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Taccuino fotografico
Appunti su alcuni scatti che ci hanno colpito.
I ritratti di YoRosco, racconti di una visione.

Foto di YoRosco
Spesso si allude al ritratto come al “racconto” che il fotografo fa del soggetto nel cercare di restituirci l'universo fisico ed emozionale della persona che ha di fronte.

Vale la pena però interrogarci seppur brevemente sul significato di questo racconto.

Il ritratto infatti non è mai la semplice immagine di un volto o in genere di una persona, …quanto piuttosto l’espressione del giudizio che il fotografo ha formulato dentro di sé del soggetto, attraverso le molteplici scelte tecniche e compositive che gli si offrono come mezzo, appunto, espressivo.

Se ne è parlato anche qui:
http://www.photo4u.it/viewtopicnews.php?t=337145

E’ proprio questo giudizio ciò che in qualche modo forma il racconto di un ritratto, quando cioè il fotografo esprime ciò che egli (ed egli soltanto) vede del soggetto, …tutte quelle sfumature insomma che per lui lo caratterizzano come persona e ci racconta di una luce che egli ha colto del soggetto e che ne fa “quella” particolare persona.

Ma è chiaro che nel momento stesso in cui parliamo di ritratto come espressione di un giudizio personale, di un opinione cioè, alludiamo sostanzialmente al ritratto come all’espressione del modo in cui il fotografo ha interpretato la realtà della persona che gli sta di fronte o meglio ancora alludiamo all’espressione di quella relazione che si è stabilita tra lui ed il soggetto.

Da una parte c’è il soggetto, ...la sua identità, ...il suo universo, ...dall’altra c’è il fotografo con il suo personale modo di interpretarlo quell’universo attraverso il suo personale sentire. Le due cose sono inscindibili e convergono entrambe nel farsi del “ritratto” che è dunque il risultato di un incontro tra l’universo del fotografo e quello del soggetto. Ed è questo “incontro” che sostanzialmente il ritratto esprime.

Il “racconto” di cui si parlava inizialmente è allora qualcosa di più complesso, …come se il ritratto fosse una sorta di storia di cui non è certo il soggetto della foto l'unico protagonista ma anche e soprattutto il suo autore, e che inevitabilmente attiene a tutto quel complesso …di suggestioni …di emozioni …di sbalordimenti e di sorprese, …di impressioni e di scosse, che il soggetto ha prodotto nell’animo del fotografo in virtù del rapporto che si è stabilito fra di essi.

Il ritratto dunque infrange il piano della semplice rappresentazione fedele e oggettiva, …forza quel carattere di realismo che sembrerebbe appartenere alla fotografia in virtù dei suoi stessi presupposti tecnici, e come per magia ci svela ciò che “punge” l’animo del fotografo, facendosi immagine di ciò che egli ha “sentito” ancor prima di aver “visto”.

E’ chiaro che questa della fotografia come “interpretazione” della realtà è una tematica che attraversa più o meno tutti i suoi generi e del resto la dialettica intorno alla natura del mezzo fotografico come specchio fedele della realtà o come interpretazione di essa ha certamente radici lontane.

E’ nell’ottica di immagini come risultato di un potente processo di trasfigurazione del dato reale, che ci piace guardare ai ritratti del nostro YoRosco.

Ritratti potenti eppure lievi come respiri di luce che prendono le mosse (e non potrebbe essere se non così) da ciò che effettivamente “è”, ma che si impongono come racconto di ciò che egli “immagina”, alludendo in questo al potere dell’ immaginazione come strumento di un vedere oltre che trasforma e trasfigura, e capaci per questo di raccontarci anche del suo mondo interiore.

Guardiamo ad esempio il ritratto in alto.

Mi piace partire da questo ritratto perché di esso l’autore stesso ne mostra la “ripresa” originale, non elaborata e priva di interventi a posteriori, che sembra conservare il carattere proprio di una ripresa oggettiva e mostrare semplicemente ciò che effettivamente “è stato” davanti l’obiettivo, incapace di spingersi insomma oltre il piano della pura descrizione figurativa.

Una immagine che sembra cioè limitarsi a “ri-presentare”, porsi ad una delle due possibili estremità di quell’intervallo entro cui il fotografo può passare dalla semplice e fedele rappresentazione oggettiva del soggetto alla sua trasfigurazione espressiva.

Non è sicuramente una ripresa del tutto casuale …intendiamoci, perché già condizionata da una serie di scelte iniziali: prima fra tutte il “quando” (l’attimo cioè, il momento in cui era necessario scattare), il “come” (attraverso una ripresa frontale e diretta) e il “dove” (facendo riferimento qui più ad una certa qualità della luce che ad un ambiente specifico in questo caso indifferente).

Eppure ..qualcosa non torna, …non riesce a delinearsi un vero “racconto” capace di riflettere quel che “punge” l’animo del nostro ed è a partire dallo scatto originario che YoRosco giunge al risultato finale del ritratto in questione, grazie ad un trattamento d’immagine che avvicina sempre più la ripresa iniziale all’altro estremo di quell’intervallo di cui sopra: quello della “raffigurazione”. Decide di “aggiustare” l’inquadratura, cambia il formato adottando il frame quadrato in luogo di quello verticale, parzializza la ripresa con un taglio brutale …istintivo, quasi illogico, ….aggiunge una grana che sembra volere allentare la morsa analitica del dettaglio, si affida al contrasto ruvido ed aspro di un bianconero asciutto e sintetico.

Quale è il senso di questa operazione?

Ricordiamoci del potere dell’immaginazione come strumento del “vedere oltre”. Immaginare non presuppone necessariamente un atto creativo dal nulla, …è invece lo strumento capace di innescare un processo di “visualizzazione” grazie al quale si delineano, a partire da qualcosa di realmente esistente, i contorni di una immagine che è sostanzialmente radicata nell’animo e nella mente del fotografo che interpreta, …modifica, …altera e trasfigura la realtà che ha di fronte.

Più si concretizza il disegno di questa immagine che si rievoca dal segreto della propria interiorità, più il fotografo lascia spazio alla sua soggettività allontanandosi dal dato reale, e la fotografia si fa sempre di più espressione dell’ “incontro” tra lui ed il soggetto, del modo cioè in cui il fotografo si è relazionato con quell’universo, interpretandolo secondo la propria sensibilità.

Si svela allora il senso di quella operazione: il nostro YoRosco cerca di “accordare” la ripresa ottenuta inizialmente a quella immagine che il suo “vedere oltre” lo ha portato a visualizzare come se stesse recuperandola o dovremmo dire rievocandola dalle segrete stanze del suo universo privato.

Un’operazione che qui avviene forzosamente a posteriori, …che non si compie cioè in sede di quelle scelte iniziali (più o meno inconsapevoli) che hanno coinciso con il momento dello scatto, ma che non cambia la sostanza del discorso soprattutto nella prospettiva (la nostra) di chi osserva l’immagine come fatto compiuto in sé, a valle di tutto il percorso creativo.

Il taglio finale dato all’immagine è forte e deciso, persino brutale nel suo carattere di apparente casualità. Il margine a destra del frame interrompe bruscamente il disegno di insieme e scuote la composizione con il soggetto fortemente sbilanciato di lato all’interno del frame quadrato.

Guardate come il taglio a posteriori e l’adozione del campo quadrato abbiano il potere di cambiare, stravolgere e trasfigurare il contenuto espressivo dell’immagine rispetto alla ripresa iniziale. Ad una ripresa sostanzialmente statica e distante subentra la vibrante tensione di un moto che si compie quasi per caso e d’improvviso.

Abbiamo la sensazione di un incontro fortuito, inaspettato, come quando incrociamo per un istante qualcuno mentre camminiamo per strada. La ragazza sta per uscire dal nostro campo visivo, dall’orizzonte della nostra esperienza sensoriale, …sta per scivolare di lato, …sfilare via, …lasciando dietro di sé l’eco della traccia di un profumo di pelle. E’ …sul punto di dileguarsi, scomparendo nel segreto di un universo privato che il suo sguardo basso e sfuggente sembra rendere ancora più inaccessibile e distante.

E’ questo istante …..e questo soltanto, ….l’attimo magico che pare riesca ad accordarsi alla personale “visione” del nostro YoRosco ed è “qui”, nel tempo immobile della raffigurazione, che egli sospende il flusso del suo personale sentire.

Probabilmente una certa suggestione formale governa ancora le gerarchie della composizione nel lasciare che il doppio flesso della curva che dal pellicciotto si continua nell’ovale della testa si distribuisca lungo la diagonale del frame quadrato. E’ il movimento sinuoso di questa curva a fare da spartiacque nella distribuzione delle masse ai lati della diagonale, nella corrispondenza cioè tra il “vuoto” dello sfondo ed il “pieno” del primo piano.

Ma il taglio violento del margine di destra interrompe il movimento della composizione diagonale, amplifica la verticalità dell’asse del viso e rende ancora più espressiva la fuga dello sguardo che scivola verso il basso …e quasi naufraga in sé stesso, nel tumulto di pensieri a noi inaccessibili che paiono agitarsi nervosamente sotto la superficie.

Si vanno chiarendo certi aspetti che accomunano alcuni dei ritratti di YoRosco. Guardiamo ad esempio a questi:




Sono scatti che in qualche modo ci spiazzano, scuotono frantumandole le sonnolenti certezze del nostro bagaglio di ortodossia fotografica attraverso immagini dove tutto sembra che sia come non dovrebbe essere dal punto di vista di quel rigore tecnico che troppo spesso è destinato a rimanere fine a sé stesso.

Il fuoco a volte è impreciso e sembra indugiare là dove meno ce lo saremmo aspettati, …altre volte un mosso aspro e nervoso scuote la superficie dell’immagine come una emozione che libera d’un tratto la sua tensione, …il taglio si fa impulsivo, sbilanciato, con inquadrature che paiono frutto di una ripresa tanto casuale quanto improvvisa, …altre volte ancora il piano percettivo si appanna nella densità lattiginosa e semitrasparente di un sfuocato in primissimo piano come di qualcosa che si sia interposto tra il soggetto e l’occhio del fotografo, …il chiaroscuro ora si fa duro nella morsa di un contrasto ruvido …ora si allenta nella dolcezza quasi onirica di un bianconero lieve e impalpabile, …la grana sembra sovrapporsi al disegno di insieme e sfrangia i contorni, sporca i dettagli, offusca la chiarezza della rappresentazione.

Mi vengono in mente, senza però voler tentare la strada di un accostamento di tipo formale o espressivo con gli scatti di YoRosco, certi ritratti di Jiulia Margaret Cameron che in un momento in cui (siamo nella seconda metà del XIX sec.) la fotografia sembra essere condannata ad un principio di mera riproducibilità della realtà, giunge ad un trattamento di immagine che muove dall’idea che la fotografia non debba essere semplice rappresentazione del mondo reale ma possa e debba essere espressione della personale visione che ne ha il fotografo. Molte delle sue foto hanno generose sfocature, il disegno di insieme è poco delineato, …il fuoco insiste su pochi particolari mentre il resto s’affida al carattere di una indeterminatezza che è capace di solleticare l’immaginazione dello spettatore. Ad una particolare cura della composizione (che sempre i suoi contemporanei le riconoscono) si accompagna l’incertezza di alcuni dettagli, la morbidezza impalpabile di certi toni e sfumature, come pure certe limitazioni e carenze tecniche che paiono però essere consapevolmente sfruttate dalla Cameron per sondare potenzialità espressive della fotografia sino ad allora sconosciute. Da qui all’interesse rivolto al suo lavoro dall’ambiente pittorialista il passo è breve.

Ma il discorso rischia di portarci da tutt’altra parte.

Torniamo invece ai ritratti del nostro YoRosco, …a quel loro particolare trattamento di immagine che ci sembra sempre più rivolto al tentativo, che egli avverte quasi come una esigenza imprescindibile, di far slittare l’immagine sul piano della “visione”, di accordare la resa finale dello scatto a quella immagine che si è andata delineando dentro di sé sulla base del suo personale sentire, come espressione cioè di quel “vedere oltre” che la sua immaginazione gli permette e attraverso cui si compie il processo di interpretazione e trasfigurazione del mondo reale.

Ecco perché sono tutti ritratti che sembrano in qualche modo aprire uno squarcio sul mondo interiore dell’autore, quasi fossero “visioni” che si rievocano direttamente dal tessuto intimo e privato del suo universo privato, … equivalenti di tutta una indefinibile sostanza emozionale che si agita sotto la superficie, …tasselli di una memoria in bilico tra ciò che è stato e ciò che avremmo voluto che fosse, tra realtà e sogno, …tra ciò che “è” e ciò che “immaginiamo”.
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