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photo4u.it - Tutorial
[i tutorial di P4U] Tutorial Architettura
Cos’è l’Architettura? E la foto di architettura?
autori: ZioMauri29 e Teo76

Per dirla come Leon Battista Alberti (1450): "Architettore chiamerò io colui, il quale saprà con certa, e maravigliosa ragione, e regola, sì con la mente, e con lo animo divisare; sì con la opera recare a fine tutte quelle cose, le quali mediante movimenti dei pesi, congiungimenti, e ammassamenti di corpi, si possono con gran dignità accomodare benissimo all'uso de gli homini."

Così come l’Architettura, anche la Fotografia è il perfetto connubio tra tecnica e arte. In particolare la Fotografia di una Architettura deve essere perfetta tecnicamente e in grado di comunicare la visione dell’architetto e/o quella del fotografo.

Cercherermo ora di esporre, in maniera quanto più semplice e chiara possibile, alcuni aspetti e alcune cose importanti prima di cimentarsi in tale tipo di fotografia, alcune fattori specifici da tenere in considerazione e altre tecniche particolari di ripresa.
Autore: hamham - Inviato: Ven 18 Lug, 2008 5:22 pm
L'attrezzatura consigliata per le foto d'architettura

Grandangolo:
1. ampio angolo di campo: permette di fotografare in ambienti angusti (interni, vie strette, etc.) o interi palazzi, piazze, etc., ma bisogna fare attenzione a non includere elementi di disturbo nell’inquadratura (ombra del fotografo, cestini, macchine parcheggiate, gente, etc.)
2. esaltazione della prospettiva: aumenta la profondità delle fughe prospettiche, “aumenta” la dimensione di un ambiente, stacca i differenti piani. Il rovescio della medaglia è la difficoltà di mantenere il parallelismo delle linee nel caso il piano focale non sia parallelo al soggetto fotografato
3. ampia profondità di campo: permette di mantenere a fuoco da pochi metri all’infinito, soprattutto sfruttando l’iperfocale.

Grandangoli spinti possono portare ad avere deformazioni a barilotto, molto ben visibili se si hanno linee verticali od orizzontali molto vicino ai bordi dell’inquadratura. Inoltre si possono avere deformazioni agli angoli del campo inquadrato.

Teleobiettivo:
1. ridotto angolo di campo: usato per la cattura di dettagli lontani o per isolare degli elementi da un contesto più ampio.
2. schiacciamento dei piani prospettici: permette di fondere, avvicinare, oggetti distanti tra loro lungo la visuale. Inoltre crea meno problemi con le linee prospettiche rispetto ad un grandangolo.

Cavalletto: aiuta a comporre la scena con calma e di evitare eventuali orizzonti storti. Inoltre permette l’utilizzo di diaframmi chiusi e tempi lunghi per aumentare la pdc, per “cancellare” eventuali passanti nei notturni, etc.

Flash: non molto utile in quanto di solito ha un breve range d’azione, mentre per l’utilizzo su oggetti più piccoli (statue, oggetti di design, etc.) valgono le regole per la fotografia in studio o per il ritratto.

Polarizzatore: elimina i riflessi, satura i colori, toglie un paio di stop (per l’utilizzo di tempi lunghi di giorno).
Autore: hamham - Inviato: Ven 18 Lug, 2008 5:23 pm
Per spiegare meglio la natura e la funzione di un filtro polarizzatore, alleghiamo qui di seguito il preciso tutorial già preparato da Balza, molto dettagliato e preciso.

    ..Il polarizzatore è uno dei filtri fotografici più particolari, oltre ad essere uno dei più utilizzati (e purtroppo dei più costosi), ed è forse l'unico che non può essere riprodotto in nessun modo neanche in post-produzione (camera oscura o programmi di fotoritocco).
    Inoltre è anche estremamente curiosa la sua costruzione: è infatti costituito da due anelli coassiali. Il primo serve per fissarlo all'obiettivo, mentre il secondo rimane libero di ruotare.

    Fondamentalmente i suoi effetti sono due:
    - Eliminazione, totale o parziale a seconda delle circostanze, di eventuali riflessi su superfici NON metalliche (vetri, acqua, superfici lucide come ad esempio mattonelle ecc.).
    - Aumento della saturazione dei colori ed in particolare aumento del contrasto tra il blu del cielo e il bianco delle nuvole.

    Effetto collaterale dell'uso del polarizzatore è una perdita di luminosità valutabile, generalmente, in due stop (talvolta qualcosa meno o qualcosa più: dipende dalla qualità del filtro e dai materiali utilizzati per costruirlo). Se questo da un lato può essere visto come un difetto, non bisogna dimenticarsi che il polarizzatore è un filtro neutro, ovvero non aggiunge nessuna dominante cromatica, e quindi questo "difetto" può venire sfruttato a proprio vantaggio nelle occasioni in cui ci si trova ad utilizzare pellicole molto sensibili in condizioni di luce molto forte.

    Ulteriore vantaggio: il polarizzatore risulta molto efficace anche con le pellicole in bianco e nero.

    Ma come funziona il polarizzatore? Perchè quella sua strana costruzione? Come è possibile che un "pezzo di vetro" possa quasi "magicamente" far vedere il fondo del mare? E perchè se toglie tutti i riflessi non può eliminare anche tutto ciò che riflette uno specchio? E che differenze ci sono tra il polarizzatore lineare e quello circolare? Quale compro?

    Vediamo di dare una spiegazione a tutte queste domande, per farlo però bisogna introdurre qualche concetto non proprio banale di fisica. Cercherò di farlo senza entrare in dettagli matematici, anche perchè in quel caso probabilmente finirei io per primo per fare qualche errorino... Wink

    COS'E' LA LUCE?
    Iniziamo con il dire che la luce può essere vista come un'onda elettromagnetica. Cosa vuol dire questo? Provate a pensare ad una corda che oscilla verticalmente: genera quella che si chiama un'onda sinuosoidale che dovrebbe dare l'idea di quello che è "un'onda" anche ai meno ferrati in matematica & fisica. Bene, la luce può essere vista come una sorta di onda.
    Detto questo... andiamo avanti: come le leggi di Maxwell insegnano, campo magnetici e campi elettrici non sono cose distinte tra di loro, ma in realtà sono le due componenti del campo elettromagnetico: nel caso di un fronte d'onda piano (non sempre è così ma è una approssimazione che si può fare osservando l'onda ad una distanza sufficientemente grande) il campo magnetico e il campo elettrico saranno perpendicolari tra di loro.
    Ok, torniamo alla luce che, come detto, è un'onda elettromagnetica e sarà quindi dotata di campo elettrico e magnetico: nel nostro caso specifico possiamo dimenticarci del campo magnetico e prenderemo in considerazione da qui in avanti solo l'onda caratteristica del campo elettrico.

    LUCE POLARIZZATA
    Per "polarizzazione della luce" si intende la direzione in cui oscilla il campo elettrico dell'onda elettromagnetica: per questioni fisiche, le direzioni del campo elettrico devono appartenere al piano ortogonale alla direzione di propagazione della luce (il campo elettrico deve essere perpendicolare a tale direzione) ma questo non vuol dire che la polarizzazione non possa variare molto rapidamente, nel tempo. Qualora avvengano queste variazioni del tutto casuali si parla di luce NON polarizzata, viceversa, nel caso in cui il campo elettrico oscilli in modo "ordinato" e costante, si parla, come prevedibile, di luce polarizzata.
    Bisogna inoltre fare una distinzione tra due tipi diversi di polarizzazione, quella lineare e quella circolare: questa distinzione sarà poi ripresa per capire la differenza tra i diversi tipi di filtri.
    Se il campo elettrico oscilla mantenendo costante il piano di oscillazione si parla di polarizzazione lineare, se invece il piano di oscillazione ruota costantemente su se stesso siamo di fronte alla polarizzazione circolare. Per cercare di rendere l'idea con un esempio concreto pensate di prendere una corda e di legare una estremità ad una parete. Se iniziate a muovere ritmicamente l'altro estremo dall'alto al basso, potete vedere le oscillazioni della corda come la variazione nel tempo del campo elettrico nel caso di polarizzazione lineare. Se continuando ad oscillare in questo modo la corda iniziate a farla ruotare anche in senso orario (o antiorario) avrete appena "emulato" il campo elettrico nel caso di polarizzazione circolare.

    In natura si trovano con tale facilità esempi di luce non polarizzata (quella emessa dal sole o da una lampadina ad esempio) che spesso "luce non polarizzata" e "luce naturale" vengono quasi utilizzati come sinonimi.
    Esistono comunque, anche in natura, esempi di luce polarizzata, ed è proprio su questi esempi che si basa il funzionamento del filtro polarizzatore.
    - Polarizzazione naturale per diffusione
    Quando un raggio di luce non polarizzato colpisce delle particelle di dimensione infinitesimale, come può essere ad esempio il vapore acqueo presente nell'atmosfera, viene diffuso e si polarizza in un piano perpendicolare alla direzione di propagazione del raggio incidente.
    - Polarizzazione naturale per riflessione
    Quando un raggio di luce colpisce una superficie liscia in parte viene assorbito dall'oggetto stesso, in parte viene riflesso con un angolo uguale e opposto all'angolo di incidenza. La questione che ci interessa particolarmente è che a seconda delle superfici può verificarsi il fenomeno della polarizzazione, ovvero oltre a venire riflesso il raggio di luce viene anche polarizzato: è quello che avviene nel caso di materiali chiamati "dielettrici".
    Anche se nella maggior parte dei casi si assiste alla polarizzazione, con tutte le superfici metalliche (tra cui anche gli specchi o le cromature) questo non avviene: se la luce era polarizzata prima di venire riflessa continuerà a rimanere tale, ma in caso contrario non ci sarà alcuna polarizzazione.

    E IL FILTRO COSA FA?
    Dopo la indispensabile parentesi scientifica veniamo al nostro caro filtro polarizzatore: come facciamo a convincerci che non funziona per magia ma che dietro il suo funzionamento c'è della scienza?
    Fondamentalmente quello che fa il polarizzatore è trasmettere più o meno luce a seconda della sua polarizzazione, bloccando del tutto la luce polarizzata con un piano parallelo al piano polarizzatore del filtro. Tanto più il piano polarizzatore della luce sarà lontano dall'essere parallelo a quello del del filtro, tanto maggiore sarà la luce che attraverserà il filtro mentre la luce non polarizzata sarà quella meno "bloccata" (in parte anche quella viene attenuata: non dimentichiamoci infatti che il filtro diminuisce in genere di due stop la luce totale che arriva all'obiettivo).
    A questo punto dovrebbe essere chiaro anche il motivo per cui il filtro, una volta montato sull'obiettivo può ruotare e, anzi, è proprio ruotandolo che si troverà il punto in cui la funzione sarà massima: infatti quello che si deve fare è rendere paralleli il piano di oscillazione del campo elettrico della luce con il piano polarizzatore del filtro, eliminando così eventuali riflessi.

    OK, MA NON HO ANCORA CAPITO DA DOVE SALTANO FUORI GLI EFFETTI!
    All'inizio avevamo descritto i due principali vantaggi del filtro: riprendiamo il discorso da lì e, con il giusto background culturale, cerchiamo di capire perchè avvengono.
    - Eliminazione dei riflessi
    Prendiamo uno degli esempi più eclatanti... una foto fatta al fondale del mare: quando un raggio di luce colpisce la superficie dell'acqua si "spezza" in due raggi differenti. Uno, seppur con una angolazione differente rispetto a quella di incidenza, prosegue verso il fondo del mare, l'altro viene invece riflesso e (come dicevamo prima) polarizzato. Tutti i riflessi che vediamo sull'acqua, come dice il termine stesso, sono dovuti a questi raggi di luce riflessi (e polarizzati!): ecco quindi perchè se orientiamo in modo corretto il filtro polarizzatore, la luce riflessa verrà bloccata totalmente e potremo quindi vedere soltanto quella parte della luce che proseguiva verso il fondo del mare illuminandolo!
    - Maggior saturazione
    Come dicevamo prima un altro esempio di luce polarizzata si ottiene per "diffusione" quando la luce impatta contro ad esempio il vapore acqueo presente nell'atmosfera: in questo caso il polarizzatore elimina tutti questi raggi di luce contribuendo a scurire e rendere più saturo il cielo. In particolare, visto che il piano di polarizzazione della luce è perpendicolare alla direzione di propagazione del raggio incidente, nel caso tipico dei paesaggi di montagna, i risultati migliori si ottengono quando il sole è a 90 gradi rispetto all'asse di ripresa: in pratica quando lo si ha di fianco.

    Ultima considerazione: a questo punto dovrebbe essere abbastanza chiaro anche perchè i riflessi degli specchi non vengono eliminati. Come dicevamo non tutte le superfici, quando riflettono la luce, sono in grado anche di polarizzarla e se questa non viene polarizzata il filtro non è in grado di bloccarla.

    FANTASTICO! LO COMPRO: MA QUALE? IL LINEARE O IL CIRCOLARE?
    Si potrebbe iniziare dicendo "in principio c'era il lineare", ma questo darebbe l'idea che ormai il lineare non ha più senso comprarlo. In realtà ancora oggi si trovano in commercio entrambi i filtri e di conseguenza il dubbio sul quale comprare è più che legittimo.
    Ancora una volta invece di dare una risposta "secca" vediamo cosa avviene in realtà, visto che non bisogna aggiungere troppo a quanto già scritto.
    Di fatto i polarizzatori, oltre a decidere quale luce far passare e quale bloccare, agiscono a loro volta da polarizzatori, ovvero tutta la luce che filtra attraverso il filtro risulta polarizzata. L'unica differenza tra i polarizzatori circolari e quelli lineari è il modo in cui avviene questa polarizzatore che, prevedibilmente, risulterà rispettivamente lineare o circolare.
    In termini pratici, per quello che può interessare il fotografo al di là delle spiegazioni scientifiche, i polarizzatori circolari sono stati introdotti in seguito perchè con i lineari ci si era resi conto che alcune macchine fotografiche reflex entravo in crisi quando provavano ad utilizzare l'autofocus o a volte anche nel calcolare la corretta esposizione. Questo perchè la luce polarizzata linearmente può venire bloccata o alterata da eventuali specchi o vetri semitrasparenti posti spesso davanti alle cellule esposimetriche delle reflex o a quelle addette all'autofocus, facendole, di fatto, "impazzire".
    Il rovescio della medaglia dei polarizzatori circolari è principalmente la maggior complessità costruttiva e, ovviamente, i costi maggiori a cui si trovano in commercio.
    A parte questo le due tipologie di filtri sono del tutto paragonabili sia nell'utilizzo che nei risultati ottenuti, anche se a volte i polarizzatori lineari vengono considerati leggermente più efficaci.

    ULTIMA CHICCA
    Abbiamo appena detto che un filtro polarizzatore polarizza la luce. Cosa succede quindi montando due filtri? Semplice: si può ottenere il buio totale! Regolando infatti il filtro più vicino all'obiettivo in modo da bloccare la luce polarizzata con un piano di polarizzazione uguale a quello generato dal primo filtro (nota: tutta la luce che esce dal primo filtro avrà quel piano di polarizzazione!) semplicemente si otterrà l'assenza di luce. Un esperimento interessante da fare (che spero di fare a breve per poi mandare delle foto) è quello di includere tra i due filtri del materiale trasparente come può essere della plastica traslucida o anche semplicemente dei granelli di sale. Così facendo infatti tutta la luce che passa dal primo filtro che non "impatta" con il granello di sale verrà bloccata dal secondo filtro, mentre la luce che attraversa il granello di sale vedrà variato il suo piano di polarizzatore e riuscirà ad arrivare all'obiettivo generando dei suggestivi giochi di luce.

    CONCLUSIONI
    Spero di non avere troppo annoiato con questa "trattazione" e di essere riuscito a far capire i principi di base sui quali si basa il filtro polarizzatore. A parte questo consiglio veramente a tutti di acquistarne uno, possibilmente di una buona marca (ho provato polarizzatori di marche scadenti e vi assicuro che le foto vengono meglio con il tappo sull'obiettivo...): anche se la spesa sarà probabilmente elevata (specie se avete obiettivi con diametro consistente, ad esempio da 77 o 82mm) ne varrà veramente la pena! [@ Marco "Balza" Balzarini]
Autore: hamham - Inviato: Ven 18 Lug, 2008 5:24 pm
Oltre l'attrezzatura
Dopo questa rapida carrellata sulle apparecchiature più indicate e/o necessarie, passiamo ad analizzare quali possono essere invece i fattori più importanti da considerare e da tenere sotto controllo prima e durante lo scatto di una foto architettonica.


Bisogna fare attenzione a:

La luce: fotografare significa scrivere con la luce, quindi è piuttosto ovvio che una buona luce possa fare la differenza tra una buona foto e una meno buona. Dato che le opere architettoniche di solito sono fisse e in posizioni determinate, è facile poter valutare e prevedere il momento della giornata, o dell’anno, con la miglior luce.
In generale, una luce troppo dura (ore centrali di una giornata assolata d’estate) darà forti contrasti e una scarsa tridimensionalità, mentre una luce troppo morbida (cielo grigio e poco luminoso) darà poche ombre e scarso rilievo e vitalità alla scena inquadrata.
Spesso e volentieri l’architettura stessa è stata pensata in base alla luce e all’orientamento; a volte si possono sfruttare a proprio vantaggio le ombre dei palazzi vicini per creare interessanti chiari scuri.
Nelle foto di interni occhio al mescolarsi della luce ambiente con quella artificiale.
Mai sottovalutare una giornata di brutto tempo (pioggia, neve, temporali, etc.)

L’Esposizione: prendersi tutto il tempo per valutarla come si deve, l’ho già detto vero che tanto da lì non si muove?
Con l’avvento del digitale è diventato sempre più importante non bruciare le alte luci, perché non le si possono più recuperare, e la “regola” di esporre a sinistra, cioè far sì che l’istogramma sia il più vicino possibile al bordo sinistro (verso le alte luci). Il tutto per uno squisito motivo tecnologico la cui spiegazione esula da questo contesto (STFG Wink ).
Se poi vogliamo proprio metterci in una botte di ferro, potremmo metterci un po’ di tecnica zonale per valutare le luci, le ombre e i grigi, ma tutte queste sono regole generali per l’esposizione e non specifiche per la F. di A.

Per evitare errori di questo tipo, si possono utilizzare alcune tecniche differenti. Le due più diffuse e comuni sono la doppia esposizione e il bracketing.
Autore: hamham - Inviato: Ven 18 Lug, 2008 5:25 pm
La doppia esposizione (intesa come "effetto HDR")
Cerchiamo ora di dare chiarimento delle due tipologie sfruttando ancora gli ottimi tutorial preparati da Zanve (sulla doppia esposizione) e di un tutorial da nital.com sulla tecnica bracketing.

    ..Partiamo dallo scatto o meglio dagli scatti (3) ottenuti in successione quando si imposta la funzione a forcella detta anche BRACKETING (AEB), oltre ad attivare questa funzione attivo anche quella di BLOCCO DELLO SPECCHIO che si trova nelle funzioni personalizzate e che serve ad eliminare anche la minima vibrazione causata dal sollevamento dello specchio in fase di scatto.
    Tutto ciò ovviamente deve avvenire con la macchina saldamente posizionata sul cavalletto e a questo punto direi che risulta praticamente indispensabile anche uno scatto remoto per evitare di toccare il pulsante di scatto con il rischio di spostare l'inquadratura, altro consiglio è quello di salvare le foto in RAW per avere maggiore margine di elaborazione.

    Come vedremo in seguito le immagini ottenute dal bracketing andranno sovrapposte e per tanto è importantissimo che siano perfettamente identiche nell'inquadratura, ecco il perché di tutte queste accortezze.

    A questo punto abbiamo ottenuto i nostri tre scatti, la macchina era nella funzione AV, il diaframma molto chiuso che ci da la profondità di campo maggiore, non va modificato tra la sequenza dei tre scatti e ci consentirà anche abbinato ad un filtro polarizzatore e se necessario ad un filtro neutro di allungare i tempi di esposizione per ottenere l'effetto "seta" dell'acqua in movimento.

    Una volte scaricate le immagini sul computer le importo in APERTURE (Mac) dove, oltre a catalogarle, apporto le prime correzioni grossolane e dove decido quali immagini esportare in TIFF per la successiva "fusione" con PHOTOSHOP



    Ora possiamo aprire contemporaneamente le due foto cha abbiamo scelto e che secondo noi hanno l'esposizione migliore per primo piano e per sfondo/cielo con PHOTOSHOP. Selezioniamo la foto sottoesposta e con il il comando > select> all, poi copiamo e incolliamo la foto su quella sovraesposta.



    A questo punto sovrapponiamo i livelli con lo strumento Layer > Layer Mask > Hide all e ci troveremo la foto sovraesposta al livello superiore.



    Ora è giunto il momento più delicato e manuale di tutta l'operazione, scegliamo lo strumento PENNELLO (brush tool) impostiamo un diametro molto ampio con i bordi sfumati e con una opacità del 100%, tutti questi parametri non sono categorici e si possono variare a seconda della situazione e del risultato che vogliamo ottenere.
    Passiamo con il pennello nella zona che vogliamo correggere ( in questo caso il cielo bruciato) e vedremo cancellarsi il livello superiore per lasciare posto a quello inferiore(la foto sottoesposta)



    Cerchiamo di lavorare con precisione e in modo graduale per ottenere risultati più naturali possibili e una volta completato il lavoro fondiamo il livelli con lo strumento Layer > Flatten Image



    Ora che il lavoro più grosso è terminato possiamo passare a ritocchi quali: Timbro clone per la polvere del sensore, colori selettivi, luci e ombre, maschera di contrasto ecc ecc

    Ovviamente tutte queste regolazioni possono essere applicate alle singole foto anche prima dell'unione, un altro consiglio che posso dare è quello di non cercare di unire due immagini che hanno una grande differenza di luminosità per evitare di ottenere risultati troppo artificiosi.



    Con questo Tutorial spero di essere di aiuto a tutti quelli che si avvicinano per la prima volta a questo tipo di tecnica, tecnica che in sostanza consente di ottenere immagini esposte in maniera ottimale anche quando le condizioni di alto contrasto di luce (alba e tramonto ma non solo) non consentono al sensore della nostra fotocamera di impressionare l'immagine con la gamma dinamica che invece i nostri occhi riescono a trasmetterci.

    La foto usata per questo tutorial fa parte della mia galleria, la versione finale è questa:



    [@zanve]
Autore: hamham - Inviato: Ven 18 Lug, 2008 5:27 pm
La tecnica del bracketing
Per quanto riguarda la tecnica del bracketing, seguiamo il tutorial presente sul sito nital.it:

    Il risultato di un'esposizione corretta sono immagini di aspetto naturale e ben bilanciate, dove luci, ombre e toni intermedi hanno tutti dettaglio e contribuiscono a costruire una fotografia gradevole. Abbiamo anche visto che questo calcolo può essere fuorviato da una serie di fattori e abbiamo accennato a un sistema che ci permette di ovviare a eventuali errori di calcolo mediante l'esecuzione di più foto, ciascuna con un'esposizione leggermente diversa dalle altre.

    La tecnica prende il nome di bracketing, tradotto con "esposizione variata a forcella", e prevede l'esecuzione di almeno 3 foto separate tra loro da una forcella di sovra e sottoesposizione (tempo più lungo e più corto del previsto) che permette di "centrare" la foto perfetta. La tecnica è diffusissima nelle reflex a pellicola poiché offre un modo per cautelarsi contro errori di esposizione a fronte di un po' di spreco di pellicola. Nel mondo digitale non viene usata granché visto che esiste modo per controllare immediatamente la foto appena scattata e decidere se rifarla. Tuttavia non sempre è possibile rifare una foto e talvolta ciò che vediamo soddisfacente sul display della fotocamera si rivela insoddisfacente una volta proiettato su uno schermo più ampio, come quello di un PC, oppure stampato. Di conseguenza la presenza di un'esposizione variata a forcella costituisce una garanzia anche nel mondo digitale.

    È semplicissima da usare: si cerca innanzitutto se compare tra le funzioni offerte dalla nostra fotocamera, quindi si decide l'ampiezza della forcella (di quanto l'immagine debba essere esposta più e del dovuto). Se decidiamo che il valore della forcella è 1 da ripartire su tre foto, avremo la prima foto con l'esposizione corretta, la seconda esposta con il doppio della luce (ossia impiegando un tempo di posa doppio) e la terza con la metà della luce, cioè con un tempo di posa dimezzato. Poiché si tratta di differenze molto marcate, si offre spesso la prerogativa d'impostare una forcella con intervalli di 0,3 o di 0,7. Entrambe le fotocamere usate come esempio dispongono di questa funzione. Attivatela, selezionate il soggetto da fotografare, e cominciate a scattare, la macchina cambierà automaticamente le impostazioni di esposizione per una serie di 3 o 5 scatti così da costruire la forcella.
Autore: hamham - Inviato: Ven 18 Lug, 2008 5:28 pm
La composizione: è fondamentale!!! Bisogna pensare, valutare, vedere, spostarsi a dx, a sx, in alto, in basso, avanti, indietro, prendere tempo, tanto da lì non si muove! Occhio agli elementi di disturbo, persone (via le dita dal naso!), oggetti, linee cadenti o storte, prospettive. Si ha a che fare di solito con geometrie ben definite, linee parallele e perpendicolari, rispettiamole. E’ molto meglio fare subito la foto per bene, piuttosto che sistemarla poi in postproduzione.
Ovviamente non tutto ciò che è dritto deve rimanerlo per forza, ma se si decide di inclinare un’inquadratura, deve essere evidente l’intenzionalità (“giusta” o “sbagliata” che sia); a nessuno deve venire il dubbio che la foto sia venuta storta e on che sia stata fatta storta!

Per spiegare meglio il concetto di composizione, facciamo ancora riferimento ad un preciso tutorial scritto da Edgar, sul ''La perfezione formale nella fotografia''

    ..[..].. La domanda in effetti è lecità: quanto conta la perfezione formale in una fotografia? E’ essenziale?

    Naturalmente NON esiste una risposta definitiva e univoca, ma è necessario capire, di ogni genere fotografico, la propria intinseca estetica e di quali caratteristiche essa vive. Solo così potremo davvero valutare correttamente quale sarà l’impatto sul risultato finale di ogni parametro tecnico, e saremo anche in grado di giudicare le immagini di altri fotografi, basandoci su criteri motivati.

    Quindi quando osserviamo uno scatto, dobbiamo innanzitutto cercare di capire a quale genere appartiene. I generi sono ovviamente tanti, per non dire infiniti e quindi non possiamo pretendere di conoscerli tutti. Ma questo non è necessario, basta avere coscienza a grandi linee del tipo di fotografia a cui ci troviamo davanti e soprattutto andare subito a cercare di chiarire l’estetica che fa vivere quel tipo di foto. Poi qualcuno lo chiamerà minimalismo, qualcun altro astrattismo concettuale, ma poco importa.
    Il metodo migliore per identificare il criterio estetico chiave per un certo genere fotografico è capire di che cosa vive.
    Per chiarire meglio farò qualche esempio.

    Di che cosa vive la fotografia architettonica: ovviamente di linee, di superfici, di riflessi e ombre sulle facciate degli edifici stessi, di colori e di contrasti tra gli edifici e il cielo. Se questo è vero, allora automaticamente sarà anche facile risalire alle caratteristiche estetiche irrinunciabili che la fotografia a architettonica dovrà avere: gestione perfetta delle linee ( a meno che si voglia VOLUTAMENTE creare prospettive e punti di vista particolari, ma siamo alla gestione dell’eccezione), messa a fuoco eccellente, colore saturo e, dove sia presente il cielo, un adeguato contrasto, per far “staccare” gli edifici dal cielo stesso.
    Potrei continuare, ma credo sia chiaro il concetto. In questo caso la perfezione formale è sicuramente essenziale. Poi potremo salvare tutte le eccezioni “creative” che volete, ma esse devono essere DAVVERO giustificate e non semplicemente essere causate dal fatto che il fotografo non conosce la regola di evitare le linee cadenti negli edifici.

    Di che cosa vive la macrofotografia: di piccoli dettagli che sfuggono all’osservazione dei più e che il fotografo attento porta all’attenzione del pubblico. E’ ovvio allora che tali piccoli dettagli che “SONO” la fotografia, dovranno essere perfetti e dettagliati e “stupire” e colpire per la loro forma e colore e illuminazione. E la nitidezza dovrà essere “spietata”. Anche in questo caso la perfezione formale è irrinunciabile.

    Di che cosa vive la fotografia di paesaggio: di inquadratura, di contrasti di luce, di colori. E allora la perfezione di una inquadratura, la correttezza dell’esposizione e la capacità di attendere il momento in cui i colori sono i più espressivi, in cui la luce colpisce “quel” particolare dettaglio, con “quel” particolare colore, saranno tutti parametri essenziali e funzionali a un panorama impeccabile e con la marcia in più.

    Di che cosa vive il reportage: di attimi colti e “rubati” di atteggiamenti, di situazioni, di accostamenti drammatici o ironici, ma comunque diversi dal solito, di realtà anche brutale come i reportage di guerra. In una parola conta l’ ”attimo”. Qui allora la perfezione formale NON è essenziale. NON cestineremo certo le foto di Capa dello sbarco in Normandia, perchè sono “Slightly out of focus” leggermente fuori fuoco, come commentò all’epoca un redattore di Life!!!
    Il che non significa che se c’è perfezione formale essa fa schifo e la buttiamo, diciamo solo che non è essenziale, perchè non è quella che conferisce alla foto la sua significatività, la sua ragione d’essere.
    Mentre invece nei casi precedenti la perfezione formale FA l’immagine e ne costituisce l’essenza stessa.

    Per quanto riguarda invece il concetto delle linee cadenti, quando inquadri un edificio e questo non sta tutto nell'inquadratura, se inclini la macchina verso l'alto, nel tentativo di non tagliare la parte alta, causi una convergenza verso l'alto delle linee laterali dell'edificio stesso.

    Questo è dovuto ad un fenomeno geometrico, causato dalla prospettiva ripresa dal basso. Tale mancanza di parallelismo dei lati di un edificio, è "corretto" dal punto di vista geometrico, ed è lo stesso tipo di deformazione che vediamo anche con gli occhi quando guardiamo la sommità di un edificio dal basso. Però il cervello, grazie ad una serie di meccanismi psicologici di compensazione, non "vede" dal vivo l'immagine con le linee convergenti, ma appunto le compensa e ci dà la sensazione di vederle dritte.

    Sulla foto invece, che ovviamente registra fedelmente ciò che "vede" l'obiettivo, le linee sono rappresentate come convergenti.

    Questo fatto, chiamato in gergo fotografico "linee cadenti", è considerato nella fotografia architettonica un errore base d'inquadratura.
    In effetti i fotografi specializzati in architettura utilizzano obiettivi specializzati detti "decentrabili" o "shift" , che permettono, tramite una funzione di decentramento, di rendere le linee perfettamente parallele.
    Essi ottengono lo stesso effetto delle macchine cosiddette "a banco ottico", cioè quelle con soffietto e vetro smerigliato di messa a fuoco. [@EDgar]


    [Per rendere più chiaro il concetto, alleghiamo una immagine chiara del concetto appena espresso, immagine dell'utente ninja77, con subito a lato la correzione, seppure non precisissima, delle linee cadenti..]


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