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photo4u.it - Tutorial
La poetica del ritratto
Premessa d’obbligo:
...è quella riguardante queste pagine che
non vogliono essere “guida” o “tutorial”, ma semplicemente “appunti”.
Quelli di un viaggio cominciato nel novembre 2005
qui su Photo4u e che mi ha portato ad entusiasmarmi,
a tratti commuovermi, emozionarmi comunque attraverso quelle immagini, le vostre immagini,
che mi hanno restituito anche frammenti del mio universo.
Da qui la scelta di illustrare queste righe con alcuni ritratti tratti proprio dal sito. Non una selezione, solo una semplice “raccolta” utile a rendere più immediate queste parole, perché per ciascuno di essi almeno altri dieci si rievocano nella memoria con altrettanta forza ed emozione.

(aerre)



La poetica del ritratto

Scrive, il nostro Don nella sua preziosa introduzione alla fotografia street:
Street photography è entrare in sintonia con la vita, percepirla, assorbirne gli umori, gli odori, i colori, viverla intensamente. Poi, dopo averla assorbita e digerita, rappresentarla. Non ho scritto a caso per ultima la parola “rappresentarla”. La street photography rappresenta la vita, “sintetizzata” in alcuni aspetti. E naturalmente, per rappresentare qualcosa, bisogna conoscerla, o almeno essere in sintonia con essa, essere recettivi. Questo elemento è la base di tutto: se non siamo disposti a guardare la vita con partecipazione e attenzione, non saremo mai un buono street photographer.”
C’è qualcosa in queste righe che si adatta al nostro discorso sul ritratto. Perché, esattamente come la foto fatta “per strada” non è detto che sia necessariamente una “fotografia street”, così, la fotografia di una persona, come di un animale, non può dirsi sempre ed in ogni caso un “ritratto”.
Perché si compia infatti quel salto che trasforma un’immagine qualunque in una “fotografia street” è necessario un “racconto”, che è poi il racconto della vita. Allo stesso modo un “ritratto”, perché lo si possa definire tale, deve restituirci una storia.
Deve “raccontare” insomma; solo che il suo cuore narrativo, la storia cioè che la sua veste figurativa imbastisce, è quella dell’individualità del soggetto e di tutto quello che lo fa essere un universo unico e a se stante.
Se non siamo disposti a guardare la vita con partecipazione e attenzione”, non saremo capaci di leggere ed interpretare gli aspetti di quell’universo intimo e personale che la figuratività di ciascuno veicola ed in ultima analisi non saremo mai dei bravi ritrattisti.
Semplicemente perché senza quegli ingredienti fondamentali che sono l’“attenzione” e la “partecipazione”, aspetti di una stessa capacità di guardare con il cuore e non soltanto con gli occhi, non saremo in grado di cogliere il carattere, la personalità, le sfumature in una parola l’ “anima” di chi abbiamo di fronte, e resteremo fermi alla superficie delle cose, senza la capacità di sollevare insomma quella coltre che pure, una volta scoperta, disvela il fascino e la magia di quell’universo sempre diverso e incredibilmente articolato che ciascuno di noi è.
Il “ritratto” celebra proprio questo fascino e questa magia, e non potrà mai esistere se non come espressione di una identità, quella del soggetto fotografato cioè, che non è solo fisica ma anche e soprattutto emozionale.
Ecco perché affrontare un ritratto significa prima di tutto guardare a chi abbiamo di fronte come ad una “persona” ed alla sua integrità indissolubile di spirito e di corpo, stabilendo con questa una connessione, a livello emozionale, che ci consentirà di trarne all’esterno tutta la bellezza interiore.
E questo vale non solo quando il soggetto del ritratto sono persone di famiglia o amici, e che quindi conosciamo bene, se non addirittura noi stessi negli autoritratti, ma anche quando abbiamo a che fare con persone mai conosciute prima.



Nel ritratto di “Maria” di Aldo Feroce (fig. 1) ed in quello di “Gianluca Renzi” di Antonio Manno, nickname: Antonjazz, (fig. 2) le vie percorse dagli autori sono diverse: se nel primo caso il ritratto ci racconta della umanità vera e quotidiana di Maria attraverso una figuratività più oggettiva e “palese”, nel secondo caso l’uso espressivo del mosso porta a scompaginare l’oggettività figurativa in direzione di un accento più emozionale. Resta uguale però l’atteggiamento da parte dei due autori che è quello di raccontarci la persona: “Maria”, nel primo caso, attraverso la spontaneità del suo vestito a pois, l’ampio sorriso, lo sguardo franco e sorridente, la pelle scavata che reca il racconto di una vita intera, e l’”artista Renzi” nel secondo caso con quella trasfigurazione espressionistica operata dal mosso che ci restituisce movimento, concentrazione, pathos, passione, travaglio.
Oggetto: La poetica del ritratto
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mer 29 Apr, 2009 10:46 am
Non è un caso che tutti i ritrattisti consiglino sempre, prima di iniziare una qualunque sessione fotografica, di parlare, chiacchierare amichevolmente con il soggetto. Farlo sentire a proprio agio è condizione irrinunciabile, perché si stabilisca quel feeling che poi consentirà una comunicazione emotiva tra fotografo e soggetto. Perché, alla fine della fiera, questo fa un ritratto: condivide emozioni, stati d’animo, modi di sentire che non sono solo quelli del “fotografato” ma anche quelli del fotografo.
E’ facile infatti che il ritratto registri un moto, un sussulto emozionale che si innesca nell’animo dell’autore a partire dal soggetto stesso. Ma sarà sempre e comunque l’“identità” di quest’ultimo il motore di quel processo creativo che porta al ritratto, la “persona”, perché non v’è ritratto senza che venga colta l’anima del soggetto che s’esprime attraverso la sua figuratività e con essa quell’ imprescindibile flusso emozionale che si stabilisce tra questi e l’autore.
Sono ovviamente infiniti i modi attraverso cui possiamo raccontare la persona, o il soggetto in genere, che abbiamo di fronte: attraverso l’espressione del viso, ma anche solo attraverso un taglio stretto sullo sguardo, una movenza del corpo o una gestualità che può arrivare a nascondere il viso.
Non è il viso di per sé importante, non è questo il punto: per quanto volto ed occhi in particolare costituiscano per lo più la parte capitale di un ritratto, quel che è importante è la “persona” in quanto tale, la sua identità, il racconto che il nostro scatto imbastisce di quest’ultima e che può anche essere veicolato attraverso molteplici sfumature della fisicità e figuratività di un individuo.




Nell'intenso 'Sadness' di Mario Noto, nickname: Quentin, (fig. 3) non scorgiamo lo sguardo dell’anziana signora. Gli Occhi smettono di essere la parte capitale del ritratto ed i lineamenti stessi del volto appaiono meno preponderanti rispetto alla gestualità della mano nel tratteggiare il contorno di un racconto fortemente emozionale. Ad essa, alla gestualità della mano che preme con intensità sulla fronte s’affida tutto il senso di un ritratto capace di coniugare un’atmosfera di tristezza muta ad una disarmante dolcezza.








Stesso discorso per “Dina” di Cius (fig. 4). Qui il passo è ancora più deciso nell’escludere coraggiosamente dalla compagine figurativa del ritratto il volto. Eppure il ritratto è fortemente espressivo ed una vita intera si rievoca in questo scatto, attraverso quella mano profondamente scavata dalla luce radente, attraverso il candore dei capelli d’argento o le tracce di una quotidianità fatta anche di una vestaglia di lana rossa come di una fede cara e preziosa. E’ proprio la scelta di quel buio denso che permette al ritratto di stabilire un ponte ideale con un immaginario affettivo ed emozionale forte, legato a chi ci è ancora vicino, a chi ci ha regalato abbracci di vestaglie rosse e riflessi d’argento; a chi ci è distante solo per un soffio dell’anima.








Anche le mani possono raccontare e farsi nucleo narrativo del ritratto. Ce lo dimostra questo scatto di AntonjazzJoe’s Hands” (fig. 5). Qui il semplice “stare” delle mani scavate dall’ombra, il bracciale, gli anelli, il forte contrasto del chiaroscuro, si fanno veicolo del racconto di una persona e del suo stile di vita, probabilmente un po' fuori dagli schemi, ci parlano di un “Joe” sognatore e solitario giramondo. C’è in questo scatto tutta la poetica del frammento che isola quella porzione della fisicità, della figuratività dell’individuo, capace di recare e veicolare l’essenza del tutto, in un linguaggio affidato ad un bianconero tutto di luce ed ombra, di chiari decisi e scuri profondi.
Oggetto: La poetica del ritratto
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mer 29 Apr, 2009 10:48 am
Il discorso vale anche quando abbiamo a che fare con gli animali, il nostro gatto domestico come l’affascinante gorilla di montagna. La fotografia che scatteremo di questo o quell’animale potrà dirsi ritratto solo quando avremo cercato di catturarne le peculiarità, il carattere, quel qualche cosa che lo rende unico o, se vogliamo, la sua “identità”.
Ecco in definitiva perché è possibile parlare di ritratto sia quando il nostro soggetto è un essere umano sia quando è un animale, gatto, cane o gorilla che sia, ma non può esistere il ritratto di un oggetto inanimato, una bambola, una statua, per quanto rappresenti in modo più o meno coerente e realistico le fattezze di un corpo umano o di un animale. Semmai la statua, come un dipinto ad esempio, è in alcuni casi il “ritratto”, ma l’immagine della statua resterà comunque la sbiadita trasposizione fotografica di un ritratto; non un ritratto in sé compiuto.







Riesce "Tenero..." di Puddus (fig.6) a restituirci l'immagine di un amore che a tratti assume un carattere ideale ed universale che ci appartiene tutti. Perché davvero ci si può quasi identificare in questo “abbraccio materno”, tanta è la dolcezza che s’emana dallo scatto.








L’inquadratura bassa, ravvicinata, coglie in “Io ti voglio bene ...e tu?” (fig. 7) di Clara Ravaglia, il soggetto “accucciolato” sul tavolo, quasi nell’istante prima di cominciare a ciondolare la testa e a far sentire forte un’incontenibile energia di scuotimenti, scodinzolamenti e piccoli balzi all’indietro. C’è spontaneità, immediatezza, persino nella incerata a scacchettini bianco e azzurro, e c’è un inconfondibile aria di casa in questo scatto, di una loggia aperta su giardini freschi d’estate; aria di giochi e giocattoli rosicchiati tra un ”accucciolamento” e l’altro.




Puntiamo insomma a ghermire e rivelare, attraverso il ritratto, tutto ciò che la nostra sensibilità è riuscita a catturare di quell’universo unico ed irripetibile che si cela di là della superficie e che va ben oltre i ristretti limiti del campo d’immagine.
Quando componiamo e scattiamo, non pensiamo soltanto a quel che c'è all'interno del mirino: sforziamoci invece, perché da questo dipenderà il modo in cui la foto verrà fruita, di ricondurre il soggetto alla sua storia personale, di cui lo scatto, il ritratto, non dimentichiamolo mai, è solo un piccolo frammento. E se dunque il ritratto sarà riuscito a celebrare e ''rappresentare la vita'', sarà già un buon ritratto.


"Vicino" di Silvia Fiorelli, nickname Nebe, (fig.8) è lo splendido studio del volto di una statua del Cristo. Ha una forza evocativa incredibile nel rendere concreto il senso di una “vicinanza” che si fa imminente. Quasi come presenza concreta. Ma non è un “ritratto”, quanto la trasposizione in immagine fotografica di quel ritratto (ideale in questo caso) che l’artista aveva nel suo immaginario. Notevole invece il controllo della luce che ha prodotto un chiaroscuro capace di sublimare la fisicità dell’oggetto in sé; lo estranea dal suo contesto tanto da farne strumento.
Oggetto: La tecnica del ritratto - L'inquadratura
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mer 29 Apr, 2009 10:49 am
La Tecnica del Ritratto

Aspetti fondamentali della tecnica del ritratto sono l’inquadratura, il punto di ripresa, la composizione e l’illuminazione.

L’inquadratura

In funzione del campo di ripresa possiamo individuare alcune inquadrature classiche nel ritratto: il primissimo piano, il primo piano, il mezzo busto o piano medio, il piano Americano e la figura intera.

Primissimo piano e Primo piano: Nel primissimo piano l’inquadratura è molto stretta sul viso o su una parte di esso, mentre nel primo piano si mantiene più ampia, grosso modo dalle spalle in su.
Non dimentichiamo, nell’approccio al ritratto, che è l’espressività del soggetto la principale chiave di lettura del suo modo di essere; il vero filtro attraverso cui si manifesta il suo universo personale.
Ora, sono proprio il “primissimo piano” e il “primo piano” le inquadrature che con maggiore impatto ci permettono, attraverso tagli più o meno stretti, di concentrare l’attenzione sull’espressione del soggetto e quindi di riuscire a catturarne prima e restituirne poi la personalità e l’essenza, vero obiettivo del ritratto.



Stupore” di Kapyn (fig. 9): un ‘primissimo piano’, reso attraverso un uso espressivo del taglio stretto che isola e mette in evidenza i lineamenti del volto della piccola. L’inquadratura è ravvicinata ed angolata di poco dall’alto, producendo una leggera deformazione, funzionale qui a rendere gli occhi, posti sul terzo superiore del fotogramma, ancora più grandi e comunicativi. Ne deriva un fortissimo potere di suggestione evocativa prodotto dalla combinazione tra lo sguardo fuori campo ed il movimento della mano che sfiora le labbra, in una gestualità carica di un disarmante “stupore” infantile. Un classico ’primo piano’ invece, è “Esther, solo una bambina” di Marco Pavani (fig. 10), dove l’inquadratura è raccolta attorno al viso ma senza stringere, con un taglio basso ampio a comprendere le spalle. La posa è frontale ma interviene lo sbilanciamento della figura a dare pregnanza allo spazio vuoto sulla destra che sottolinea la dinamica del viso che inclina da un lato. Ed è proprio questo movimento, amplificato dal “pendolo” delle treccine, che dà forza per contrasto alla fissità di quello sguardo consapevole che arriva a sfiorarci il cuore.


La cosa in assoluto più importante è mettere a fuoco gli occhi che devono risultare perfettamente nitidi e nel caso di una ridotta profondità di campo su quello più prossimo al piano
dell’inquadratura: è lo sguardo, quasi inutile dirlo, il principale canale attraverso cui si veicola parte dell’individualità di ciascuno di noi. E questo è valido anche quando il soggetto non guarda direttamente in camera.
Facciamo particolare attenzione allo sfondo. Il nostro interesse è focalizzare l’attenzione sul soggetto e la sua espressività, facendolo staccare quindi dallo sfondo la cui figuratività non deve turbare quella del primo piano.
Se lo sfondo non è uniforme (come potrebbe esserlo in un ritratto realizzato in studio con il classico sfondo bianco o nero per esempio) cerchiamo di sfuocarlo il più possibile con generose aperture del diaframma ad esempio. Apertura del diaframma, lunghezza focale utilizzata, distanza tra noi ed il soggetto e tra questo e lo sfondo, sono tutti elementi che giocano il loro ruolo nel determinare una maggiore o minore sfocatura dello sfondo. Un classico errore per esempio è quello di avvicinare troppo il soggetto allo sfondo: per quanti sforzi si facciano le tessiture di eventuali paramenti murari, intrecci di foglie o trame di sorta saranno sempre abbastanza a fuoco e rischiano nella loro esuberanza figurativa di togliere impatto alla figura che è invece il cuore dello scatto. Uno sfondo troppo nitido insomma, a meno che non rientri nella logica del ritratto stesso, disturba la lettura del soggetto spostando e frantumando il centro dell’interesse.



Uno splendido ritratto, “mnls” di Alfredo Ripani, nick name: Hiranyaloka, (fig.11) capace di coniugare l’immagine di una bellezza classica e moderna insieme. Lo sfondo è nero, impenetrabile e “assente”, per non turbare l’intensità del primo piano e non distogliere dallo sguardo diretto in camera, nitido e preciso come un rasoio. L’inquadratura è fortemente espressiva: il coraggioso taglio sulla fronte porta in alto la linea degli occhi e sbilancia la composizione che si distende secondo un ampio respiro verticale, in perfetta coerenza con quell’atmosfera densa di bellezza che s’emana dal ritratto. Guarda in camera la modella, ma è come se lo facesse dall’alto, come se ci stesse sovrastando, distante ed irraggiungibile. Diversamente in “s.t.” di Aldo Feroce (fig. 12), che è un ritratto ripreso per strada, nell’immediatezza di un momento di vita quotidiana quindi, lo sfondo è partecipe della figuratività del ritratto. Ma lo fa senza diluire l’effetto di quello sguardo di grande intensità e magnetismo, grazie alla generosa sfocatura e all’indovinato contrappunto del forte bagliore di luce che fa staccare i contorni del viso. Preziosissimi nell’equilibrio d’insieme quei rimandi cromatici tra lo sfondo, la fascia che cinge il capo ed il tono olivastro dell’incarnato.


In linea generale una maggiore lunghezza focale determina una maggiore sfocatura dello sfondo. Obiettivi particolarmente apprezzati nel ritratto, soprattutto per realizzare i primi pani, non casualmente sono i medi teleobiettivi, tra 85 e 135 mm per intenderci, che consentono di mantenere la giusta distanza dal soggetto, senza pericoli di distorcere i lineamenti del viso, e assicurano una naturale sfocatura dello sfondo facendo staccare il soggetto. Per i ritratti dal mezzo busto alla figura intera si preferiranno chiaramente focali molto più corte, dal 50 mm in giù.
Ma fondamentale è anche minimizzare la profondità di campo utilizzando diaframmi più aperti. Sarà proprio la giusta combinazione tra lunghezza focale e apertura di diaframma a garantirci i migliori risultati.
Non solo sarà importante lavorare con focali piuttosto lunghe (135 mm) o aperture di diaframma tali da sfocare il più possibile (f 3/5), ma anche gestire (quando possibile) la luce in modo da sottoesporre lo sfondo riducendone l’impatto figurativo. Per la stessa strada l’uso del bianconero al posto del colore porta a ridurre fortemente l’importanza figurativa dello sfondo.
Oggetto: La tecnica del ritratto - L'inquadratura
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mer 29 Apr, 2009 11:46 am
Mezzo busto o Piano Medio e Piano Americano: Rispetto al primo piano nel “mezzo busto” e nel “piano americano” l’inquadratura si allarga a coinvolgere il corpo del soggetto: dalla vita in su nel caso del primo e dalla coscia in su nel caso del secondo.
Quel che rende profondamente diversi questi generi del ritratto è che se nei due casi precedenti tutta l’attenzione è focalizzata sul viso e la sua espressione, nel caso del ritratto a mezza figura interviene anche il corpo a determinare l’espressività del soggetto. Il volto resta la parte capitale del ritratto, ma qui entrano in gioco la movenza del corpo, il suo atteggiamento, la gestualità delle mani (attenzione a non tagliarle via dall’inquadratura), come elementi attraverso cui si veicola l’identità del soggetto e la sua interiorità.


Regola numero uno: tenere sempre la macchina pulita” di LorenzaF (fig.13): la nitida orizzontale del piano d’appoggio è sfruttata per definire il taglio di un ‘mezzo busto’, appena sopra la vita del piccolo. Il taglio è quadrato e l’inquadratura si fa ampia. La scelta vincente è quella di sbilanciare la figura di lato quasi a distribuire le masse dei chiaroscuri ai lati della diagonale. Sbilanciamento anche della tavolozza chiaroscurale quindi, che imprime una efficace tensione dinamica alla composizione. Ancora di più si allarga l’inquadratura in “Valentina III” di Valentina Cassano, nickname: Val, (fig. 14) ad assumere il carattere di un così detto ‘piano americano’. Il respiro ampio dell’inquadratura relega nell’ombra i lineamenti del viso che restano celati ed inafferrabili, e si fa complice di un gioco di “seduzione consapevole e distaccata”. Affascina cioè il gioco di questa corporeità che pare mostrarsi e negarsi insieme, indugiando nelle flessuosità concavo convesse di una spirale barocca. Non a caso la composizione s’affida a tagli violenti: in alto e in basso, i due tagli rendono il flesso del corpo simmetrico rispetto all’asse orizzontale del fotogramma e, comprimendolo, ne esaltano il movimento. Interessante il diverso “uso” nei due scatti dello sfondo. In quello di LorenzaF lo sfondo “figurativamente” muto isola e fa staccare il soggetto, nel self di Val il gioco tessiturale dello sfondo damascato, complici le cromie calde di aranci e bruno dorati, si fa partecipe del fascino seduttivo di quell’atmosfera.


Proprio perché l’inquadratura si fa più ampia, dobbiamo fare particolare attenzione al rapporto figura/sfondo. Il discorso si farà ancora più determinante nel caso della figura intera, ma già qui si può cominciare a parlare di ritratto ambientato. La figuratività dello sfondo si fa cioè “scenario” all’interno del quale si muove il soggetto e diviene parte integrante del contenuto dello scatto perché caratterizzante o comunque strettamente connesso con il soggetto stesso.
Quando questa connessione non sussiste è invece importante che lo sfondo risulti il più possibile semplice e privo di quegli elementi di disturbo tali da interagire negativamente con la figuratività del ritratto.


In “Ritratto – Autunno” di Alessandro Rotta, nickname: Ale260382, (fig. 15) la composizione stabilisce un rapporto simbiotico tra la figura e lo sfondo. E’ uno di quei casi in cui lo sfondo è cioè parte del contenuto del ritratto e quindi imprescindibile nella sua valenza figurativa. La ragazza è distesa su un tappeto variegato dal disegno dell’arabesco di foglie che se da un lato completa per cromie e figuratività il racconto “autunnale”, dall’altro crea una piacevole texture che fa staccare la figura. Diverso è il caso dell’incantevole “Shila” di Aldo Feroce (fig. 16). Qui il ritratto dall’inqudratura, ampia a cogliere la posa spontanea della piccola, si condensa tutto nell’espressione curiosa e divertita di quegli occhi attenti sopra un sorriso appena accennato. Qui nulla deve turbare l’intensità e la dolcezza di quel viso e lo sfondo “arretra”, diluisce l’esuberanza figurativa in un piacevole sfocato che vale comunque a garantire profondità alla scena. La composizione è curata all’interno del campo quadrato, con il busto di Shila sbilanciato sulla sinistra: le masse sono distribuite al di qua della diagonale, lungo la quale si disegna il flesso del braccio che guida il nostro sguardo verso il sorriso quasi beffardo e l’espressione intensa degli occhi.
Oggetto: La tecnica del ritratto - L'inquadratura
Autore: ZioMauri29 - Inviato: Mer 29 Apr, 2009 11:50 am
Figura intera: in questo caso il soggetto è inquadrato nella sua interezza, il volto diviene sempre meno determinante nel definire l’espressività della persona. E’ il corpo, ...dalla testa ai piedi (fate attenzione che i piedi rientrino all’interno del fotogramma), che veicola l’universo fisico ed emozionale del soggetto e qui più che negli altri generi del ritratto il rapporto con lo sfondo assume un ruolo chiave. L’inquadratura si mantiene necessariamente ampia e si spinge a contenere all’interno del fotogramma ampie porzioni dello scenario nel quale il soggetto è collocato.










Nel ritratto a figura intera, più che mai lo scenario entro cui è ripreso il soggetto, è l’occasione per completare e rendere più incisivo il racconto. Così è in “Aga” di Giuseppe Circhetta, nickname: Hausdorf79, (fig.17), dove il particolare punto di ripresa, studiatamente basso, e la generosa sbollatura coinvolgono le due quinte urbane che definiscono lo spazio d’immagine a destra e sinistra, nel ricreare (complice la forte accelerazione prospettica che ne deriva) una sensazione di forte dinamismo in sintonia con la posa della modella. Non è certo un caso che l’illuminazione sulla modella sia dosata al fine di non farla staccare troppo, ma integrarla con più coerenza all’interno dello scenario urbano.























Di altra natura, ....meno figurativa e dall’accento fortemente emozionale, lo sfondo nero che fa da scenario al “Giovanni Falzone” di Antonjazz (fig. 18). La luce del faretto in alto a sinistra scivola in basso ad illuminare l’artista. Tutto il resto del fotogramma è invaso da un nero che non è “vuoto”, non è “assenza”, ma spazio dell’anima che presto si addensa di note ed emozioni. Questo lo scenario, non fisico ma emozionale. Il ritratto insomma sta tutto in quello spazio apparentemente vuoto, in quel percorso che il nostro sguardo compie tra il faretto e l’artista, esattamente come il cuore tra il picco di un’emozione e l’altra.











Meditazione...” di Marina Palpati, nickname: Squa, (fig. 19) è un esempio intenso ed espressivo di ritratto ambientato, che nasce dall’attenzione rivolta non solo al soggetto in sé ma al rapporto tra questo ed il luogo che fa da scenario al ritratto stesso, intriso di forte spiritualità. Questa volta l’inquadratura è ampia ed è il salto di scala la chiave della forza espressiva dello scatto. Commuove cioè la figura piccola, minuta, “raccolta” ed immersa nella lettura, di questo frate che si fa ancora più piccolo sullo sfondo di questo ambiente dove persino l’arredo, l’armadio a sinistra, la statua alta sul piedistallo, la stessa spazialità della sala con la fuga prospettica del disegno pavimentale, sembrano farsi giganti. L’inquadratura è curatissima alla ricerca di quella assialità tra il lampadario, la statua ed il tavolo, non casualmente in corrispondenza con il terzo a destra del fotogramma. La composizione sbilancia di lato cioè, ma lo fa per riportare al centro geometrico ed emozionale del ritratto la figura del frate sul quale di fatto sembra condensare e addensarsi il silenzio di questo spazio. Un’arte difficile quella del ritratto ambientato che pare farsi poesia negli scatti della nostra Marina che sa trarre dal contesto elementi essenziali al racconto della persona e lo spazio in cui i soggetti si muovono diventa spazio dell’anima.



C’è dunque un’occasione da sfruttare, che è quella del ritratto ambientato in cui lo scenario circostante non è semplicemente sfondo ma parte significante del ritratto stesso, che ne completa insomma e ne sottolinea il contenuto. Si tratta cioè di stabilire una relazione tra soggetto e contesto e a questa affidare l’espressione del contenuto del ritratto.
Più l’inquadratura si fa ampia più difficile è il controllo di questo rapporto: attenzione ai classici pali o tronchi d’albero che non vorremmo fare sbucare dalla testa di nessuno, al passante di turno e ad altri infiniti possibili elementi che possono essere solo di disturbo.

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