un vettore orientato (dove la testa in genere viene assimilata alla punta della freccia); oppure pensiamo anche più semplicemente, in un ritratto dall’inquadratura più stretta, al fascino di una “provvidenziale” ciocca di capelli che curva all’improvviso sottolineando e mettendo in evidenza l’arco delle labbra.



In “Soffio di farfalle” di Concibs (fig.61) c’è una fortissima tensione diagonale che libera letteralmente il “volo” delle farfalle oltre il margine del campo d’immagine. La rosa è collocata secondo la direzione della diagonale del quadrato e si allinea con quella del braccio per meglio evidenziare la gestualità della mano che asseconda un leggero movimento in avanti. Ma è proprio la sua gestualità ad introdurre all’interno del campo d’immagine quella linea di forza capace di dare sostanza al lieve soffio del Pierrot. Il nostro sguardo non può fare a meno cioè di seguire la direzione suggerita dalla mano, tanto che pare compiersi davvero la magia di quel soffio che spinge delicatamente, secondo la direzione diagonale, il volo di farfalle senza peso e dal carattere di carta velina. In “Richard Galliano” di Antonjazz (fig. 62) l’inquadratura dal basso e la prospettiva fortemente scorciata che ne risulta, ci restituisce tutta l’ampiezza ed il respiro della dinamica del gesto dell’artista che “stira” lo strumento. La gestualità fortemente espressiva della mano che scivola in basso a destra, introduce nel campo d’immagine un “linea” di forza ad arco diagonale che spinge il nostro sguardo a percorrere il fotogramma da una parte all’altra e “sperimentare” il movimento dello strumento che materialmente si apre sotto i nostri occhi. Si “fa” lungo questo percorso fisico ed emozionale.. il ritratto: dalla pressione delle dita sui tasti di madreperla, all’espressione del viso concentrata e giù lungo lo strumento che si stira sino all’angolo in basso a destra, quando sembra compiersi la magia di note che realmente paiono liberarsi e vibrare forte.
Oggetto: [i tutorial di P4U] Tutorial Ritratto - Percezione e Compo
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mar 16 Giu, 2009 10:21 pm
Abbiamo parlato di regola dei terzi e della convenienza (a volte) nel disporre il nostro centro di interesse in corrispondenza di uno dei punti di intersezione della griglia o comunque delle linee di struttura, verticali o orizzontali. Ma a questo punto, visto che i punti di intersezione sono quattro, c’è qualcosa che nell’ambito della percezione rende eterogenei questi punti?

Detto in altri termini c’è differenza tra “alto” e “basso”, tra “destra” e “sinistra”?

La risposta è si. Tutti noi quotidianamente facciamo continuamente esperienza di un mondo fisico dove la forza di gravità attira gli oggetti verso il basso. Qualunque spinta in alto comporta una “rivalsa” sulle leggi della gravità; significa vincere una resistenza. Per questo la linea verticale, come si diceva prima suggerisce dinamismo, tensione. E’ letta cioè in chiave di dinamica positiva se suggerisce una direzione dal basso verso l’alto. E’ per questo semplice motivo che nell’ambito della composizione quel che è posto in alto acquista, maggior peso figurativo rispetto al resto degli elementi. Tanto è che una configurazione di equilibrio compositivo si realizza allorquando un elemento di maggiori dimensioni in basso è controbilanciato da un altro più piccolo posto in alto.

Ma non solo, uno dei fattori del quale è utile tenere maggiormente conto nella composizione è la nostra tendenza a leggere un dipinto come una fotografia, da sinistra verso destra.

La più importante conseguenza di ciò è che qualunque elemento della composizione, collocato a destra del campo d’immagine pare avere un maggior peso figurativo. E’ questo il motivo per cui ad esempio diamo significato diverso alla diagonale che da sinistra in basso raggiunge l’angolo superiore destro (ascesa) rispetto a quella opposta (discesa).



Molto ben costruito il fotogramma nel “Il falconiere” di Victor53 (fig. 63), dove la composizione distribuisce le masse secondo la diagonale che va dall’angolo in alto a sinistra a quello in basso a destra. Complice la tendenza a leggere l’immagine da sinistra a destra, questa diagonale viene percepita come in discesa, tanto da farsi qui strumento del racconto del ritratto nel sostenere e dare sostanza allo sguardo dolce ed autorevole insieme del falconiere che letteralmente scivola lungo il corpo del rapace, carezzandone il piumaggio. Situazione opposta in “Paolo Fresu” di Andrea Feliziani (fig. 64) dove il fotogramma è strutturato sul dialogo delle due diagonali contrapposte: quella meno “strutturale” definita dal braccio alla nostra destra e quella “portante” lungo la quale si allineno l’asse del braccio e dello strumento. Questa è la diagonale che viene percepita come ascesa e si fa anche in questo caso funzionale al racconto nello svolgere la musicalità dello strumento e far “salire” alte le note che paiono liberarsi oltre i margini del fotogramma.

La nostra tendenza a guardare le immagini secondo il verso di lettura (per noi occidentali da sinistra a destra) comporta che spesso paga collocare il nostro centro d’interesse sulla destra, anche se di piccole dimensioni. L’occhio sarà portato facilmente a riconoscere quello come “fuoco” della composizione soprattutto considerando il fatto che in virtù proprio del verso di lettura lo “scorrimento” dello sguardo lungo il fotogramma avviene in modo più agevole e fluido da sinistra a destra che non nell’altro senso.

Immaginiamoci (anche se entriamo nel campo del paesaggio) ad una strada colta in prospettiva obliqua che punta in direzione di un casolare. La composizione verrà letta con più efficacia se il movimento dell’occhio lungo la strada per giungere al casolare si compie da sinistra verso destra.

E nel ritratto? Ricordiamoci delle linee di forza cui si accennava prima: non è un caso ad esempio che si preferisca lasciare che lo “scorrere” dello sguardo del soggetto avvenga secondo la direzione di lettura che ci è più congeniale, cioè da sinistra a destra.
Si tenga presente poi che se è vero che un elemento quando occupa la destra del fotogramma acquista un maggiore peso figurativo, è anche vero che proprio per questa “direzione di lettura” gli elementi in primo piano sono generalmente percepiti (anche con una certa coerenza del flusso prospettico) più vicini all’osservatore quando sono a sinistra che non a destra.

Questo spiega il perchè l’osservatore tende ad identificarsi proprio con l’elemento che viene percepito come il più vicino e perchè posizionare in un primo piano, ad esempio, il soggetto sulla sinistra con lo sguardo rivolto fuori campo a destra può, a seconda dei casi ovviamente, essere particolarmente efficace per la riuscita del ritratto.

Stessa cosa dicasi per quei ritratti dove la figura intera è colta secondo una dinamica tale da assecondare la “lettura d’immagine” da sinistra destra secondo quelle linee di forza che la gestualità del corpo stesso libera nello spazio circostante: un braccio proteso, lo sguardo, l’atto stesso del camminare o del correre.

Ma comporre significa dover tenere conto che in un modo o nell’altro abbiamo a che fare con tre tagli fondamentali: quello orizzontale, quello verticale, e quello quadrato.

Con i primi piani, se il taglio orizzontale si adatta bene, quando il viso è sbilanciato da un lato, a mettere in relazione lo spazio vuoto con l’espressività del soggetto, come nel caso di ritratti dall’accento introspettivo ed evocativo, ma anche a permettere un certo grado di ambientazione, il taglio rettangolare verticale consente effetti di maggiore impatto. Si adatta meglio alla forma del viso infatti e consente rispetto a quello orizzontale di stringere l’inquadratura sul soggetto spezzando il rapporto con lo scenario circostante (soprattutto se ci sono elementi di disturbo) e focalizzando l’attenzione sulla sua espressività, lo sguardo in particolare. Ma nel caso dei ritratti a mezzo busto o a figura intera, se il campo orizzontale è uno strumento prezioso nel permetterci di relazionare il soggetto con lo scenario circostante, il taglio verticale “disegna” meglio la figura e ne sottolinea lo sviluppo in altezza. Il taglio quadrato è invece un taglio particolare, che per sua natura non predilige una direzione ma introietta al suo interno tutta la dinamica della composizione. Si adatta quindi a quelle composizioni fortemente centripete per esempio, dove c’è un forte centro figurativo e geometrico o a quelle composizioni che svolgono e liberano la tensione dinamica lungo una diagonale.

Va da se che queste sono “regole” nella misura in cui valgono a svelare certi meccanismi della percezione e quindi della fruizione di una fotografia. Non possono essere assunte ne come inderogabili ne come assolute, e vogliono solo essere principi guida sulla composizione che è bene conoscere ma dai quali non bisogna mai lasciarsi condizionare del tutto.

Sull’altro piatto della bilancia ci siamo noi, ovviamente. Il tessuto della nostra esperienza ma soprattutto della nostra sensibilità, vera guida in quel processo di sintesi qual’è la fotografia che è prima di tutto atto creativo.
Oggetto: [i tutorial di P4U] Tutorial Ritratto - Illuminazione
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mar 16 Giu, 2009 10:25 pm
Illuminazione

    In studio:
E’ fondamentale un approccio il più semplice possibile alla gestione della luce. Spesso, e fortunatamente, i migliori risultati si ottengono senza affollare il set di luci, lavorando con una o due fonti di illuminazione.

Molti ritrattisti si affidano alla luce naturale capace di conferire a volte impareggiabili effetti di plasticità e vibrazione dinamica.
E opportuno partire proprio da questa e conoscere poche regole essenziali per sfruttarne appieno tutti i vantaggi (soprattutto.. è gratis), per quanto il suo comportamento sia ovviamente meno prevedibile di una fonte di luce artificiale.
Sono molti i fattori che influenzano il comportamento della luce che filtra da una finestra, non ultime le dimensioni della finestra stessa, la sua distanza dal soggetto e la posizione di questo rispetto alla fonte luminosa.

Quel che ci interessa è la resa della luce, dura o morbida cioè, che, tradotto in termini di impaginato chiaroscurale, significherà avere nel primo caso contrasti robusti e rapidi passaggi tra le zone d’ombra e quelle più illuminate, oppure nel secondo caso sfumature dolci e “lunghe”.
In linea generale è la dimensione della fonte luminosa che influenza la resa della luce: più piccola è infatti la finestra, più contrastata sarà la luce; più è grande (pensiamo a grandi vetrate) più dolce sarà la luce.

E questo vale per qualunque fonte luminosa, ovviamente.

Anche la distanza relativa tra il soggetto e la finestra influenzerà il comportamento della luce con una resa più o meno contrastata a seconda se posizioniamo il modello più o meno distante dalla finestra: più distanza significa maggiore contrasto, viceversa meno distanza meno contrasto.
Allo stesso modo se avviciniamo o allontaniamo una fonte di luce artificiale al soggetto diminuiremo o aumenteremo il contrasto. Più la sorgente luminosa è distante dal soggetto più marcato sarà il contrasto, con ombre portate dai contorni duri e netti. Più vicina sarà al soggetto e più morbida sarà la resa della luce con ombre dolci e sfumature più vellutate.

Ma ci sono vari espedienti che ci consentono di condizionare la resa della luce, così che non sia la distanza la sola variabile.

Perchè in una bella giornata di sole l’illuminazione è dura e contrasta, mentre quando è nuvoloso tutto si fa più morbido e dolce? Proprio per effetto delle nuvole che fungono da “mega-diffusore”.
Si tratta di ricreare in studio (ma non solo) le stesse condizioni. Quando la luce che proviene da una finestra è troppo dura, un foglio di carta da lucido, una tenda, un velo di mussola, interposto tra finestra e soggetto diffonde la luce rendendone la resa più dolce e morbida perchè è come se aumentassimo le dimensioni della sorgente luminosa.

Va da sè che anche la posizione del diffusore avrà i suoi effetti a seconda se è più o meno distante dalla finestra: più distante sarà dalla finestra (e quindi più vicino al soggetto) più dolce sarà la luce.
Va poi considerato come è posizionato il soggetto rispetto alla fonte luminosa: posizionare il modello a 90° significherà ottenere una illuminazione laterale con contrasti abbastanza marcati (pensiamo ad un volto per metà illuminato rispetto al suo asse e per metà in ombra); per una resa della luce più plastica e morbida si può provare a posizionare il soggetto a 45° rispetto la finestra.

In ogni caso difficilmente una fonte di illuminazione riesce da sola a produrre i risultati migliori. Ci sarà quasi sempre l’esigenza di “aprire” come si suol dire le ombre, renderle meno dense e marcate.
Ma invece di ricorrere ad una seconda fonte di illuminazione, potrebbe bastare l’uso di un pannello riflettente bianco che riverberando la luce sull’altra parte del soggetto addolcisce le ombre. Le modulazioni che si possono ottenere sono praticamente infinite a seconda di quanto avviciniamo o incliniamo il pannello rispetto al soggetto.

Per riflettore possiamo utilizzare qualunque cosa “rifletta” la luce: dai semplici fogli di cartoncino bianco ai pannelli di polistirolo, ai riflettori argentati o a quelli dorati che consentono una resa della luce più calda.
I riflettori oltre ad aprire le ombre del viso donano piacevoli riflessi ai capelli (e quindi volume) ed accendono piccole ma importanti fiamme di luce negli occhi a tutto vantaggio dell’espressività del soggetto e dell’impatto del ritratto.

Ma come possiamo voler riverberare la luce sul soggetto, possiamo volere fare esattamente l’opposto e cioè assorbire la luce e bloccarne il riflesso. In questo caso basta sostituire al pannello chiaro un pannello nero (cartone o meglio velluto nero) e otterremo delle ombre molto più dense, situazione ideale per quando ricerchiamo degli effetti di illuminazione più drammatici, tenendo conto che più avvicineremo il pannello nero al soggetto maggiore sarà l’entità delle ombre.

Ovviamente possono essere utilizzati anche due o più pannelli riflettenti. In genere nei primi piani o nei mezzi busti un secondo pannello riflettente è posto sotto il viso così da riverberare la luce dal basso ed addolcire soprattutto le ombre del mento e del collo, ottenendo un ordito chiaroscurale armonico ed equilibrato.

Quando non è possibile utilizzare la luce naturale o si vuole comunque avere un controllo totale senza variabili impreviste, si ricorre alle fonti di illuminazione artificiale.

La parte del leone la fanno i flash, ma è possibile utilizzare anche sorgenti a luce continua come le lampade ad incandescenza o quelle fluorescenti che però determinano dominanti colore che solo nel caso del ritratto in bianco nero possono essere trascurate. Sono però le unità flash le più utilizzate, anche per il fatto di consentire tempi di esposizione rapidi, a differenza delle sorgenti a luce continua, e tali quindi da congelare il soggetto e garantire la corretta incisione delle immagini.

La regola d’oro è sempre quella di mantenere lo schema dell’illuminazione il più essenziale possibile: una, a volte due, unità flash con un paio di riflettori sono più che sufficienti a garantire ottimi risultati.

Ovviamente gli schemi e le possibilità di illuminazione sono enormi e variano in funzione del risultato che si vuole raggiungere. Generalmente la fonte di luce principale viene posizionata leggermente rialzata e laterale rispetto al soggetto perchè è con una illuminazione dall’alto che siamo abituati a vedere le cose ed il risultato sarà più naturale.
Chiaramente la luce principale può essere disposta in svariati modi ed illuminare in pieno la parte del viso rivolta alla fotocamera o può essere di taglio, frontale alta, laterale alta, etc. Una volta definita la scena con la sola luce principale si può pensare di completare l’illuminazione con l’uso di un riflettore bianco, argentato o dorato (a seconda) per aprire e addolcire le ombre posizionato in genere a 45° rispetto al soggetto, dall’altro lato rispetto alla fonte di illuminazione principale. Ricordiamoci che avvicinare o allontanare il pannello dal soggetto equivale a dosare di più o di meno l’intensità della luce riverberata sul soggetto e quindi ad aprire in misura maggiore o minore le ombre.

Quando però il riflettore da solo non è sufficiente si interviene con una fonte di illuminazione ausiliaria chiamata “complementare”, generalmente munita di un diffusore che riduce l’impatto del lampo e viene comunque regolata con una potenza quasi sempre inferiore a quella principale.

Questa seconda sorgente di luce infatti deve servire solamente a rendere alcune ombre più “trasparenti” e permettere la leggibilità di alcune zone altrimenti troppo buie. Non dobbiamo cioè appiattire l’immagine privandola di plasticità e tridimensionalità, ma trovare il giusto equilibrio nel necessario rapporto tra luce ed ombra. Val la pena di ricordare che è nella dialettica tra luce ed ombra che si definisce l’ordito chiaroscurale e quindi il volume di un soggetto. Aprire eccessivamente le ombre minimizzando troppo lo spessore del chiaroscuro equivale a rendere un immagine piatta ed assolutamente priva di attrattiva.

Il contributo di ulteriori riflettori dipende chiaramente dalle singole condizioni di scatto e da ciò che esattamente cerchiamo di ottenere.
Esistono poi luci accessorie molto utilizzate come quelle per lo sfondo che vengono destinate all’illuminazione del fondale. Questo tipo di luce è molto utilizzata per esempio nei ritratti HK dove ci si vuole assicurare uno sfondo perfettamente bianco. Altra luce accessoria è quella “effetto” utilizzata per staccare il soggetto dallo sfondo esaltandone i contorni e viene posizionata dietro il soggetto per creare una condizione di controluce.
Oggetto: [i tutorial di P4U] Tutorial Ritratto - Illuminazione
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mar 16 Giu, 2009 10:29 pm
Illuminazione
    In esterni:
Con i ritratti in esterni si tratta, ovviamente, sapere gestire e controllare la luce naturale ed il suo carattere di imprevedibilità. Il piacere nei ritratti in esterni è sopratutto quello di liberarsi dell’uso flash (tranne che in certi casi come il controluce) e sfruttare le potenzialità della luce del sole per ottenere immagini spontanee, immediate ed incredibilmente naturali.

Avere a che fare con la luce del sole significa avere però consapevolezza del suo carattere principale ossia (al di là delle imprevedibili condizioni climatiche) la sua mutevolezza nel corso della giornata sia in termini di intensità che di valori cromatici.

Cosa questa che si traduce chiaramente in problemi da risolvere da un lato ma anche di enorme possibilità in termini creativi per il fotografo, dall’altro. Le migliori ore del giorno per fare delle sessioni in esterni sono quelle del primo mattino e del tardo pomeriggio: diciamo approssimativamente tra le 5,30 e le 11:00 quando la luce è più bianca e le 16:30 ed il tramonto, quando la luce è più rossiccia. E’ in queste ore del giorno che il sole è basso e la luce dei suoi raggi è più dolce e morbida, garantendo rese in termini chiaroscurali senza contrasti eccessivi. Condizioni difficili da gestire sono invece quelle in cui il sole è alto e la luce risulta dura e particolarmente aspra e soprattutto ingenerosa nel disegnare antiestetiche ombre portate sulla pelle dei nostri modelli.
Detto in altri termini: fotografare con il sole a picco è la peggiore delle condizioni a causa delle forti ombre portate che si creano sotto gli occhi ed il mento. Al contrario, risultati decisamente migliori si ottengono quando le nuvole ci danno una mano nel regalarci una luce morbida e diffusa: un cielo coperto è il migliore diffusore che esista.

Quando la luce è troppo forte basterebbe spostare il nostro modello all’ombra di un albero, di un muro bianco, o intervenire con l’uso di pannelli diffusori che consentano di addolcire i raggi del sole smorzando l’impatto della luce sul soggetti e rendendo più morbido l’impaginato chiaroscurale.

Posizioniamo il soggetto angolato rispetto ai raggi del sole così da mantenere una buona illuminazione ma anche evitare che tenda istintivamente a strizzare gli occhi. E’ necessario però, soprattutto quando la luce del sole è più intensa e più forte è la resa del chiaroscuro, riverberare una certa quantità di luce sul soggetto con l’uso dei pannelli riflettenti. Il riflettore, posizionato chiaramente dalla parte opposta alla zona illuminata, è indispensabile per schiarire le ombre e rendere l’illuminazione più omogenea. Ricordiamoci di valutare l’esposizione sulla parte più illuminata del viso come le guance o la fronte. Ma non dimentichiamo che un bel riflettore dorato è l’ideale a “scaldare” la luce quando questa è scarsa.

Anche all’esterno e sotto il sole il flash può rivelarsi di grande utilità nel ampliare la latidutine di esposizione e cogliere in altri termini i maggiori dettagli sia nelle zone più in ombra che in quelle più illuminate.

Ci riferiamo all’uso del così detto flash di riempimento, che ci consente di ottenere un buon bilanciamento in termini di esposizione tra il soggetto in primo piano e lo sfondo, quando il nostro modello è colto in controluce.
Sostanzialmente il trucco sta nel calcolare l’esposizione con una lettura spot sulla zona più scura dello sfondo luminoso, lasciando che il lampo del flash illumini il soggetto in primo piano. Attenzione però che il lampo non risulti troppo violento. Uno degli errori principali è quello di creare una discrepanza eccessiva tra il soggetto fin troppo illuminato e lo sfondo, che porta a risultati artificiosi. Si deve imparare a compensare il flash manualmente, riducendo cioè l’impatto del lampo, in modo da pervenire a risultati più naturali e quindi anche più credibili.

Un cenno meritano poi quei filtri che aiutano in un maggiore controllo della luce: i filtri grigi neutri ad esempio che bloccano la luce troppo forte; i filtri graduati che aiutano nel riequilibrare l’esposizione tra il primo piano ed il cielo; il filtro polarizzatore i cui benefici non potranno essere eguagliati da nessun tipo di fotoritocco e che si rivela indispensabile nel minimizzare i riflessi (ma non quelli delle superfici metalliche).

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